Cass. civ. Sez. V, Sent., 31-03-2011, n. 7342 Detrazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La S.r.l. in liquidazione sopra indicata e C.F.A. in qualità di liquidatore impugnavano gli avvisi di rettifica dell’imponibile ai fini IVA per il 1996, 1997 e 1998, quello relativo ai redditi ai fini IRPEG ed ILOR per il 1996, nonchè la cartella di pagamento portante le relative iscrizioni a ruolo, emessi dall’Ufficio sul presupposto che talune operazioni di acquisto da detta società effettuate fossero "soggettivamente inesistenti", in quanto poste in essere con società di comodo – che cessavano la propria attività dopo pochi mesi e non versavano l’IVA – con conseguente recupero a tassazione dell’imposta indebitamente detratta o del relativo costo in sede II.DD..

La C.T.P., previa riunione, accoglieva i ricorsi, ritenendo che gli acquisti posti in essere dalla parte contribuente presso le società di comodo del cosiddetto "primo filtro" fossero effettive soggettivamente e materialmente compiute, e che, pur in presenza di intenti illeciti della società, priva di organizzazione imprenditoriale, la contestazione erariale non potesse considerarsi motivata in mancanza di approfondimenti e riscontri. La C.T.R., con la decisione in epigrafe, respingeva l’appello dell’Ufficio, considerando insufficientemente provati i presupposti dei recuperi a tassazione, ritenendo incerta l’automatica "tassazione del pretium sceleris" rispetto alle operazioni "soggettivamente inesistenti", in presenza, come nella specie, di reale sopportazione dell’onere relativo e contrastando la definizione di "soggetto inesistente" attribuita alla società accertata, posto che documentalmente era stata fornita la prova della reale operatività aziendale, con regolari rilevazioni contabili, tenendo conto, altresì, che la "cartolarità" del sistema IVA precluderebbe indagini sulla regolarità "soggettiva" ove quella oggettiva non sia in discussione;

nè essendo pertinente il richiamo alla giurisprudenza di legittimità sul regolamento "fuori conto" dell’IVA su fatture per operazioni inesistenti, dovendosi, invece, applicare la tesi della Corte di giustizia CE, secondo cui, rispetto a dette fatture, il diniego della detrazione non scatta allorchè il rischio di perdita di entrate fiscali sia del tutto assente.

Avverso detta sentenza ricorrevano per cassazione il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle entrate, con quattro motivi.

Gli intimati resistevano con controricorso – sostenendo l’inammissibilità del ricorso e, comunque, l’infondatezza del medesimo, – e proponevano altresì ricorso incidentale con due motivi.

Con ordinanza del 14 gennaio 2010, riuniti i ricorsi, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sulla questione dell’applicabilità della sospensione dei termini di cui alla L. n. 289 del 2002 alle impugnazioni in materia di IVA, a seguito dell’inapplicabilità del condono IVA di cui alla stessa legge, a valle della sentenza Corte giust. 17 luglio 2008, in causa C- 132/06.

A seguito della pronunzia delle Sezioni Unite sulla descritta questione, i ricorsi venivano nuovamente posti in discussione all’udienza del 14.12.2010.
Motivi della decisione

Va dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero in quanto non è stato parte del giudizio di appello.

Procedendo quindi in ordine logico all’esame delle varie questioni poste con i ricorsi riuniti, va esaminato anzitutto il primo motivo del ricorso incidentale, con cui la società, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 comma 6, secondo periodo, ripropone la questione dell’inammissibilità dell’appello per tardività, già formulata in secondo grado. Il motivo è infondato; sul punto assolutamente corretta e condivisibile in ogni suo passaggio è da ritenersi la pronuncia del giudice di merito, chiara ed inequivocabile risultando dal tenore della norma la volontà del legislatore, relativamente alle controversie condonabili pendenti alla data del 29.9.2002, di sospendere "le liti", e pertanto tutte le attività processuali, e non solo i termini di impugnazione delle sentenze già emesse e non ancora divenute definitive, dal 1 gennaio 2003 e fino al giorno 1 giugno 2004. Ciò determinando un effetto "paralizzante" dei processi in questione, che nel caso di specie si è tradotto, non diversamente da quanto sarebbe accaduto se fossero esistiti i presupposti per la sospensione dei termini in periodo feriale, nel differimento del termine iniziale di impugnazione della sentenza di primo grado (depositata il 5 febbraio 2003, e notificata all’appellante il successivo 28 febbraio) al 2.6.2004, con conseguente tempestività dell’appello proposto dall’Agenzia il 28 luglio 2004.

