T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 14-02-2011, n. 1380

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso regolarmente notificato e depositato l’odierno ricorrente impugna il provvedimento in epigrafe deducendo i seguenti fatti:

Il ricorrente, cittadino bengalese, entrava in Italia il 23 gennaio 2008 con regolare visto di ingresso per lavoro subordinato n. I12434132 rilasciato dall’Ambasciata Italiana a Dhaka l’11 novembre 2007 a seguito di nulla osta al lavoro subordinato emesso dallo Sportello Unico per l’Immigrazione di Roma il 6 settembre 2007 ai sensi dell’art. 22 D.Lgs. n. 286/1998 a seguito della richiesta presentata il 14 marzo 2006 dal Sig. A.A. nella qualità di legale rappresentante della società "E.".

Entro gli otto giorni previsti dall’art. 22, comma 6, D.Lgs n. 286/1998, lo straniero si recava presso gli uffici dello Sportello Unico unitamente al Sig. A.A. ed in data 29 gennaio 2008 depositava una dichiarazione redatta dallo stesso datore di lavoro il quale faceva presente all’Amministrazione di avere chiuso l’attività e pertanto di avere provveduto al licenziamento del ricorrente.

Nonostante la richiesta fatta dal ricorrente, lo Sportello Unico non gli rilasciava una dichiarazione a firma del responsabile dell’Ufficio, attestante il venire meno della disponibilità del datore di lavoro a formalizzare l’assunzione.

Tuttavia, il 19 febbraio 2008 il ricorrente spediva a mezzo Posta istanza di rilascio del primo permesso di soggiorno per attesa occupazione, essendo venuto meno il presupposto dell’esistenza di una occupazione lavorativa.

Con decreto emesso il 13 giugno 2008 e notificato a mani proprie del richiedente il successivo 23 giugno, la Questura di Roma gli rifiutava il rinnovo del permesso di soggiorno e lo invitava a lasciare spontaneamente il Territorio Nazionale entro il termine di quindici giorni, pena l’emanazione di un decreto di espulsione ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. b) D.Lgs. n. 286/1998.

Deduce il ricorrente la illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Si costituiva in giudizio l’Amministrazione resistente.

All’udienza pubblica del 20 ottobre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Il ricorrente, regolarmente entrato in Italia a seguito di richiesta nominativa per svolgere un lavoro subordinato in favore del sig. A.A., ha ottenuto la relativa autorizzazione ma non ha potuto iniziare l’attività lavorativa per la chiusura della attività commerciale ed il suo contestuale licenziamento; circostanze tutte documentate in atti e implicitamente riconosciute dalla stessa Amministrazione, che ha rilasciato al ricorrente il nulla osta al lavoro subordinato.

La situazione del ricorrente rientra, pertanto, nella fattispecie disciplinata dalla circolare del 20 agosto 2007 del Ministero dell’Interno, che ha chiarito che "se il rapporto di lavoro non viene confermato dal datore di lavoro che ha ottenuto il nullaosta all’assunzione del lavoratore straniero, quest’ultimo, ove abbia fatto ingresso regolarmente, può chiedere un permesso di soggiorno per attesa occupazione allegando alla domanda un’apposita dichiarazione a firma del responsabile dello Sportello Unico dell’Immigrazione dalla quale risulti il venir meno della disponibilità del datore di lavoro a formalizzare l’assunzione".

La circolare del 20 agosto 2007 conferma la precedente circolare n. 2570 del 7 luglio 2006 limitatamente alle ipotesi di decesso del datore di lavoro o di cessazione dell’azienda e, dunque, si applica a tutte le ipotesi di mancata instaurazione del rapporto di lavoro per causa, oggettivamente dimostrata, non riferibile al cittadino straniero.

Ne consegue che il rifiuto del permesso di soggiorno è illegittimo per non avere l’Amministrazione tenuto conto delle ragioni di impossibilità sopravvenuta in ordine all’instaurazione del rapporto di lavoro con il sig. A.A. (a favore della quale il nulla osta era stato rilasciato) e del principio per cui la perdita del posto di lavoro (alla quale è assimilabile l’ipotesi che l’attività lavorativa non abbia potuto essere iniziata per causa non imputabile al lavoratore straniero) non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario del permesso di soggiorno, e ciò ai sensi dell’art. 22 del d.lvo 286/1998 (cfr. TAR Emilia Romagna n. 3080/06 e TAR Puglia Lecce n. 539/2007).

Il ricorso va quindi accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

La particolarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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