T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 15-02-2011, n. 77 Enti locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

l verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente premette di essere comproprietaria di un edificio di civile abitazione sito in Teramo, Viale Crispi n. 27, a confine con il fabbricato di proprietà della società controinteressata che, in forza della concessione edilizia indicata in epigrafe, ha avviato lavori di "recupero edile ed ambientale" del medesimo. La concessione predetta è stata rilasciata in attuazione delle deliberazioni, anch’esse sopra indicate, con cui il Comune resistente ha approvato il piano di recupero in variante alle NTA del PRG proposto dalla medesima ditta controinteressata.

Avverso tali atti sono dedotti numerosi motivi a sostegno della domanda di annullamento dei medesimi.

Resistono in giudizio l’amministrazione e la società controinteressata che hanno preliminarmente rilevato la tardività del ricorso ed hanno comunque concluso per la sua reiezione.

2. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di irricevibilità.

Le parti resistenti richiamano l’orientamento secondo cui in via generale i piani attuativi -categoria nell’ambito della quale ricadono anche i piani di recupero- soggiacciono alla regola secondo cui il termine per l’impugnazione da parte dei soggetti non direttamente contemplati, quali i confinanti o i vicini, decorre dalla pubblicazione della delibera che li approva (cfr. da ultimo T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 5 novembre 2010, n. 4559 che richiama la pacifica giurisprudenza sul punto: T.A.R. Lombardia, Sez. II, 4.12.2007 n. 6539; Cons. St., Sez. IV, 31.1.2005 n. 254; Sez. V, 14.7.95 n. 1080, 30.7.1993 n. 812). D’altra parte anche la giurisprudenza più risalente era di analogo tenore: "i piani di recupero di cui agli art. 28 e 30 l. 5 agosto 1978 n. 457 sono strumenti urbanistici attuativi e, come tali, non hanno natura meramente programmatica ed implicano obblighi (ad effetto immediato) di trasformazione edilizia ed urbanistica per i proprietari e per il comune, di talché anche per loro vale il principio per cui il termine per la loro impugnazione, da parte dei soggetti non direttamente contemplati (quali i confinanti), decorre dalla data in cui ne è stata pubblicata la delibera comunale di approvazione" (Consiglio Stato, sez. V, 14 luglio 1995, n. 1080; analogamente Sez. IV, 28 maggio 1988, n. 468; T.A.R. Lazio, sez. II, 7 dicembre 1991, n. 1877; 23 dicembre 1991, n. 1979).

Più in generale Consiglio di Stato, sez. V, 21 dicembre 2010, n. 9314 da ultimo ricorda il "principio costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che il termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso le deliberazioni comunali decorre, per i soggetti non direttamente contemplati, dalla loro pubblicazione nell’albo pretorio (tra le altre cfr. Cons. Stato, V, 18.2.2009 n. 944; sez. V, 23 giugno 2008, n. 3112; VI, 3 ottobre 2007 n. 5105; Sez. IV, 26.4.2006 n. 2287; sez. IV, 10 giugno 2004, n. 3755; sez.V, 15 ottobre 2003, n. 6331; sez. VI, 6 marzo 2002, n. 1239; sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6601; sez. VI, 11 gennaio 2001, n. 96)". Infatti "L’art. 21 comma 1 della legge 1034 del 1971, nel regolare la decorrenza del termine decadenziale per la notifica del ricorso è stato costantemente ed univocamente interpretato nel senso che la pubblicazione di un provvedimento in appositi albi, quando sia prevista e prescritta da specifiche disposizioni normative, costituisce una forma di pubblicità legale e, dunque, vale di per sé ad integrare gli estremi della presunzione assoluta di conoscenza erga omnes, con la conseguenza che il termine per l’impugnazione decorre dall’ultimo giorno della pubblicazione". Ed anche nella fattispecie è presente "la condizione richiesta dalla giurisprudenza per la validità della pubblicazione dell’atto agli effetti della presunzione di conoscenza e cioè che la pubblicazione sia prescritta da una disposizione normativa che tale effetto espressamente riconosce" (ivi), visto che il principio è applicabile a tutte le deliberazioni del Comune, salvo i casi in cui ne sia richiesta la notifica individuale (ex multis T.A.R. Umbria, 26 marzo 2010, n. 218. Si tratta peraltro di principi ora esplicitamente canonizzati dall’art. 41, 2° comma, d.lgs. 104 del 2010), ed a maggior ragione nel caso di piano urbanistico attuativo la cui pubblicazione è prevista dalla legislazione di settore (artt. 20, 21, 27 L.R. Abruzzo 12 aprile 1983, n18).

Non essendo contestata l’avvenuta pubblicazione del piano tanto all’albo pretorio con decorrenza 24 giugno 2002 quanto sul BUR n. 22 del 25 ottobre 2002, né essendo state dedotte censure che coinvolgano l’aderenza di tali modalità di pubblicazione al modello legale, il ricorso notificato il 13 maggio 2005 risulta evidentemente tardivo. Quanto dedotto nel motivo sub VI del ricorso, con cui si sostiene la mancata osservanza delle previsioni di cui all’art. 26 della citata L.R. 18 in ordine alle modalità di pubblicazione ed alla regolarità del procedimento di formazione del piano in questione, è infatti confutato dagli atti prodotti dalla difesa comunale, dai quali risulta l’inserzione della delibera di adozione sulla stampa locale, l’affissione in luoghi pubblici di manifesti recanti la notizia dell’avvenuta adozione, la trasmissione della medesima alla Provincia, lo svolgimento della conferenza di servizi e quindi l’espletamento delle formalità idonee a perfezionare le forme di pubblicità legale previste dalla normativa di riferimento.

Con la memoria presentata in vista dell’udienza di discussione, ma la questione era già adombrata nel predetto VI motivo, la ricorrente ha sollecitato un ripensamento sul punto, e ciò sulla base della considerazione che non appare esigibile nei confronti del soggetto confinante un comportamento diretto a tenere costantemente d’occhio l’albo pretorio o il bollettino ufficiale per verificare le iniziative edilizie dei suoi vicini che, benché riferite a interventi su singoli edifici, siano precedute dalla preventiva approvazione di un piano di recupero.

Il collegio considera in proposito che la giurisprudenza ha avuto modo di affrontare la questione di un piano attuativo che introduca "una disciplina modificativa (sotto i profili del lotto minimo edificabile o delle distanze dai fabbricati preesistenti sui lotti confinanti) di quella risultante dal P.R.G. previgente e dalle disposizioni del D.M. 1444/1968, incidendo così sui rapporti di vicinato e comportando deroghe riduttive dei diritti dei confinanti", concludendo che in tal caso "appare coerente ritenere che anche nei confronti di costoro, ai fini della decorrenza dell’onere di impugnazione, siano richiesti adempimenti equivalenti a quelli dovuti nei confronti dei proprietari compresi nel Piano; e che quindi, in assenza di notificazione individuale, non possa considerarsi realizzata nei loro confronti la conoscenza legale dell’atto lesivo" (T.A.R. Umbria, 9 novembre 2005, n. 488, che richiama in senso analogo la propria sentenza 14 febbraio 2003, n. 70).

In senso analogo, in relazione a strumento assimilabile ad un piano particolareggiato con previsioni derogatorie rispetto al regime delle distanze e dei distacchi di cui allo strumento urbanistico generale, è stato riconosciuto che la proprietà limitrofa viene ad essere così gravata da una limitazione specifica, cosicché "il termine per l’impugnazione… decorre… non già dalla data di pubblicazione all’albo pretorio dell’avviso di deposito, bensì -in assenza di notifica individuale- da quella di effettiva conoscenza dell’atto".(TAR Marche 19 dicembre 2008 n. 2154).

Il caso di specie non appare tuttavia riconducibile a tali situazioni, caratterizzate da una indiretta incidenza delle previsioni dello strumento attuativo sulla proprietà contigua. Nessuna delle censure proposte ha infatti ad oggetto le summenzionate "deroghe riduttive", non essendo state introdotte dal piano di recupero varianti attinenti alle volumetrie consentite, alle altezze, alle distanze o ai distacchi previsti dalla disciplina recata dal PRG, ed in genere ad uno dei parametri in grado di ripercuotersi negativamente sui diritti dei confinanti.

