Cass. civ. Sez. I, Sent., 01-04-2011, n. 7577 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato l’11 dicembre 1986 i sigg. D. G.V., D.G.G. e D.G.L. convenivano dinanzi al Tribunale di Caltanissetta il comune di Mazzarino e la cooperativa edilizia a responsabilità limitata "Le Calette" per sentirli condannare al risarcimento del danno da occupazione usurpativa di un’area di loro proprietà, di metri quadri 4540 circa, contestualmente meglio descritta, irreversibilmente trasformata in carenza di valida dichiarazione di pubblica utilità, giacchè la delibera adottata in assenza di P.E.E.P. non conteneva l’indicazione dei termini iniziali e finali dell’espropriazione e dei lavori.

Costituendosi disgiuntamente, i convenuti eccepivano il difetto di giurisdizione e in subordine proponevano reciproca domanda di rivalsa, rispettivamente fondata – dal comune – sull’obbligo convenzionale assunto dalla cooperativa di sollevarlo da ogni responsabilità relativa al procedimento espropriativo e – dalla cooperativa – sulla imputabilità all’amministrazione comunale del vizio di illegittimità della delibera.

Riassunta la causa dinanzi al tribunale di Gela, istituito nelle more, ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza 1 giugno 1999 la domanda veniva accolta nei soli confronti del comune di Mazzarino, condannato al pagamento della somma di L. 157.584.000, di cui L. 49.245.000 per l’indennità di occupazione legittima, con gli interessi legali dal 2 agosto 1992; mentre era rigettata nei riguardi della cooperativa. In accoglimento della domanda di rivalsa, il Tribunale di Gela condannava la cooperativa alla rivalsa di quanto il comune di Mazzarino avrebbe dovuto pagare agli attori in forza della sentenza.

In accoglimento del gravame principale proposto dai sigg. D. G., la Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza 22 aprile 2005, condannava il comune di Mazzarino al pagamento della maggior somma di Euro 110.735,00, oltre la rivalutazione monetaria dal dicembre 1986 fino alla data di pubblicazione della sentenza e gli interessi legali da quest’ultima data fino all’effettivo pagamento; rigettava la domanda di regresso proposta dal comune nei confronti della cooperativa e confermava, nel resto, la sentenza impugnata, con condanna del comune alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio sostenute dagli attori e dalla cooperativa.

Motivava:

che la delibera assunta dal consiglio comunale di Mazzarino in data 20 luglio 1981, avente per oggetto l’assegnazione dell’area alla cooperativa Le Calette e costituente l’unico provvedimento amministrativo con valore di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, non conteneva alcuna indicazione dei termini di inizio e compimento dell’espropriazione e dei lavori, ai sensi dell’art. 13 della L. 25 giugno 1865, n. 2359 (Espropriazioni per causa di utilità pubblica);

che, quindi, sia il decreto di occupazione quinquennale che il decreto di esproprio successivi dovevano considerarsi tamquam non essent ed essere disapplicati, con la conseguente dichiarazione di illegittimità dell’espropriazione, di natura usurpativa;

che, per l’effetto, i proprietari avevano diritto al risarcimento pieno del valore del fondo, da determinare con riferimento all’epoca di irreversibile trasformazione, nell’anno 1986;

che, trattandosi di debito di valore, doveva essere altresì riconosciuto sia il danno da svalutazione monetaria, sia il lucro cessante per il mancato godimento dell’area dalla data di immissione in possesso fino alla irreversibile trasformazione; mentre non era dovuta l’indennità di occupazione illegittima, vertendosi in tema di mero comportamento materiale della Pubblica amministrazione;

che era ormai irrevocabile, perchè non impugnata, la statuizione che escludeva la responsabilità della cooperativa, delegata dal comune al compimento di una regolare procedura espropriativa;

che, anche a mantenere distinto il rapporto interno di regresso tra comune e cooperativa rispetto a quello esterno con i privati, non si poteva ravvisare alcuna responsabilità della cooperativa, dal momento che il comune aveva il dovere di controllare e stimolare l’adempimento dell’ente delegato ed inoltre il decreto di esproprio era stato tempestivamente emesso entro il termine di occupazione legittima, tenuto conto delle proroghe ex lege: dovendosi imputare al solo comune l’omissione, preventivamente, di una valida dichiarazione di pubblica utilità.

Avverso la sentenza, non notificata, il comune di Mazzarino proponeva ricorso per cassazione notificato il 30 gennaio 2006 e affidato a quattro motivi.

