T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 15-02-2011, n. 78 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con l’istanza in oggetto il ricorrente, premesso di essere proprietario di aree in comune di L’Aquila aventi destinazione "servizi pubblici" e ciò sulla base del PRG approvato nel 1979, aveva chiesto che l’amministrazione provvedesse a dare alle medesime una nuova disciplina urbanistica tenuto conto della sopravvenuta decadenza, ex art. 9 DPR 8 giugno 2001 n. 327, del predetto vincolo espropriativo.

Ricordato il pacifico principio secondo cui la decadenza di tale vincolo comporta l’obbligo dell’amministrazione di provvedere a dare una nuova destinazione urbanistica all’area rimasta priva di disciplina, evidenzia che la normativa regionale (art. 44 L.R. 11/99) impone al Comune di avviare il procedimento entro il termine perentorio fissato dalla diffida (che non può essere inferiore a 45 giorni) e di concluderlo entro il termine (altrettanto perentorio) di un anno.

Tali termini sono inutilmente decorsi visto che il Comune non ha assunto in merito alcuna determinazione. Il ricorrente ha quindi proposto l’azione di cui all’art. 21bis L. TAR chiedendo venisse dichiarato l’inadempimento del Comune di L’Aquila con conseguente fissazione di un termine per provvedere e successiva nomina di commissario ad acta per il caso di ulteriore inadempienza.

2. Nel costituirsi in giudizio il Comune di L’Aquila ha richiamato la deliberazione consiliare n. 17 del 22.1.2009 recante "atto di indirizzo per la revisione generale delle aree di PRG a vincolo decaduto", con cui l’amministrazione avrebbe chiaramente espresso la volontà di provvedere a nuova pianificazione delle aree rimaste prive di disciplina urbanistica ex art. 2 legge 1187/1968, a cui ha fatto seguito il provvedimento 31 marzo 2009, pubblicato sull’albo pretorio e sul sito web, di fissazione di criteri, tempi e procedure per la redazione della variante generale relativa a tali aree ed è stato quindi avviato il procedimento per la normazione delle medesime.

Viene ulteriormente rappresentato che il procedimento per la normazione delle predette "aree bianche" è disciplinato dall’art. 44, comma 1quinquies, L.R. 11/1999, che fissa il termine di un anno per la conclusione del procedimento, distinguendo tra un periodo a disposizione del Comune ed uno relativo alla Provincia (che si ritiene dovesse essere anch’essa destinataria della diffida e della chiamata in causa), disciplina che renderebbe il ricorso inammissibile non essendo, alla data della sua notifica (4 agosto 2010), decorso il predetto termine annuale.

Né il ricorso potrebbe essere ritenuto ammissibile per l’inutile decorso dei 45 giorni previsti dal medesimo art. 44 per l’avvio del procedimento, trattandosi di termine meramente endoprocedimentale il cui superamento non consente all’istante di attivare la peculiare azione ex art. 21bis L. TAR, secondo quanto statuito da Cons. Stato, sez. IV, 9 agosto 2010 n. 5451 e 28 settembre 2010 n. 7182 in ordine ad identica fattispecie ed in riforma di sentenze di accoglimento di questo TAR.

3. Assodato il principio secondo cui nel caso in cui il vincolo del piano regolatore generale sia scaduto senza che, a termini dell’art. 2 comma 1, l. 19 novembre 1968, n. 1187, si sia provveduto all’approvazione del piano particolareggiato ovvero all’approvazione del progetto esecutivo o definitivo di opera pubblica, siffatta situazione di inedificabilità pressoché assoluta ha carattere provvisorio, dovendo l’Amministrazione procedere il più rapidamente possibile all’obbligatoria integrazione del piano divenuto parzialmente inoperante; di conseguenza, in tal caso il privato può, nell’inerzia della Amministrazione, agire in via giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto, ai fini della cui formazione resta peraltro ferma la necessità, tra l’altro, che sia decorso il termine entro il quale il provvedimento doveva essere assunto (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2010, n. 7339), la controversia in esame si incentra innanzitutto sulle conseguenze derivanti dalla circostanza che, all’atto della proposizione del ricorso (notificato il 4 agosto e depositato il 25 agosto 2010), il termine annuale ex art. 44 L.R. 11/1999, decorrente dalla diffida del 1° settembre 2009, non era ancora decorso, come eccepito dalla difesa comunale.

Sul punto il collegio ritiene di convenire con il principio secondo cui "deve… coerentemente convenirsi, in ossequio ad un indirizzo giurisprudenziale attento ad esigenze di economia processuale, che la definizione del giudizio nel merito non è preclusa laddove il silenziorifiuto, pur se per avventura non perfezionatosi all’epoca della notifica dell’atto introduttivo, si sia inverato al momento della decisione così radicando in termini di attualità l’interesse alla decisione. A tacer d’altro, una diversa opzione interpretativa imporrebbe l’identica proposizione di un nuovo giudizio avverso il medesimo silenziorifiuto a seguito della declaratoria di inammissibilità di quello originario, e tanto in modo del tutto incoerente con quelle esigenze di economia del giudizio sulla scorta delle quali la giurisprudenza amministrativa ha opinato nel senso della necessità di decidere nel merito i ricorsi proposti avverso atto sottoposto a controllo preventivo di legittimità quante volte l’esito positivo del controllo abbia conferito efficacia e, quindi, attitudine lesiva all’atto in un momento posteriore all’introduzione ma anteriore alla definizione del giudizio. Tanto è accaduto nel caso di specie, essendo comprovato che l’istanza… non è stata evasa neanche in un torno di tempo posteriore alla notificazione del ricorso" (Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2001, n. 3024). Per quanto riferita a fattispecie relativa a diritto di accesso, il collegio ritiene che le medesime conclusioni possono essere valide anche nel caso in esame, avendo il giudizio in questione (ex art. 21bis L. TAR, applicabile all’epoca di proposizione del ricorso) ad oggetto non tanto la valutazione della legittimità di una determinazione amministrativa quanto l’accertamento dell’esistenza di un obbligo in capo alla P.A. di provvedere con atto esplicito. Perciò "vale ad assorbire ogni rilievo la circostanza, espressione del principio di conservazione degli atti, di economicità dei mezzi, nonché di raggiungimento dello scopo che al momento in cui il ricorso è stato iscritto a ruolo e chiamato per la trattazione camerale il termine procedimentale… per provvedere risultava comunque abbondantemente ed infruttuosamente scaduto; da cui, la maturazione del "silenzio" come fatto storico inveratosi al momento del decidere e come tale giuridicamente rilevante" (T.A.R. Lazio Latina, 4 settembre 2007, n. 631).

Il collegio è altresì dell’avviso che sulla questione non abbia alcuna interferenza la deliberazione consiliare 22 gennaio 2009 n. 17, che dichiara l’avvio del procedimento di approvazione di una variante generale avente ad oggetto l’insieme delle aree con vincoli decaduti da concludersi nel presumibile termine di due anni dalla sua esecutività.

La normativa regionale applicabile alla fattispecie di cui al richiamato art. 44, 1° comma, lett. b1, L.R. 11/1999 è infatti relativa all’"obbligo di disciplinare le aree nelle quali siano scaduti i vincoli urbanistici… a seguito di diffida a provvedere", e determina quindi l’obbligo di dare una disciplina alla singola aree a cui si riferisce la diffida, come ripetutamente argomentato dal TAR nelle decisioni aventi analogo oggetto. Il comune ha ovviamente il potere di provvedere anche su tali situazioni con una variante generale, visto che la decadenza si è verificata per tutte le aree vincolate, ma l’avvio di tale procedimento non preclude la possibilità per i singoli interessati, laddove gli incomprimibili tempi della variante generale fossero ritenuti incompatibili con i termini fissati dalla legge regionale, di attivarsi autonomamente e di conseguire una pronuncia sulla loro richiesta entro il perentorio termine fissato dal comma 1quinquies più volte richiamato. Termine che non appare peraltro inadeguato, alla luce della considerazione che la decadenza dei vincoli si è maturata oltre 25 anni or sono, risalendo l’approvazione del PRG al 1979, venendo a determinare una situazione patologica tale da rendere ingiustificabili ulteriori ritardi nel fornire adeguata risposta alle istanze dei singoli soggetti interessati e ciò specie se l’iter della preannunciata variante generale si presenti tuttora di incerta definizione.