Né l’essere titolare di proprietà contigua conferisce di per sé la titolarità del diritto alla notifica individuale, che non è dovuta nemmeno sulla base della deduzione che l’edificio della ricorrente sarebbe stato indebitamente escluso dal comparto edificatorio esteso all’intero isolato (ancora motivo VI e comunque diffusamente in ricorso): la delibera di perimetrazione della zona di recupero ex art. 27 L. 457/1978 non conferisce, infatti, ai proprietari degli immobili inclusi nella medesima una posizione assimilabile a quella dei soggetti direttamente contemplati dal piano, trattandosi di operazione preliminare all’approvazione dello strumento attuativo che può essere presentato dai singoli soggetti interessati nel rispetto della eventuale individuazione delle unità minime di interevento (art. 30 L. 457/78 nonché artt. 26 e 27 L.R. 18/83).

Il collegio non può perciò che ribadire in questa sede quanto già ritenuto dalla consolidata giurisprudenza e concludere quindi per la tardività del ricorso in esame.

Tale conclusione, se è limitata alla sola impugnazione degli atti di approvazione del piano di recupero, ha immediate ripercussioni anche sul capo concernente la concessione edilizia secondo quando eccepito dalle difese delle parti resistenti. Il titolo a costruire è infatti un atto meramente attuativo delle previsioni del piano di recupero, che costituisce il parametro di legittimità dell’intervento. Il ricorso non deduce alcun vizio riguardante un contrasto tra i due atti, cosicché le censure in questione -pur formalmente dirette nei confronti della concessione edilizia- finiscono nuovamente per coinvolgere l’ormai inoppugnabile piano di recupero. Tale capo di impugnazione è pertanto inammissibile per essere la concessione edilizia priva di autonoma portata lesiva.

L’unico aspetto astrattamente riconducibile a situazioni tali da rendere necessaria la notifica individuale e comunque riferibile ad una diversa previsione del piano di recupero, è prospettato nel motivo sub IX, dove si deduce la violazione della normativa sulle distanze. Viene infatti sostenuto che il predetto piano di recupero conteneva la specifica prescrizione in ordine alla conservazione di un muro preesistente contiguo alla proprietà ricorrente, nonostante dalle tavole di progetto risultasse evidente che il medesimo dovesse essere demolito per procedere alla realizzazione del previsto piano interrato (sulla questione si sofferma diffusamente, evidenziando l’impossibilità tecnica che tale prescrizione potesse essere osservata in sede esecutiva, il consulente del Pubblico Ministero nell’ambito del procedimento penale -poi conclusosi con l’archiviazione- relativo all’intervento). L’avvenuta demolizione del muro in questione avrebbe fatto sorgere l’obbligo del Comune di adottare adeguati provvedimenti repressivi e comunque imponeva che la successiva opera di riedificazione dovesse essere effettuata nel rispetto della normativa sulle distanze di cui all’art. 5.9 NTA del PRG, che fissa un distacco minimo dai confini pari a 5 metri e dai fabbricati di 10 metri, cosa nella fattispecie non avvenuta, essendo stato il muro ricostruito nella medesima posizione di quello demolito.

Il collegio osserva innanzitutto che tale circostanza non costituisce vizio né del piano di recupero né della concessione edilizia, visto che entrambi tali atti contenevano l’identica previsione conservativa, per cui la questione attiene casomai alla commissione dell’abuso di realizzazione dell’opera in difformità dal titolo edificatorio. Risulta tuttavia in atti (doc. 2 delle produzioni 30 marzo 2010 della società controinteressata) che l’amministrazione ha escluso di adottare misure sanzionatorie, rilevando che in merito la ditta aveva depositato in data 18 aprile 2005 apposita DIA acquisita ex art. 22 DPR 6 giugno 2001 n. 380. Tale parte dell’opera è pertanto interamente coperta dagli atti suddetti che non risultano impugnati, con conseguente inammissibilità della censura.

Quanto alle spese di giudizio le stesse vanno interamente compensate.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo dichiara in parte irricevibile e per l’altra parte inammissibile. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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