Passando quindi all’esame del ricorso principale dell’Agenzia, esso risulta articolato in quattro motivi:

1. violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 perchè il divieto di ammissione della prova testimoniale previsto da tale norma non implica l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase di accertamento anche sul conto di un contribuente.

2. violazione D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21 e della sentenza Corte giust. CE 19.9.2000 nella causa C-454/98 perchè la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto che in relazione alle operazioni soggettivamente inesistenti non potrebbe essere negata la detraibilità dell’IVA versata, giacchè al contrario, se l’operazione è inesistente nessuna inerenza può sussistere e inoltre il diritto alla detrazione è da ritenersi "limitato alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta ad IVA o versate in quanto dovute" (Corte giust. 13 dicembre 1989, causa C-342/87); nè tali principi sarebbero in contrasto con altri desumibili dalla giurisprudenza comunitaria, richiamati nell’impugnata sentenza, giacchè questi ultimi si riferirebbero alla diversa ipotesi della possibilità per il cedente di rettificare le fatture in caso d’indebita fatturazione, laddove (condizione non esaminata nè dimostrata nel caso di specie) non vi sia stato rischio di perdita delle entrate fiscali.

3. violazione D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 e carenza di motivazione per non aver deciso nè motivato il giudice del gravame in ordine al legittimo operato dell’Ufficio nell’escludere la deducibilità dei costi relativi ad operazioni inesistenti.

4. Motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria sui seguenti punti:

4.a. per aver affermato di non aver rinvenuto alcun riscontro documentale alle contestazioni erariali, pur avendo riconosciuto l’esistenza di dichiarazioni confessorie del l.r. della società (riferibili, cioè, ad entrambe le parti private in giudizio);

4.b. per aver affermato la mancanza di prova della fittizietà della società accertata, senza considerare che detto carattere era, invece, riferito sia nell’atto impositivo che nel p.v. di constatazione della Guardia di Finanza, alle società cosiddette "cartiere primo filtro";

4.c. per non aver considerato gli altri elementi evidenziati dall’Ufficio a sostegno degli atti impugnati.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale la società lamenta violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15 e artt. 91, 92, 112 e 342 c.p.c., perchè la C.T.R. avrebbe illegittimamente ed immotivatamente compensato le spese del primo grado di giudizio, in assenza di uno specifico motivo di gravame.

Il ricorso principale dell’Agenzia è fondato, nei termini di seguito precisati.

Secondo l’ordine logico delle questioni, assumono rilievo assorbente le questioni di cui al secondo motivo ed al punto "b" del quarto motivo, che si rivelano fondate.

Anzitutto, conformemente a quanto dedotto dalla parte erariale, erroneamente la C.T.R. ha affermato che non ricorre nella specie l’ipotesi di fatturazione di operazioni "soggettivamente" inesistenti, non potendosi attribuire alla società accertata la definizione di soggetto inesistente. Infatti, nel caso in esame, le operazioni sono state contestate come "soggettivamente inesistenti" in considerazione della natura attribuita, non alla società cessionaria, parte della presene controversia, ma alle società cedenti, individuate come società di comodo del cd. "primo filtro", che reimportavano le merci da (OMISSIS), in esenzione d’imposta, e le rivendevano, con lieve ricarico a società, come quella in causa, del "secondo filtro", omettendo di versare all’erario l’imposta da queste dovuta ed essendo destinate ad essere liquidate e a scomparire dopo un’attività di pochi mesi – un anno (come pur precisato nella parte in fatto della sentenza impugnata). Gli accertatori, dopo aver verificato che taluni soggetti si procuravano la merce senza pagamento dell’IVA, e che cedevano la stessa merce alla società contribuente con fatture, solo apparentemente regolari, addebitando l’IVA, che non versavano all’Erario, hanno concluso che anche la società accertata partecipava all’illecito comportamento; dette fatture – "soggettivamente inesistenti" o "soggettivamente fittizie" – erano, comunque, non genuine e le operazioni relative sono state considerate e definite "inesistenti" sotto il profilo soggettivo per intendere che il soggetto fornitore si procurava la merce senza l’assolvimento dell’IVA e non corrispondeva all’Erario quella derivatagli dalla cessione in Italia, sottraendosi al relativo obbligo. In altri termini: le fatture erano "soggettivamente" fittizie, perchè il fornitore difettava, comunque, dei requisiti che consentivano alla controparte la detraibilità del tributo e non assolveva, comunque, lo stesso.

Anche il secondo motivo è fondato, in quanto va condivisa la tesi della parte erariale, secondo cui la detrazione IVA è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che opera effettivamente la cessione o la prestazione. Non entrano cioè nel conteggio del dare ed avere, ai fini IVA, le fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture riguardano operazioni, per quanto lo riguarda, inesistenti. Ed a nulla rileva che le medesime fatture costituiscano la "copertura" di prestazioni acquisite da altri soggetti.

E’ puntuale in proposito il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5718/07, 6378/06), secondo cui, in tema di IVA, l’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non è riconducibile alla fattispecie, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comma 3, dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, nè a quella, prevista dall’art. 21, comma 2, n. 1, medesimo D.P.R., di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui è effettuata l’operazione, ma va qualificata come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente, per la quale deve essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 cit., non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata (nonchè Cass. n. 15374/02, relativa alla reciproca ipotesi di fatturazione effettuata in favore di soggetto diverso da quello effettivo).

Del resto, la disposizione di cui all’art. 21 della legge d’imposta ( D.P.R. n. 633 del 1972) – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – va interpretata nel senso che il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato "fuori conto", e la relativa obbligazione, conseguentemente, "isolata" da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA "a valle" ed IVA "a monte") che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19, D.P.R. cit.; e ciò anche perchè l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto (Cass. n. 247/09; 309/06; 7289/01). D’altronde, tutto il complesso sistema dell’IVA poggia sul presupposto che l’imposta sia versata a chi ha eseguito prestazioni imponibili (che a sua volta potrà compensarla con l’IVA versata per l’acquisto di beni e di servizi); invece, il versamento dell’IVA ad un soggetto che non sia la genuina controparte apre la strada al recupero indebito dell’Iva stessa (Cass. n. 5718/07, cit., in motivazione).

Inoltre, la decisione impugnata illegittimamente ritiene non operabile la ripresa a tassazione, in quanto difetterebbe la dimostrazione della fittizietà delle operazioni, non potendo assumere rilievo, al riguardo, fa circostanza che la contabilità della società contribuente si presentasse regolarmente tenuta e che i pagamenti delle fatture contestate risultassero avvenuti.

Invero, il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’IVA (Corte giust. 13.12.1989, causa C 342/87, non smentita dalla successiva giurisprudenza). Ciò perchè, proprio in considerazione del particolare meccanismo che presiede ai funzionamento dell’iva, l’infrazione fiscale si configura per il solo fatto oggettivo che il contribuente, con il proprio comportamento, doloso o colposo che sia, abbia determinato il rischio per l’Amministrazione di non conseguire il pagamento dell’imposta effettivamente dovuta o l’abbia esposta a indebite detrazioni.

Peraltro, al principio, sostenuto dalla società (e sostanzialmente condiviso dal giudice a quo), della detraibilità tout court dell’iva versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, sembra, comunque, ostare il rilievo che la divaricazione tra il soggetto che ha emesso la fattura e quello che ha ceduto la merce o prestato il servizio impone che sia approfondita la ricorrenza dell’ulteriore requisito della detraibilità, costituito dell’inerenza all’impresa dell’operazione fatturata; requisito, che, al pari degli altri, è onere del contribuente comprovare (cfr. Cass. 13205/03, 11109/03, 15228/01).

L’inerenza" è "il nesso funzionale che lega il costo alla vita dell’impresa", il rapporto tra un costo e lo svolgimento della specifica attività, che costituisce la ragion d’essere stessa dell’impresa.