Deduceva:

1) la violazione di legge nella qualificazione usurpativa dell’occupazione, dal momento che la previsione dei termini della delibera dichiarativa dalla pubblica utilità era resa superflua dalla previsione di un termine legale triennale dell’inizio dei lavori, decorrente dall’approvazione dell’opera, contenuta nella L. n. 35 del 1978, art. 1, applicabile nella specie;

2) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel rigetto della domanda di rivalsa, che aveva esteso al rapporto interno tra comune e cooperativa l’efficacia del giudicato formatosi sulla pronuncia di primo grado reiettiva della domanda risarcitoria nei confronti di quest’ultima, per acquiescenza degli attori;

3) la violazione di legge e la carenza di motivazione in ordine alla liquidazione del quantum, dal momento che non si trattava di occupazione usurpativa, bensì acquisitiva: e dunque soggetta al criterio limitativo di cui al D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis;

4) la violazione di legge nella determinazione degli interessi legali e della rivalutazione sulla somma liquidata.

Resistevano con controricorso la signora D.G.G., e i sigg. M.G., + ALTRI OMESSI soci della coop. Le Calette, che proponevano altresì ricorso incidentale articolato in due motivi ed ulteriormente illustrato con successiva memoria, con cui si censurava l’omessa dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Gela, in favore della Corte d’appello di Caltanissetta, ed il mancato rilievo del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in una vertenza sull’illegittimità del procedimento ablativo.

Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ., il comune di Mazzarino depositava una memoria illustrativa.

All’udienza del 22 febbraio 2011 il Procuratore generale ed il difensore del ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione

Dev’essere preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale n. 5.018 e del ricorso incidentale n. 10.519 R.G. 2006, concernenti entrambi la medesima sentenza ( art. 335 cod. proc. civ.).

Con il primo motivo il comune di Mazzarino deduce la violazione di legge nella qualificazione di occupazione usurpativa.

Il motivo è infondato.

L’art. 1 (Dichiarazione di pubblica utilità) della L.R. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35 (Nuove norme in materia di lavori pubblici e per l’acceleramento e la semplificazione delle relative procedure), applicabile nella specie, assegna all’approvazione dei progetti da parte dei competenti organi dei rispettivi enti territoriali valore equivalente alla dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza e di indifferibilità delle opere pubbliche (equivalenza, poi, confermata e regolata in via definitiva dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 325, art. 12 – Testo unico delle disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità); esigendo, tuttavia, al terzo comma, che nell’atto siano fissati i termini entro cui devono essere iniziati ed ultimati i lavori e le relative espropriazioni, ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13, contestualmente richiamato.

Nel caso in esame, incontestata la mancanza di un Piano per l’Edilizia Economica e Popolare – ed anche a prescindere dall’accertamento negativo, in punto di fatto, operato dalla corte territoriale dell’approvazione del progetto – resta dirimente il rilievo, neppure contestato adeguatamente dal ricorrente, che fanno difetto nella Delib. consiglio comunale di Mazzarino 20 luglio 1981, proprio i termini finali delle operazioni sopraindicate: ciò che determina la carenza di potere espropriativo e la natura usurpativa dell’espropriazione intrapresa.

Non è superfluo aggiungere che la questione definitoria ha perso, peraltro, ogni rilievo pratico sotto i due profili prospettati nel motivo.

Da un lato, infatti, in nessun caso la natura acquisitiva, piuttosto che usurpativa, dell’espropriazione avrebbe comportato la giurisdizione del giudice amministrativo (questione, cui pure si fa cenno, seppur in forma incidentale e quasi parentetica, nel motivo in esame), vertendosi pur sempre in tema di illecito aquiliano maturato anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (art. 34, come emendato dalle sentenze della Corte cost. n. 204/2004 e n. 191/2006), e quindi devoluto alla cognizione del giudice ordinario secondo l’antico criterio di riparto tra diritti soggettivi ed interessi legittimi (Cass., sez. unite, 9 Ottobre 2009, n. 21470;

Cass., sez. unite, 19 Maggio 2009, n. 11531). Dall’altro, dopo la dichiarazione di incostituzionalità del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, convenuto con modificazioni nella L. n. 359 del 1992 (Corte Costituzionale 24 ottobre 2007, n. 349), la cui applicazione è qui invocata ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, questa sarebbe pur sempre ragguagliata al valore venale dell’immobile, così come accertato dalla corte territoriale.

Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione di legge e la carenza di motivazione nel rigetto della domanda di rivalsa.

Il motivo è fondato.

