T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 14-02-2011, n. 267 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 30 dicembre 2005 e depositato l’11 gennaio 2006, la S. Mobile Comunications S.p.a. ha impugnato della nota n. 24543/05 del 21 ottobre 2005, con la quale il Comune di Castellammare del Golfo, in relazione alla domanda presentata per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile in contrada Gianlombardo, ha comunicato alla società medesima di attivarsi per l’applicazione della procedura prevista dall’art. 7 L.r. n. 65/81 e di attenersi alle prescrizioni di cui alla delibera consiliare n. 86 del 4 novembre 2004.

Ha impugnato, altresì, detta delibera consiliare n. 86 del 4 novembre 2004 concernente l’approvazione del regolamento comunale per la installazione di impianti di telecomunicazione e radiotelediffusione (artt. 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11).

La società ricorrente ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati, previa sospensiva e col favore delle spese, deducendo i seguenti motivi:

1) Violazione e/o falsa applicazione del D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, recepito nella Regione siciliana con l’art. 103 L.r. n. 17/2004, e della legge 22 febbraio 2001, n. 36 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione e travisamento dei fatti;

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della legge n. 241/1990 – Violazione del D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e della legge 22 febbraio 2001, n. 36 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;

3) Violazione del D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e della legge 22 febbraio 2001, n. 36 – Difetto assoluto di istruttoria- Violazione del giusto procedimento – Errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto – Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e manifesta ingiustizia.

Con ordinanza n. 103 del 25 gennaio 2006, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati.

Il Comune di Castellammare del Golfo, costituitosi in giudizio, con memoria nei termini, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso, contestandone, nel merito, la fondatezza e chiedendone il rigetto; vinte le spese.

Con memoria depositata il 3 gennaio 2011, la società ricorrente ha insistito nelle censure dedotte con l’atto introduttivo del giudizio.

Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2011, su conforme richiesta del difensore del Comune di resistente, il ricorso è stato posto in decisione.
Motivi della decisione

In via preliminare, va disattesa l’eccezione di irricevibilità del ricorso, sollevata dal resistente Comune di Castellammare del Golfo.

Ed invero, a fronte della dichiarazione della società ricorrente, secondo cui l’impugnata nota n. 24543/05 del 21 ottobre 2005 sarebbe stata ricevuta "successivamente al 31.10.2005", il Comune si limita ad affermare che la nota stessa è stata spedita il "25/10/2005", mentre è noto che L’onere della prova della avvenuta piena conoscenza dell’atto impugnato incombe solo su chi eccepisce la tardività del ricorso giurisdizionale, onere da assolversi mediante mezzi probatori univoci e chiari, diretti ad accertare in modo sicuro ed inconfutabile che il gravame è stato proposto dopo la scadenza del termine decadenziale (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2010 n. 4526; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 3 dicembre 2010, n. 13084).

Va, ancora, osservato che l’impugnato regolamento comunale per la installazione di impianti di telecomunicazione e radiotelediffusione, approvato con deliberazione Consiliare n. 86 del 4 novembre 2004, è stato comunicato alla ricorrente S. Mobile Comunications S.p.a. con la predetta nota n. 24543/05, per cui il ricorso, notificato in data 30 dicembre 2005, si appalesa tempestivo, considerato che il regolamento in questione "non è direttamente lesivo della posizione della ricorrente, ma assume tale carattere attraverso l’atto applicativo (diniego)" (in tal senso, C.G.A. 17 agosto 2009, n. 678; T.A.R. Sicilia, sez. II, 27 ottobre 2010, n. 13719).

Nel merito, il ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.

Quanto all’impugnativa del suddetto regolamento, va osservato che, come ha avuto occasione di osservare questa Sezione in fattispecie analoghe alla presente (fra le tante, 21 luglio 2006, n. 1743; 12 marzo 2008, n. 340; 6 aprile 2009, n. 661; 27 ottobre 2010, 1379; 10 novembre 2010, n. 14024), l’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".

In ordine alla interpretazione della disposizione in questione si è ormai consolidato nella giurisprudenza un condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendono a scopi differenti.

Sulla base di tale criterio viene ammesso, ad esempio, che vengano introdotte regole finalizzate, per quanto riguarda il profilo urbanistico, a tutelare zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, con riferimento alla minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, alla individuazione di siti particolari e determinati, i quali, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possono essere considerati particolarmente sensibili alle immissioni radioelettriche. Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle previsioni, che si sostanziano in "limitazioni alla localizzazione" degli impianti di telefonia mobile relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 7 novembre 2003, n. 331; 7 ottobre 2003, n. 307; 27 luglio 2005, n. 336).

Si è, in particolare, ritenuto, che il Comune non possa, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura ediliziaurbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radiobase per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).

Nella fattispecie in esame, il Comune di Castellammare del Golfo ha approvato le impugnate previsioni regolamentari (contenute negli artt. 5, 6, 7, 9, 10 e 11) che si appalesano illegittime in base alla seguenti considerazioni.

In ordine all’art. 5, va ribadito quanto già affermato da questa Sezione in fattispecie analoga alla presente (17 gennaio 2006, n. 70), e cioè che, in forza dell’art. 87 D.lgs. 1 agosto 2003 n. 259, l’installazione di un impianto tecnico per la realizzazione di una stazione radio base non richiede la concessione edilizia, dal momento che l’a relativa autorizzazione, in quanto rilasciata a seguito di un procedimento unico che assorbe la verifica della compatibilità urbanistica edilizia dell’intervento, sostituisce il permesso a costruire di cui agli art. 10 e 3, lett. e.2) e e.4), d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 "testo unico delle disposizioni legislative in materia edilizia" (Cons. Stato, sez. VI, 05 agosto 2005, n. 4159).

Relativamente agli artt. 6, 7 e 10, va osservato che, alla luce delle finalità acceleratorie e semplificatorie che presiedono il procedimento dettato dall’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003, l’Amministrazione non può esigere, in sede di presentazione dell’istanza di autorizzazione e/o di denuncia di inizio attività, documentazione diversa da quella prevista dall’allegato 13 – modello B, d.lgs. n. 259 del 2003 (in relazione a tale fase), fatti salvi adempimenti di minimo impatto che non si traducano in un indebito aggravamento del procedimento, quale qui dato e voluto dal legislatore speciale per favorire la ripetuta celere realizzazione della rete. Fra questui ultimi non vi è spazio per richieste di documentazione che afferiscano direttamente a previsioni regolamentari dettate per le vicende puramente edilizie; ovvero, per ottenere il rilascio del permesso di costruire o per accompagnare la denuncia di inizio attività sempre in campo edilizio, né per imporre oneri esclusi dall’art. 93 del codice delle Comunicazioni che pone il divieto di imporre oneri "che non siano stabiliti dalla legge" (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 21 aprile 2009, n. 2077).

Deve, poi, ritenersi illegittimo il divieto di installare stazione radio base nel raggio di 300 metri dalle "strutture sensibili" (scuole, asili,ospedali, case di cura, arre verdi attrezzate, aree destinate all’infanzia, aree di particolare densità abitativa), in quanto tende a disciplinare non profili urbanistici rientranti nella competenza dell’ente locale, ma a tutelare la salute umana al fine di prevenire i rischi derivanti dalla esposizione della popolazione a campi elettromagnetici, esorbitando, come tale, dall’ambito normativamente riservato ai c.d. regolamenti di minimizzazione (cfr., altresì, T.A.R. Puglia – Bari sez. I, 13 maggio 2010, n. 1863; T.A.R. Sicilia, sez. II,18 ottobre 2010, n. 12585).

Va, al riguardo, osservato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 331 del 7 novembre 2003, nel pronunciare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 12 lett. a), della legge della Regione Lombardia n. 4 del 2002 (che prevedeva un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socioassistenziali, ospedali,), ha affermato che "Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, è sufficiente il richiamo alla competenza regionale in materia di governo del territorio, che la legge quadro, al numero 1) della lettera d) dell’art. 3, riconosce quanto a determinazione dei "criteri localizzativi". A tale concetto non possono infatti ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da "criteri di localizzazione" in "limitazioni alla localizzazione", dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d’altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi".

Peraltro, l’espressa assimilazione fra le stazioni radio base e le opere di urbanizzazione primaria rende l’installazione di tali manufatti compatibile con qualunque destinazione di zona, per cui, dal punto di vista urbanistico, i Comuni possono incidere sulla collocazione delle antenne radio base, a condizione che la regolamentazione introdotta non abbia l’effetto di impedire in modo indiscriminato la loro installazione nell’ambito del territorio comunale, ovvero non l’assoggetti a limiti non adeguati al fine della salvaguardia dei concomitanti interessi oggetto di tutela (in tal senso, C.G.A. 14 aprile 2010, n. 514; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 13 ottobre 2009, n. 5405; T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 11 giugno 2010, n. 16, secondo cui "il divieto generalizzato di installare le stazioni radio base per la telefonia cellulare in ampie zone del territorio comunale…appare perseguire palesemente il fine di sovrapporre una determinazione di stretta matrice cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla normativa statale che ha fissato a tal fine puntuali limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa").

Quanto, poi, all’art. 11 del regolamento in questione, va ribadito che, in materia di realizzazione di stazioni per telefonia mobile, non può ritenersi che la prescrizione della VIA possa risultare giustificata in base all’esigenza di verificare le possibili interazioni fra i diversi – e numerosi – impianti esistenti in ambito comunale, atteso che, per un verso, siffatta finalità esula dagli scopi puramente urbanistici e traligna nella diversa tematica della protezione dalle esposizioni a campi elettici, magnetici ed elettromagnetici, e per altro verso, le finalità in questione possono essere adeguatamente perseguite (non già attraverso lo strumento della VIA, bensì attraverso l’accertamento della compatibilità del progetto da realizzare e di quelli preesistenti con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, tipicamente demandato all’Arpa Regionale (Cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 06 settembre 2010, n. 6463; 1 dicembre 2010, n. 8377, ove si precisa che "solo l’art. 2 bis, secondo comma, del D.L. 1 maggio 1997, n. 115, convertito dalla legge 1 luglio 1997, n. 189, ed ora abrogato dispone genericamente che "la installazione di infrastrutture dovrà essere sottoposta ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale", senza affatto disporre di sottoporre tutti i progetti di strutture per la telefonia mobile a valutazione d’impatto ambientale. Il contenuto del richiamato art. 2 bis non è stato riprodotto nella legislazione successiva").

Parimenti illegittimo si appalesa l’art. 16, stante che le sanzioni afflittive pecuniarie violano la riserva di legge scaturente dalla generale previsione dell’articolo 1 della legge 689 del 1981 (cfr. T.A.R. Campania, sez. I, 10 marzo 2005, n. 1708).

Inammissibile per carenza di interesse deve, viceversa, ritenersi l’impugnazione che investe l’art. 8 del Regolamento comunale di cui trattasi che riguarda l’ "adeguamento degli impianti esistenti", mentre la questione sottoposta all’esame del Collegio attiene ad una nuova autorizzazione (richiesta con istanza del 7 settembre 2005) e la società ricorrente non accenna alla gestione nel medesimo Comune di Castellammare del Golfo di altri impianti.

Quanto, infine, all’impugnativa della suddetta nota del 21 ottobre 2005, con la quale, oltre a richiamare le disposizioni del regolamento comunale, come sopra ritenute illegittime, si comunica che la società ricorrente deve attivarsi per l’applicazione della procedura prevista dall’art. 7 L.r. n. 65/81, il Collegio non può che richiamare l’orientamento ripetutamente seguito da questa Sezione (fra le tante, 16 ottobre 2007, nn. 2218 e 2224), secondo cui gli artt. 7 e 6 L.r. 65/1981 sono riferibili solo alla realizzazione di opere pubbliche da parte di Amministrazioni statali o regionale e non anche alla realizzazione di opere eseguite da privati, ancorché equiparate ad opere infrastrutturali, per cui per l’installazione degli impianti in questione non occorre alcuna variante urbanistica (cfr., altresì, C.G.A. 17 agosto 2009, n. 652; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 9 marzo 2007, n. 450).

Per suesposte considerazioni e assorbito quant’altro, il ricorso va accolto (tranne che per la rilevata inammissibilità dell’impugnazione dell’art. 8 del Regolamento comunale).

Sussistono giustificati motivi, avuto anche riguardo al parziale accoglimento del ricorso, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sede di Palermo, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe indicato (n. 64/2006), nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, gli atti impugnati.

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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