In ipotesi d’inesistenza soggettiva – nella quale, pur essendo i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa cessionaria, risulti che l’emittente della fattura è soggetto diverso dall’effettivo cedente/prestatore – l’obbligo di corrispondere l’importo corrispondente all’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente o fittizia deriva dal precetto normativo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, mentre risulta evasa l’imposta dovuta, in base al fisiologico funzionamento del meccanismo IVA, per l’operazione effettivamente realizzata (Cass. n. 6378/06, cit.).

Sulla base di tali premesse, il costo de N’IVA versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente o fittizia si appalesa quale costo non necessariamente inerente. Invero, il rapporto con lo svolgimento della specifica attività dell’impresa (che da diritto alla detrazione) e, quindi, l’inerenza risulta connaturalmente sussistere in relazione all’IVA, che sarebbe dovuta sull’operazione compiuta con l’effettivo cedente/prestatore, e che, tuttavia, resta evasa. L’IVA corrisposta al soggetto interposto (idonea, per il solo fatto dell’interposizione del percipiente, ad incrinare l’ordinario rigoroso meccanismo dell’imposta ed i controlli ad esso immanenti) è, invece, costo, che, in realtà, non può – aprioristicamente e senza precisi riscontri dello stato soggettivo del cessionario in merito all’altruità della fatturazione – considerarsi inerente allo svolgimento dell’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere in messo di inerenza (Cass. n. 1950/07).

Gli indicati riscontri non possono, d’altro canto, esaurirsi nell’accertamento dell’avvenuta consegna della merce e di quello del pagamento della merce medesima e dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al tema della prova, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’imposta e dei relativi abusi (Cass. n. 17377/09); mentre, in base ai criteri generali in tema di onere della prova, essi vanno provati dal committente/cessionario che intende avvalersi della detrazione. inoltre, i descritti principi non sono inficiati dal generico richiamo ad altre affermazioni della giurisprudenza comunitaria sul riconoscimento della detrazione anche in caso di frode di terzi di cui sia ignaro il soggetto passivo (Corte giust. 12 gennaio 2006, cause C-354, 355 e 484/03) ed allorchè il rischio di perdita di entrate fiscali sia dei tutto assente, dato che la punizione della condotta illecita avviene con le sanzioni amministrative e penali, che non possono estendersi all’imposta non dovuta (Corte giust. 19 settembre 2000, causa C-454/98). Peraltro, quanto ai presupposti per l’operatività di tali orientamenti, non risulta se e come siano state esaminate e dimostrate nelle precedenti fasi le questioni della buona fede della società in causa in rapporto a pretese frodi di terzi e quella dell’assenza di rischio di perdita per l’erario.

Va anche ribadito che i principi fin qui esposti, elaborati soprattutto con riferimento all’IVA, costituiscono applicazione di regole generali che possono essere ritenute comuni anche con riguardo all’applicazione di altri tributi (Cass. n. 17377/09, in motivazione), con conseguente assorbimento delle deduzioni di cui al terzo motivo di parte erariale circa le asserite carenze motivazionali in ordine alle riprese ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR. La ritenuta fondatezza delle questioni di cui al secondo ed al quarto motivo, punto "b", del ricorso principale assorbe ogni decisione anche in ordine alle censure di cui al primo ed al quarto motivo, punti "a" e "c", tutte relative ad assunte illegittime o inadeguatamente motivate valutazioni di risultanze di causa, che andranno comunque nuovamente operate dal giudice del rinvio a seguito dell’annullamento della decisione impugnata e del nuovo esame della controversia, che dovrà essere condotto alla stregua dei principi sopra esposti, in ordine ai recuperi a tassazione sia per IVA che per imposte dirette.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone l’accoglimento del ricorso principale e la cassazione della sentenza impugnata, con conseguente rinvio al giudice del gravame, così che non può essere accolto neanche il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui la società pone in discussione il regolamento delle spese della sentenza di primo grado, restando affidata al giudice di rinvio la nuova regolamentazione delle spese del giudizio, incluse quelle della presente fase di legittimità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Accoglie il ricorso principale dell’Agenzia e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della C.T.R. dell’Emilia Romagna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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