Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7417 Appello del contribuente e dell’ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di sentenza della C.T.P. di Pesaro con la quale, riuniti i cinque distinti ricorsi proposti da C.P. avverso gli avvisi di accertamento alla predetta contribuente notificati per i redditi dal 1991 al 1995, in parziale accoglimento dell’impugnazione l’attività della ricorrente era stata ritenuta "agricola" e non "commerciale", l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, che veniva però rigettato dalla C.T.R. delle Marche con sentenza n. 22/8/05, depositata il 13.10.2005 e non notificata.

Per la cassazione della citata sentenza proponevano ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate articolando due motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la contribuente con controricorso, successivamente sostenuto anche con il deposito di memoria aggiunta, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso principale per tardività.
Motivi della decisione

1 – Rileva questa Suprema Corte doversi preliminarmente ritenere d’ufficio l’inammissibilità del ricorso del Ministero in quanto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado perchè soggetto estraneo a giudizio di appello.

Ed infatti nel caso di specie al giudizio di appello risulta aver partecipato unicamente l’Ufficio periferico di Pesaro dell’Agenzia delle Entrate (successore a titolo particolare del Ministero) e il contraddittorio è stato accettato dalla contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del dante causa, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis. v. Cass. 23.4.2010, n. 9794) estromesso implicitamente dal giudizio. Da tali premesse inevitabilmente discende l’esclusione della legittimazione del Ministero a proporre il ricorso per cassazione, spettando la relativa legittimazione processuale alla sola Agenzia.

2 – Infondata è poi l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente. In proposito deve infatti osservarsi che la sentenza di secondo grado risulta depositata il 13.10.2005, con conseguente scadenza del termine cd. lungo per l’impugnazione il 28.11.2006, termine da ritenersi rispettato nel caso in esame ex art. 149 c.p.c., comma 3, risultando dal timbro apposto sul ricorso dall’Ufficiale Giudiziario per la notifica, la consegna a quest’ultimo avvenuta proprio il giorno 28 novembre 2006. 3 – Nel merito il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Con il primo motivo l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, per aver la C.T.R. escluso l’ammissibilità come prova della sentenza di condanna emessa a carico della C. dal Tribunale di Pesaro, perchè tardivamente prodotta solo nel giudizio di appello benchè nella disponibilità della parte già al momento del giudizio di primo grado.

La doglianza è inammissibile risultando in proposito il ricorso privo di autosufficienza. Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, il ricorrente per Cassazione, ove denunci l’esistenza di vizi della sentenza correlati al rifiuto opposto dal giudice di merito, di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente introdotti ovvero all’omessa valutazione, da parte dello stesso giudice, di una certa deposizione o di un documento, ha l’onere sia di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto sia di indicare specificamente, nel ricorso, i mezzi istruttori non ammessi o le circostanze di prova o il contenuto del documento asseritamente trascurato. Ciò per dar modo al giudice di legittimità di verificare la validità e la decisività delle disattese deduzioni di prova sulla sola base del ricorso per cassazione, stante il principio di autosufficienza di tale atto di impugnazione, senza che si rendano necessarie indagini integrative o che possa, all’uopo, svolgere funzione sostitutiva il richiamo "per relationem" ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (Cass. 17.5.2006, n. 11501; 14.3.2006, n. 5479; 15.5.2004, n. 9290;

26.4.2002, n. 6078; 22.2.2001, n. 2602). Nel caso di specie tale esigenza non ha minimamente soddisfatto l’Agenzia avendo del tutto omesso di indicare quali fossero i contenuti della sentenza invocata, rilevanti ai fini della definizione della presente controversia, ed addirittura neanche precisato quali i capi d’imputazione contestati all’imputata, limitandosi, peraltro nel solo corpo del secondo motivo di ricorso, a citare genericamente, e pertanto in maniera del tutto irrilevante, la testimonianza resa nell’altro processo del veterinario della USL, senza affatto accennare ai contenuti di quella deposizione.

Con il secondo motivo denuncia ancora l’Agenzia il vizio di insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia, e più specificamente sulla natura commerciale e non di allevamento dell’attività concretamente svolta dalla contribuente.

In proposito, peraltro, la sentenza contiene un accertamento sorretto da sufficiente motivazione perchè fondato sulle risultanze della stessa verifica, e sulla valutazione dei beni riscontrati nella disponibilità della contribuente (80 ettari di terreno, "scrofe di proprietà e verri che sottintendevano una produzione anche diretta del prodotto con il conseguente allevamento"), motivazione priva di vizi logici, che l’Agenzia pretenderebbe di inficiare, oltre che con richiami del tutto insufficienti a sintetici stralci del p.v.c. spesso chiaramente ininfluenti (come nel caso dell’espressione "nell’azienda non vengono completati i cicli di allevamento"), soprattutto con riferimento alle risultanze della già citata sentenza penale, oramai definitivamente esclusa dal processo, risultanze comunque ancora una volta rimaste oscure, così da non consentire alla Corte di valutare la loro decisività.

Anche tale doglianza è pertanto inammissibile perchè, se anche non rivolta addirittura ad ottenere una del tutto inammissibile diversa valutazione delle prove in sede di legittimità, comunque tesa a denunciare vizi logici della motivazione sulla base di circostanze ipoteticamente emergenti da prove acquisite o acquisibili, ma il cui contenuto non risulta adeguatamente specificato (cfr. ancora Cass. 21.10.2005,n. 20454; 17.2.2004, n. 3004).

Per il principio della soccombenza al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e rigetta quello dell’Agenzia delle Entrate. Condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 5.700,00 di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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