Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7361 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società PI.OLII s.r.l., già dichiarata fallita, ed i soci P.E. e P.C. proposero ricorso rispettivamente avverso l’avviso di accertamento relativo all’Irpeg ed all’Ilor per l’anno d’imposta 1991, ed avverso l’avviso di accertamento relativo all’Irpef, per il medesimo anno d’imposta. In tali atti, richiamato il processo verbale della Guardia di Finanza di Bari, era stata rettificata la dichiarazione della società e, conseguentemente, il reddito da partecipazione dei soci.

La Commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, accoglieva quello proposto dai soci, ritenendo la carenza di prova circa l’effettiva percezione di un maggior dividendo, e dichiarava inammissibile quello azionato dalla società in quanto proposto non dal curatore fallimentare ma dall’ex legale rappresentante della società.

Contro tale sentenza proponeva appello principale l’ufficio, riproponendo le stesse osservazioni già avanzate, ed appello incidentale contro la ritenuta inammissibilità il socio già legale rappresentante.

La Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado.

Contro tale ultima sentenza ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate con ricorso fondato su di un unico motivo. Gli intimati non hanno controdedotto.
Motivi della decisione

La ricorrente censura l’impugnata sentenza deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41; del D.P.R. n. 917 del 1986, del; dell’ art. 2727 e 2729 c.c.; dell’art. 112 c.p.c.; del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Si duole per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che gravasse sull’ufficio la prova dell’effettiva percezione da parte dei soci delle somme accertate in capo alla società, quando invece, trattandosi di società di capitale a ristretta base azionaria, opera una presunzione di distribuzione ai soci degli utili conseguiti extra bilancio.

La doglianza è stata proposta sia nei confronti della società, in persona dell’ex rappresentante, che dei due soci.

La prima di tali doglianze è inammissibile per carenza d’interesse.

Come si ricava dalla impugnata sentenza, e come assume la stessa ricorrente, il ricorso presentato dall’ex rappresentante della società è stato dichiarato inammissibile in primo grado (in quanto l’atto di accertamento emesso a carico della società non era stato impugnato dal curatore fallimentare); tale pronuncia è stata confermata in secondo grado e non impugnata in sede di legittimità.

Ne consegue l’assoluta carenza di interesse da parte dell’Agenzia, vittoriosa sul punto sia in primo che in secondo grado, ad ottenere una pronuncia contro la società nella presente sede, pronuncia che, peraltro, neppure motiva o specifica, essendo tutto il ricorso relativo solo ai soci. Tale ricorso va pertanto dichiarato inammissibile; non si ha luogo a provvedere in ordine alle spese di giudizio dal momento che la società contribuente non ha svolto attività difensiva.

La doglianza proposta nei confronti dei due soci è, al contrario, fondata secondo i principi già enucleati da questa Corte che ha affermato (ex plurimis: Cass. n. 18640 del 2009; conformi n. 13338 del 2009; n. 9519 del 2009; n. 1924 del 2008; n. 20851 del 2005) che "In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi".

Nel caso di specie è pacifica la ristretta base societaria (formata da due soli soci), e non è stato annullato – per quanto sopra esposto – l’accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati.

Il giudice dell’appello, omettendo di applicare il principio sopra affermato, si è limitato a motivare affermando: "Questa Commissione ritiene che l’ufficio non abbia provveduto in maniera adeguata a ricercare l’effettiva percezione delle somme accertate: E l’avvenuta percezione poteva essere verificata agevolmente proprio in considerazione degli elevati importi sei presunti dividendi che i soci avrebbero percepito".

In tal modo il giudice di merito ha totalmente omesso di valutare la circostanza della quale pure da atto, ovvero la ristretta base societaria; circostanza che invece, in mancanza di elementi contrari offerti dal contribuente, fa scattare una presunzione di distribuzione e percezione da parte dei soci degli utili conseguiti extrabilancio.

In virtù di quanto sopra esposto il ricorso proposto nei confronti dei soci va pertanto accolto e va cassata, in relazione a tale accoglimento, la impugnata sentenza.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dai due soci P. C. e P.E..

Le relative spese del giudizio di legittimità vengono liquidate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza;

quelle relative ai precedenti gradi di merito vengono invece interamente compensate tra le parti, tenuto conto della totale mancanza di difesa da parte del fallimento della società che ha di fatto comportato un aggravio difensivo per i due soci.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso proposto nei confronti di P. C. e P.E., cassa, in relazione, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dagli stessi; condanna detti intimati alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 30.000,00, delle quali Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori come per legge; compensa tra le parti le spese di giudizio dei gradi di merito. Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti della società per carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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