Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-02-2011) 21-02-2011, n. 6256 Sanità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 10 giugno 2010, il Tribunale di Siena – Sezione Distaccata di Poggibonsi condannava alla pena dell’ammenda M.L. e S.L. per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, in quanto, nelle rispettive qualità di rappresentante legale della società autorizzata a trasporto dei rifiuti e proprietaria dei veicoli e di esecutore materiale del trasporto, avevano violato le prescrizioni dell’autorizzazione, effettuando un trasporto di rifiuti speciali non pericolosi senza disporre di una copia autentica del provvedimento di iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la raccolta ed il trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi (punto 1 dell’autorizzazione) e per aver effettuato detto trasporto senza idonea copertura dei rifiuti, lasciandoli esposti agli agenti atmosferici (punto 2 dell’autorizzazione) in quanto protetti solo da un telo traforato.

Avverso tale decisione entrambi proponevano un unico ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deducevano la inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine all’affermazione della loro penale responsabilità con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4.

Rilevavano, a tale proposito, che la violazione contestata riguardava solo aspetti formali, essendo effettiva e valida l’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la raccolta ed il trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi (tanto che una copia era stata fatta pervenire all’autorità di polizia, immediatamente dopo il controllo, a mezzo fax) e le condizioni meteorologiche del giorno del controllo erano tali da non esporre il carico ad alcun agente atmosferico.

Aggiungevano che la contravvenzione, ancorchè consistente in un reato di pericolo, richiederebbe comunque una condotta idonea, almeno potenzialmente, ad arrecare danni all’ambiente, risultando, in caso contrario, penalmente irrilevante.

Con un secondo motivo di ricorso denunciavano il vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale aveva omesso di considerare se la condotta sanzionata era idonea a determinare un concreto pericolo di inquinamento, limitandosi ad un richiamo a prevedenti giurisprudenziali ritenuti in conferenti.

Insistevano, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4 sanziona, come in precedenza il D.Lgs. n. 22 del 1997, ormai abrogato art. 51, comma 4 le ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonchè le ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, prevedendo le pene stabilite nei precedenti tre commi, ma ridotte della metà.

Con riferimento alla natura del reato, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto (Sez. 3^, n. 38186, 8 ottobre 2003) che trattasi di reato formale, la cui configurabilità è ipotizzabile sulla base della semplice effettuazione di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni.

Inoltre, la natura di reato di mera condotta fa sì che, per l’integrazione della fattispecie, non assuma rilievo l’idoneità della condotta medesima a recare concreto pregiudizio al bene finale, atteso che il bene protetto è anche quello strumentale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione (Sez. 3^, n. 15560, 18 aprile 2007; Sez. 3^, n. 20277, 21 maggio 2008).

In altra occasione (Sez. 3^, n. 35621, 27 settembre 2007), si è chiarito che, nel reato in esame, lo scopo del legislatore è quello di apprestare una difesa anticipata del bene giuridico protetto, facendo sì che alcune condotte eminentemente formali e non collegate alla tutela di un interesse esplicitamente indicato e neppure immediatamente percepibile siano scrupolosamente osservate, con la conseguenza che la loro violazione viene punita indipendentemente da qualsiasi accertamento di una qualsiasi lesione concreta e da qualsiasi concreto interesse.

La citata decisione, peraltro, richiama il contenuto di altra pronuncia di questa Sezione (n. 10641, 7 marzo 2003) ove si precisa, con riferimento ad altro reato di pericolo ( D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163), che in tali casi "il contenuto offensivo del reato è espresso dalla stessa struttura della norma" e si rileva che il legislatore ritiene, con una sua valutazione vincolante per l’interprete, che certe formalità debbano essere osservate con il suggello addirittura della sanzione penale.

E’ il caso di aggiungere che tali conclusioni non risultano contraddette dalla decisione menzionata in ricorso (Sez. 3^, n. 39861, 12 ottobre 2004).

Il testo riportato è, infatti, incompleto e altera il senso del contenuto.

La decisione richiamata afferma, infatti, testualmente "…la natura di reato di pericolo, che palesemente riveste quello di realizzazione o gestione di discarica abusiva (per il concreto e rilevante impatto ambientale determinato da siffatti insediamenti), comporta che analoga natura debba essere attribuita anche a quelle condotte che, rendendosi inosservanti delle condizioni e prescrizioni apposte ai provvedimenti autorizzativi, sono idonee a dar luogo a danni all’ambiente o comunque ad aggravare i pregiudizi oltre i limiti previsti".

E’ chiaro, dunque, il riferimento alla scelta del legislatore di sanzionare anche condotte meramente formali, in considerazione del potenziale pericolo derivante dallo svolgimento di determinate attività che chiaramente giustifica la necessità di una scrupolosa osservanza di quanto disposto con il titolo abilitativo.

Così delimitato l’ambito di operatività della disposizione in esame, deve concludersi che il Tribunale ha fatto buon uso delle disposizioni applicate, fornendo adeguata e coerente indicazione delle ragioni poste a sostegno dell’affermazione di penale responsabilità degli imputati e rispondendo in modo esauriente e privo di cedimenti logici ai rilievi della difesa.

In definitiva, deve dunque nuovamente affermarsi che il reato previsto dal D.Lgs. 152 del 2006, art. 256, comma 4 è reato formale di pericolo per la configurabilità del quale è sufficiente lo svolgimento di una delle attività soggette a titolo abilitativo senza osservarne le prescrizioni, non essendo richiesto che la condotta sia anche idonea a configurare una situazione di concreto pregiudizio per il bene giuridico protetto.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *