Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-11-2010) 18-02-2011, n. 6220

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Verso le ore 14,00 del (OMISSIS) una donna, vestita in modo da apparire una infermiera, entrava nella stanza di degenza del reparto di ostetricia del nosocomio dell’ospedale (OMISSIS) e prelevava dalla culla il neonato partorito da F.A. quella stessa mattina.

Sulla scorta delle indicazioni di due persone che per caso si trovavano a quell’ora nel predetto ospedale – B.P. e B.M.T. – e che avevano abitato fino ad un anno prima nello stesso edificio del padre dell’indagata, la polizia pervenne immediatamente alla identificazione della falsa infermiera e poco dopo la mezzanotte rinvenne il neonato rapito nella camera da letto della donna.

Dopo varie reticenze la B. confessava che suo intento era quello di inserire il neonato nel suo nucleo familiare come suo figlio, avendo patito un aborto spontaneo e non avendo comunicato al suo compagno la perdita del feto.

Per tali fatti il GIP presso il Tribunale di Nocera Inferiore convalidava l’arresto della donna per sequestro di persona e, con ordinanza emessa in data 11 giugno 2010, disponeva la custodia in carcere della B. per il reato di cui all’art. 605 c.p., comma 3.

Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 28 giugno – 2 luglio 2010, dopo avere chiarito che nei fatti contestati erano ravvisabili i reati di cui all’art. 605 c.p., comma 3, artt. 574, 56 e 567 c.p., e che erano ravvisabili sia i gravi indizi di colpevolezza, sia le esigenze cautelari sotto il profilo del pericolo di reiterazione, rigettava l’istanza di riesame della B..

Con il ricorso per Cassazione B.A., tramite il suo difensore di fiducia, deduceva:

1) la violazione di legge per la erronea applicazione dell’art. 605 c.p., comma 3 ed il vizio di motivazione sul punto, perchè la condotta posta in essere dalla B. andava inquadrata nella fattispecie legale prevista dall’art. 574 c.p. – sottrazione di incapace – e non in quella prevista dall’art. 605 c.p., non possedendo il neonato la libertà di movimento e locomozione, che tale norma intende tutelare. Escludeva, poi, il ricorrente che potessero concorrere i reati di cui agli artt. 574 e 605 c.p., risultando il primo specifico rispetto al secondo. A sostegno della sua tesi il ricorrente richiamava, tra le altre, una decisione del 1992 della Suprema Corte (Cass., Sez. 5, 7 luglio – 19 settembre 1992, n. 9538, Bonato) e criticava un precedente orientamento giurisprudenziale di segno diverso (Cass., 15 novembre 1977, Spada).

2) la omessa motivazione da parte del GIP in sede di convalida in ordine ai criteri di scelta della misura cautelare con conseguente violazione dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) bis;

3) la erronea applicazione della legge penale nella parte in cui era stato contestato il delitto di cui all’art. 56 c.p.p. e art. 567 c.p.p., comma 2, mancando i presupposti per ritenere un tentativo punibile.

Con memoria difensiva depositata il 20 ottobre 2010 la B. deduceva la nullità della ordinanza impugnata per mancata applicazione dell’art. 49 c.p..

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da B. A. non sono fondati.

E’, infatti, infondata la doglianza, con la quale si assume che il fatto andava qualificato ai sensi dell’art. 574 c.p. – sottrazione di persona incapace -, contenuta nel primo motivo di impugnazione.

E’ vero che esiste un contrasto della giurisprudenza in ordine alla possibilità di configurare il delitto di sequestro di persona nel caso di sottrazione di un infans, ovvero di un neonato, ma questo Collegio ritiene che ragionevolmente tale contrasto possa essere superato e che sia certamente da accogliere la tesi della configurabilità, quando ne ricorrano tutte le condizioni previste dalla legge, del delitto di sequestro di persona anche nel caso di sottrazione di persona incapace e, quindi, di un neonato, come è avvenuto nel caso di specie.

Il reato di cui all’art. 605 c.p. intende tutelare la libertà fisica e di locomozione (vedi Cass., Sez. 5, 15 novembre 1999 – 4 febbraio 2000, n. 5443), oppure quella di restare in un posto determinato senza essere illegittimamente rimosso, di ciascuna persona, senza alcuna distinzione tra persone capaci o meno.

Si tratta, infatti, di uno dei diritti fondamentali, considerato inviolabile, di cui è titolare ciascuna persona dal momento della nascita fino alla sua morte, che non può in alcun modo essere compresso se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge ( art. 13 Cost.).

Insomma la norma incriminatrice in questione serve a tutelare la libertà fisica, o meglio la libertà personale, da qualsiasi pregiudizio per la possibilità di movimento nello spazio secondo la libera scelta di ciascuno (così Cass., 15 novembre 1977, Spada e Cass., Sez. 1, 24 novembre 1993, n. 1841), pregiudizio esistente ogni volta che vi sia un apprezzabile limitazione di tale libertà.

