Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-10-2010) 18-02-2011, n. 6210 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con decreto del 3 giugno 2004, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e disponeva la confisca dei beni di proprietà di B. C. e di S.A. nell’ambito del procedimento di prevenzione a carico di S.S.P.. Nei confronti del quale la misura di prevenzione era stata confermata in sede di gravame dalla Corte di Appello di Napoli ed il relativo provvedimento era stato confermato da questa Corte Suprema con sentenza 21 giugno 2007, che, invece, aveva annullato il decreto nei confronti delle odierne ricorrenti, con rinvio per nuovo esame in ordine alla misura patrimoniale disposta a loro carico.

Con il decreto indicato in epigrafe, la :Corte decidendo come giudice del rinvio, confermava il decreto opposto nei confronti di S. M.A. e di B.C., con consequenziali statuizioni.

– Avverso la pronuncia anzidetta i difensori delle prevenute hanno proposto distinti ricorsi per Cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.

– Con unico motivo, di identica formulazione, le ricorrenti denunciano violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza di motivazione. La censura lamenta che il giudice di appello non abbia preso in esame la copiosa documentazione ed i motivi di gravame esposti nei ricorsi, limitandosi al mero rilievo di asserita genericità degli stessi motivi.

2 – I ricorsi si collocano, decisamente, in area di inammissibilità, il cui sintomo più eloquente è costituito già dalla perfetta identità di formulazione.

Ed invero, è ius reception che, in tema di misure di prevenzione, il ricorso per Cassazione è esperibile solo per l’ipotesi della violazione di legge, ai sensi della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, non essendo consentito dedurre censure che attengano alla congruità e compiutezza della motivazione del provvedimento impugnato, salvi i casi di assenza o di mera apparenza di motivazione, integranti di per sè – secondo consolidato insegnamento di questa Suprema Corte – violazione di legge, come tale denunciabile in sede di legittimità. Tale tipologia di vizio invalidante non ricorre, certamente, nel caso di specie, posto che il decreto impugnato non può dirsi privo di motivazione, avendo indicato – sia pure succintamente – i motivi per i quali i beni in sequestro (numerosi apprezzamenti di terreno ed un appartamento in (OMISSIS), seppur intestati a S.M.A., moglie del proposto S.S.P., ritenuto appartenente al clan dei cosatesi, erano ritenuti nella disponibilità di quest’ultimo, sulla scorta di univoci elementi di giudizio (tra cui l’esclusiva disponibilità di fatto degli immobili in capo al coniuge, la mancanza di capacità reddituale o di risorse finanziarie tali da giustificare l’acquisto da parte della S.).

Identiche considerazioni sono state espresse con riferimento alla B., cognata del proposto, con riferimento alla quota di terreno acquistata in comproprietà con lo stesso S., tenuto peraltro conto che il cespite non era stato mai frazionato e risultava anzi utilizzato solo da quest’ultimo per l’esercizio dell’attività di allevamento bufalino svolto dalla sua azienda, alla quale la B. era del tutto estranea.

Per quanto concerne, infine, la doglianza relativa all’omesso esame di documenti e motivi di reclamo, la stessa è inammissibile per genericità, non avendo le ricorrenti specificato quali doglianze o documenti, ove adeguatamente valutati, avrebbero consentito una diversa valutazione. E’ vero invece, che la Corte, sia pure con giudizio complessivo (ampiamente giustificato dal difetto di specificità delle censure) ha rilevato che le deduzioni difensive si risolvevano in generica critica al provvedimento impugnato, inidonee – come tali – a superare la riscontrata prova contraria, volendo evidentemente intendere, al di là dell’erronea enunciazione, che non erano capaci di offrire prova contraria alla presunzione iuris tantum di disponibilità in capo al proposto dei beni sequestrati, stante il rapporto di convivenza od affinità con le fittizie intestatane.

3. – Per quanto precede, i ricorsi sono inammissibili ed alla relativa declaratoria conseguono le statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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