Resta quindi il fatto che le decisioni del Consiglio di Stato richiamate dalla difesa resistente hanno ribadito che "il termine (il cui spirare soltanto può dar luogo alla violazione dell’obbligo di provvedere e rendere ammissibile la tipizzazione giurisdizionale del silenzio davanti al giudice amministrativo…) del "procedimento di definizione delle aree per le quali sono scaduti i vincoli urbanistici ai sensi dell’art. 2 della legge n. 1187/1968 promosso a seguito di diffida ad adempiere da parte dei proprietari interessati" è, nella Regione Abruzzo, fissato, con carattere "perentorio", in "un anno" (art. 44, comma 1quinquies, della L.R. 3 marzo 1999, n. 11)". Il che implica che il predetto termine è nella fattispecie scaduto 7 settembre 2010.

Né è parte necessaria di questo giudizio la Provincia, a cui tra l’altro spetta "l’esercizio del potere sostitutivo, attraverso la nomina di un Commissario ad acta scelto tra il personale dirigente interno alla Provincia, in ordine all’adozione e approvazione dei piani regolatori generali od esecutivi e loro varianti nel caso di inerzia dei Comuni nei seguenti casi: 1) obbligo di disciplinare le aree nelle quali siano scaduti i vincoli urbanistici ai sensi dell’art. 2 della legge 19.11.1968, n. 1187 a seguito di diffida a provvedere entro un termine che non può essere inferiore ai quarantacinque giorni, diretta al Comune da parte dei proprietari interessati, nonché per conoscenza alla Provincia stessa" (1° comma, lett. b, L.R. 11/1999 cit.), potere (che peraltro non risulta attivato) il cui esercizio "non preclude al Comune di avviare il procedimento e provvedere con le forme e le modalità di cui al comma 1 bis, nel rispetto dei termini assegnati al Commissario ad acta" (comma 1ter). Ne consegue che, se l’interessato può attivarsi anche nei confronti della Provincia affinché proceda all’esercizio delle proprie attribuzioni, ciò non elimina che il dovere di provvedere comunque permane in capo al Comune che perciò è l’unico soggetto passivamente legittimato in questa sede laddove il proprietario non intende altresì sollecitare l’esercizio del potere sostitutivo.

Infine, quanto all’ultima eccezione, la destinazione a "servizi pubblici" sembra comportare un chiaro vincolo espropriativo piuttosto che una mera destinazione di zona, come invece dedotto dalla difesa comunale, visto che dall’art. 30 NTA non sembra emergere la possibilità di attività edificatorie private. Resta tuttavia il fatto, come evidenziato in precedenti sentenze del Tribunale (TAR L’Aquila 396, 440 del 2010) "che l’azione sul silenzio ex art. 21 bis legge 1034/197caratterizzata da un rito veloce che giustifica la precedenza sui ruoli ordinari- non consente di approfondire la questione volta per volta dedotta in giudizio, così che rimane estranea alla predetta sede processuale l’acquisizione istruttoria e documentale alla quale si sarebbe dovuto provvedere nel procedimento che il ricorrente stesso lamenta non essersi mai svolto, ovvero svolto in modo incompleto".

In conclusione il ricorso va accolto, con affermazione del conseguente obbligo dell’amministrazione comunale di pronunciarsi sull’istanza.

Nel caso in cui il Comune ritenga che il terreno sia sottoposto ad un regime urbanistico ancora vigente, e quindi che la disciplina di zona consenta l’attività edificatoria privata, l’ente medesimo dovrà dare una circostanziata risposta in tal senso non oltre giorni 30, anche per consentire ove del caso all’interessato di gravarsi mediante l’ordinaria azione di cognizione.

Confermata, al contrario, la natura vincolistica della previsione urbanistica, il Comune dovrà predisporre apposita variante per conferire alle aree in questione una nuova destinazione urbanistica rispetto a quella ora in atto. Data la natura dell’attività procedimentale richiesta, si ritiene congruo assegnare allo scopo il termine di 90 giorni per la definizione del procedimento in sede comunale. Riserva, su istanza della parte interessata, la nomina di commissario ad acta per il caso di perdurante inadempienza.

La particolarità delle questioni trattate induce alla compensazione integrale delle spese di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto ordina al Comune resistente di concludere il procedimento nei modi e termini indicati in motivazione. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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