Non vi può essere alcun dubbio che soggetto passivo del reato in discussione possa essere anche una persona giuridicamente incapace di agire e di far valere i propri diritti: si pensi oltre all’infans, all’amens, al portatore di handicap motori o intellettivi, e comunque a tutti i soggetti che per qualsivoglia ragione non siano in grado da soli di manifestare ed affermare la propria volontà e di tutelare i loro diritti fondamentali (sul punto vedi Cass., 24 novembre 1993, Nicora).

Come pure non può sussistere dubbio che nel concetto di privazione di libertà rientri sia il trattenimento della vittima contro la sua volontà in un determinato posto, sia la amotio della persona da un posto nel quale intendeva trattenersi.

Entrambe le condotte, infatti, ledono la libertà fisica della vittima che costituisce l’oggetto di tutela del delitto di cui all’art. 605 c.p..

Ma, obietta la ricorrente, nella ipotesi di neonato, che non ha una libertà propria di movimento e che non è in grado di manifestare un suo dissenso, non sarebbe configurabile il delitto di cui all’art. 605 c.p. che appunto tutela la libertà di movimento che, ovviamente, un neonato non possiede autonomamente.

Siffatta tesi, che trova conforto anche in alcuni precedenti (vedi Cass., Sez. 5, 7 luglio – 19 settembre 1992, n. 9538) giurisprudenziali, ma che è contrastata da altri autorevoli precedenti (vedi la sentenza Nicora già citata), non può essere condivisa.

Non bisogna confondere, infatti, la titolarità del diritto alla libertà fisica che, come già detto, spetta a ciascuna persona, che può, quindi, essere vittima del delitto considerato quando illegittimamente venga privata di tale libertà, dalla capacità, giuridica e pratica, di agire in difesa dei propri diritti.

Nessuno avrebbe, infatti, motivo di ritenere che il sequestro di un minore di tre o quattro anni, che non possiede ancora la capacità di agire a tutela dei propri interessi, ma ha la capacità di opporsi, piangendo o urlando, ad un rapimento non rientri nella fattispecie prevista dall’art. 605 c.p..

Non si comprende allora per quale ragione giuridica il bambino più piccolo, che non abbia ancora la capacità di reagire ad un atto contro la propria persona, non possa essere vittima del reato in discussione.

La verità è che la libertà fisica del minore e, quindi, anche quella del neonato, è garantita dai genitori e/o dalle persone alle quali venga affidata la loro cura e custodia; sono tali persone, infatti, che hanno il diritto di stabilire dove il neonato possa stare e con chi, e fino a che punto, possa allontanarsi dalla casa ove abiti o da un luogo di degenza o comunque di ricovero.

Nel momento in cui non vi sia il consenso delle persone alle quali sia affidata la custodia del minore, che non abbia la capacità di agire o di manifestare il proprio dissenso rispetto ad azioni di altre persone, si deve ritenere un implicito dissenso del minore ad essere rimosso dal luogo ove lo hanno riposto le persone che lo hanno in custodia o ad essere trattenuto in un luogo diverso da quello prescelto dai genitori.

Insomma è la condotta illegittima di privazione della libertà fisica del minore che integra il delitto di cui all’art. 605 c.p..

Ma, si potrebbe ancora obiettare, una tale condotta rientra certamente nella fattispecie prevista dall’art. 574 c.p. che esclude perchè speciale quella di cui all’art. 605 c.p..

Orbene certamente il fatto di avere sottratto un minore alle persone esercenti la potestà genitoriale integra il delitto di cui all’art. 574 c.p., ma ciò non esclude affatto che ricorra anche il delitto di sequestro di persona. Ed, infatti, le due norme non sono tra loro alternative, nè l’una assorbe l’altra (vedi Cass., Sez. 5, n. 38438 del 20 settembre 2001, Welsch, e Cass., Sez. 5, n. 21954 del 20 febbraio 2008, Cogorno, e l’analisi della giurisprudenza in tali sentenze contenuta) e possono, quindi, concorrere perchè i due delitti – sequestro di persona e sottrazione di persone incapaci – tutelano beni giuridici e diritti soggettivi diversi; la libertà fisica per quanto attiene al reato di cui all’art. 605 c.p. ed il diritto dell’affidatario dell’incapace a mantenere il predetto sotto la propria custodia per quanto riguarda il delitto di cui all’art. 574 c.p.; occasionalmente, ha osservato la Corte di legittimità, i due reati possono anche essere coincidenti nella stessa condotta antigiuridica (vedi la sentenza Welsch dinanzi citata, CED 219976).

Ma anche a volere ritenere che il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatici non abbia immediata rilevanza ai fini della applicazione del principio di specialità, come la più recente giurisprudenza ha sostenuto (cfr. da ultimo SS.UU. n. 16568 del 19 aprile 2007, Carchivi), dovendosi, invece, fare riferimento alle fattispecie da un punto di vista strutturale per individuarne le differenze (vedi SS.UU. n. 47164 del 20 dicembre 2005, Marino), non vi è alcun dubbio che la fattispecie di cui all’art. 574 c.p. e quella di cui all’art. 605 c.p. siano certamente diverse dal punto di vista strutturale e, sanzionino, in particolare, offese diverse;

hanno, cioè, un diverso oggetto materiale: l’una l’affidamento del minore e, quindi, la tutela dell’esercizio della potestà dei genitori, l’altra la libertà fisica e di movimento del minore (così Cass., Sez. 1, n. 47544 del 2-22 dicembre 2008, Pasculli). D’altronde alla commissione del reato di cui all’art. 574 c.p. non consegue necessariamente sempre anche la commissione del reato di cui all’art. 605 c.p. e nessuna delle due fattispecie incriminatici esaurisce, in concreto, l’intero disvalore del fatto in esame (l’esclusione dell’ipotesi di sequestro di persona contestata lascerebbe senza tutela il diritto di libertà di movimento del minore, cui pure vanno riconosciuti, come si è già detto, i diritti fondamentali). Non è, pertanto, possibile considerare soltanto apparente il concorso tra le due norme.

Infine un ulteriore argomento a sostegno della tesi che è ben possibile ravvisare il sequestro di persona anche quando oggetto del rapimento sia un infante lo si ricava dalla aggravante dell’art. 605 c.p., comma 3, introdotta di recente dal legislatore con la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 29, – così detto pacchetto sicurezza -; secondo tale norma infatti se il fatto……è commesso in danno di un minore, si applica la pena da tre a dodici anni. Il legislatore mentre stabilisce che l’aggravante in questione operi al di sotto di una soglia massima – quattordici anni – non fissa affatto una soglia minima al di sotto della quale l’aggravante stessa non sarebbe ravvisabile; ciò lascia intendere che il legislatore ha voluto offrire una maggiore tutela ai soggetti più indifesi, che sono tutti i minori degli anni quattordici, nessuno escluso.

E’ appena il caso di notare, infine, – ma sul punto non vi sono contestazioni, tenuto conto anche della sostanziale confessione dell’indagata – che il Tribunale, nel ricostruire il fatto, ha messo in evidenza tutti i gravi indizi esistenti a carico della B. e la condotta di sottrazione del minore dalla stessa posta in essere e dinanzi ampiamente descritta.

Infondato è anche il secondo motivo di impugnazione perchè i giudici dei primi due gradi di giurisdizione hanno ritenuto che la gravità del fatto commesso e la personalità deviante della B. – che non aveva mai manifestato segni di resipiscenza -, rendevano concreto il pericolo di recidiva ed imponevano l’applicazione della più rigorosa misura cautelare.

Del resto da tutto il contesto motivazionale e dalla valutazione della estrema gravità, tenuto conto anche delle particolari modalità della condotta, del delitto commesso emerge la valutazione compiuta dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione che soltanto la custodia cautelare in carcere avrebbe potuto garantire le esigenze cautelari.

Si tratta di valutazioni di merito che, per essere state correttamente e logicamente motivate dal Tribunale del riesame, non meritano censura sotto il profilo della legittimità.

Del tutto incongruo è il terzo motivo di impugnazione perchè in ordine al reato di cui agli artt. 56 e 567 c.p. non vi è stata domanda cautelare del Pubblico Ministero e, quindi, a questa Corte non può essere posto il quesito in ordine alla sussistenza o meno di un reato non ancora contestato all’indagata.

Si è trattato di una marginale notazione del Tribunale, il quale, pur dando atto che sul punto non vi era stata alcuna domanda cautelare, ha ritenuto di precisare che nella condotta posta in essere dalla B. poteva essere ravvisato anche l’indicato reato.

Si tratta di considerazione superflua ai fini della decisione e che, comunque, non poteva costituire oggetto di ricorso avverso la decisione del Tribunale del riesame.

Manifestamente infondato è il motivo dedotto con la memoria difensiva perchè, pur volendo prescindere dal fatto che appare dubbio che possa trattasi di motivo nuovo collegabile ai motivi dedotti con il ricorso, va detto che la denunciata inoffensività della condotta, che appare fondata sul presupposto che l’infans non possegga la capacità di locomozione o di espressione di volontà e, quindi, di autonomo esercizio del diritto di libertà, non è ravvisabile per tutte le ragioni ampiamente esposte nella trattazione del primo motivo di impugnazione, Per tutte le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente condannata a pagare le spese del procedimento.

La Cancelleria è tenuta agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del procedimento;

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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