Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7372 Tributi locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 9/2/05, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’appello proposto dalla società Le Querce s.r.l., e annullava la rettifica della rendita catastale proposta dalla società contribuente in sede di dichiarazione ex D.M. n. 701 del 1994 (cd.

DOCFA).

2. Il giudice di appello riteneva, invero, che l’Ufficio avesse erroneamente considerato, ai fini della determinazione del valore dell’immobile, un impianto fisso – costituito da una gru a ponte – non dichiarato dalla contribuente, poichè di proprietà della società conduttrice dell’immobile.

3. Per la cassazione della sentenza n. 9/22/05 ha proposto ricorso il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, fondato su un unico motivo. Il resistente non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia del Territorio deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La sentenza di appello sarebbe, invero, affetta da nullità per violazione delle norme suindicate – applicabili anche al rito tributario, in forza del richiamo operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 49 – non contenendo, ad avviso dell’Ufficio ricorrente, l’esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione.

1.1. Il motivo è infondato e va disatteso. Osserva, invero, la Corte che, ai fini della valutazione di congruità della motivazione della sentenza di appello, nel rispetto del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 c.p.c., commi 1 e 2, è da ritenersi sufficiente il riferimento alle ragioni in fatto e in diritto ritenute idonee a giustificare la soluzione adottata, tenuto conto dei motivi esposti con l’atto di appello avverso la sentenza impugnata. Non è, per contro, necessaria la compiuta esposizione della motivazione data dal primo giudice e v l’esplicita esternazione dei motivi di dissenso da quella motivazione, dal momento che tale dissenso risulta implicitamente dal mero confronto tra le due sentenze (cfr., ex plurimis, Cass. 9670/03, 28487/05).

1.2. Ebbene, nel caso di specie, dall’esame della sentenza oggetto di ricorso in questa sede, è dato inferire la compiuta esposizione dei motivi di gravame avverso la decisione di prime cure, proposti dalla società Le Querce, e la concisa esposizione delle ragioni che hanno indotto la Commissione Tributaria Regionale a riformare la decisione di primo grado, tenendo conto delle censure proposte dall’appellante.

Nessuna violazione delle norme suindicate – a giudizio della Corte – è, dunque, ravvisabile nel caso concreto.

2. Con il secondo motivo di ricorso l’Agenzia del Territorio deduce la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 652 del 1939, artt. 4 e 10 nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Ed invero, rileva l’Ufficio che il giudice di appello avrebbe del tutto erroneamente escluso l’incidenza dell’impianto fisso non dichiarato dalla contribuente – e consistente in una gru a ponte – nella determinazione f della rendita catastale, sul presupposto che detta installazione non è di proprietà della società Le Querce s.r.l., bensì della società conduttrice dell’immobile. Si sarebbe, infatti, dovuto considerare da parte della Commissione Tributaria Regionale – a parere del ricorrente – che la rendita catastale esprime "l’attitudine del bene a produrre reddito", sicchè essa andrebbe determinata tenendo conto di tutti quegli elementi, tra i quali gli impianti fissi, che contribuiscono alla produzione di reddito fondiario, ancorchè appartenenti a terzi. Detti impianti andrebbero, infatti, considerati – sempre stando alle allegazioni dell’Ufficio – "secondo un approccio squisitamente catastale e quindi oggettivo, a nulla rilevando la sussistenza di eventuali diritti reali o personali di godimento" di terzi sui beni in questione. 2.1.

Il motivo di ricorso in esame è fondato e va accolto.

Osserva, invero, la Corte che, ai sensi del combinato disposto del R.D. n. 652 del 1939, artt. 1 e 10 l’attribuzione della rendita catastale deve essere effettuata mediante la stima diretta delle "unità immobiliari costituite da opifici ed in genere dei fabbricati (…) costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni".

Orbene, il riferimento testuale alle "unità immobiliari", anzichè agli "immobili", evidenzia – ad avviso della Corte – l’intento del legislatore di assumere, quale base imponibile per la determinazione del reddito fondiario, non solo l’immobile in sè, ovverosia l’opera muraria, ma anche: tutti quei beni – e tra questi gli impianti fissi – i quali solo dal reciproco collegamento acquistano l’utilità e la capacità reddituale di cui sono ordinariamente privi (cfr., in tal senso, Cass. 21730/04, 26441/08, 10134/10).

E’, pertanto, evidente che, ai fini del classamento degli immobili, la normativa catastale non fa riferimento ai beni come oggetto di diritti, ma solo in quanto abbiano un’autonoma utilità e capacità reddituale, determinata alla stregua di tutti i suindicati elementi (strutture murarie e impianti) dell’unità immobiliare tassabile, a prescindere dalla loro appartenenza.

Se ne deve necessariamente inferire che, quand’anche l’opificio – come nel caso di specie – costituisca, in quanto tale, oggetto di un contratto di locazione, non per questo deve escludersi che allo stesso sia riferibile la rendita catastale, emergente dalla valutazione del complesso degli elementi costitutivi che caratterizzano l’unità immobiliare come opificio, in essi compresi, dunque, gli impianti fissi (cfr., in tal senso, Cass. 26441/08). E ciò in quanto – come dianzi rilevato – tutti gli elementi in parola, e segnatamente le installazioni fisse destinate a fini produttivi, contribuiscono alla produzione di reddito fondiario, e pertanto vanno dichiarati nella denuncia ex D.M. n. 701 del 1994 (cd. DOCFA).

2.2. Ne discende che, nel caso concreto, essendo incontroverso che la gru a ponte costituisse parte integrante dell’opificio, in quanto stabilmente infissa nell’immobile, del tutto priva di rilevanza deve considerarsi la circostanza relativa all’appartenenza di detto manufatto alla società conduttrice dell’immobile.

Ed invero, come si è in precedenza rilevato, gli impianti e, più in generale, i complessi di beni incardinati nell’unità immobiliare vanno considerati, nella stima diretta R.D. n. 652 del 1939, ex art. 10 sotto un profilo catastale, e perciò oggettivo, a prescindere dai diritti vantati sui beni stessi da terzi.

2.3. Del tutto contraddittoria si palesa, infine, – a giudizio della Corte – la motivazione dell’impugnata decisione, laddove, dopo aver dato atto che l’attrezzatura in questione è "saldamente infissa alla struttura dell’immobile", l’ha, poi, in modo del tutto incongruo, considerata "asportabile senza detrimento alcuno dell’immobile stesso". 3. L’accoglimento del secondo ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 1 rigetta l’opposizione proposta dal contribuente.
P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione della contribuente; condanna la resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.300,00, oltre spese prenotate a debito, nonchè delle spese dei giudizi di merito, che liquida in Euro 400,00 per diritti ed Euro 703,00 per onorari, per ciascun giudizio, oltre spese prenotate a debito.

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