Come la stessa sentenza impugnata riferisce, la cooperativa era stata condannata in primo grado a rivalere il comune di Mazzarino delle somme che quest’ultimo avrebbe pagato in favore degli attori, sul rilievo che ai sensi dell’art. 1 della convenzione stipulata il 30 luglio 1982 "il comune veniva sollevato da ogni responsabilità patrimoniale diretta o indiretta, contrattuale o extracontrattuale, derivante dal procedimento espropriativo"; e che "la cooperativa dovrà porre in essere gli atti espropriativi entro 10 mesi".

Ne consegue che il comune, totalmente vittorioso nell’azione di regresso, non aveva alcun onere di impugnare la diversa statuizione che, nei rapporti esterni tra attori e cooperativa, aveva negato l’esistenza di alcuna responsabilità di quest’ultima. Non era maturata, quindi, la preclusione pro iudicato in danno del comune posta a fondamento della riforma in grado d’appello, con il rigetto della domanda di rivalsa.

E’ vero che la corte territoriale ha enucleato anche una seconda, concorrente ratio decidendi nell’ottica della distinzione, delineata nella sentenza di primo grado, tra obbligazione risarcitoria principale e quella interna, di regresso, tra comune e cooperativa;

pervenendo alla medesima conclusione dell’assenza di responsabilità di quest’ultima.

Ma tale statuizione appare viziata da insufficiente motivazione, perchè si limita a negare la responsabilità esclusiva della cooperativa (senza neppure vagliare l’eventualità subordinata di un concorso), sotto il profilo che gravava sul comune il dovere di controllo e di stimolo delle operazioni di esproprio delegate: senza avvedersi che l’inosservanza di tale vigilanza poteva integrare la responsabilità dell’ente delegante nei confronti degli espropriati, ma non pure, verso la stessa autrice materiale dell’illecito dell’occupazione del fondo in carenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità.

Sul punto la pronunzia deve essere quindi cassata con rinvio alla corte territoriale, in diversa composizione, per un nuovo giudizio.

Con il terzo motivo il comune deduce la violazione di legge e la carenza di motivazione in ordine alla liquidazione del quantum.

Il motivo è infondato.

Si è già richiamata la dichiarazione di illegittimità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, di cui si lamenta la disapplicazione.

La rimanente censura di insufficiente motivazione si risolve in una difforme valutazione delle risultanze istruttorie poste fondamento dalla decisione – ed in particolare, dell’esame comparativo delle due consulenze tecniche d’ufficio operato dalla corte territoriale – che ha natura di merito e non può, quindi, trovare ingresso in questa sede.

L’ultimo motivo con il quale si denunzia la violazione di legge nella determinazione degli interessi legali e della rivalutazione sulla somma liquidata è in parte fondato.

E’ infatti vero che il principio espresso in motivazione, secondo cui gli interessi legali si calcolano sulla somma via via rivalutata annualmente, non si rispecchia esattamente nella formula riassuntiva del dispositivo, che grava invece di interessi la somma finale già rivalutata.

E’, per contro, infondata l’ulteriore doglianza in ordine al preteso anatocismo, dal momento che il riferimento agli interessi legali sull’indennità di espropriazione ha solo un valore figurativo, e cioè di parametro della liquidazione dell’indennità di occupazione che costituisce la sorte-capitale: ciò che esclude la natura anatocistica degli interessi moratori su di essa addebitati fino alla data dell’effettivo pagamento.

Pure immune dal vizio lamentato è il dies ad quem, per la rivalutazione della somma liquidata, alla data della sentenza d’appello, che sostituisce, come titolo di condanna, la sentenza di primo grado, riformata in punto quantum debeatur.

La sentenza dev’essere quindi cassata nei sensi di cui sopra, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese processuali della fase di legittimità.

E’ invece inammissibile il ricorso incidentale proposto dai signori M., + ALTRI OMESSI .

A prescindere dal rilievo che la loro qualità di soci della cooperativa edilizia "Le Calette", convenuta in primo grado, viene dichiarata solo nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. (nel controricorso gli stessi appaiono, invero, dei meri quisque de populo), si osserva come in tale veste essi siano privi di carenza di legittimazione ad impugnare, in assenza di prova (e per la verità, anche di allegazione) dell’estinzione della società, a seguito di rituale liquidazione e cancellazione dal registro delle imprese ( art. 2495 cod. civ.).

Ne consegue la condanna dei ricorrenti incidentali alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi;

dichiara inammissibile il ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo e, in parte qua, il quarto motivo del ricorso principale, cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, anche per le spese della fase di legittimità;

condanna i ricorrenti incidentali alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, per il comune di Mazzarino, ed in Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per spese, per i sigg. D.G.; oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *