Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-12-2010) 21-02-2011, n. 6458 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con provvedimento in data 10.5.2010 il Tribunale di Trani in composizione collegiale disponeva il sequestro preventivo ai fini della confisca L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies dei conferimenti eseguiti da D.S.D., D.S.M. e D.S. M. nei confronti della Immagine Cooperativa Edilizia a.r.l. nonchè del diritto, vantato dagli stessi nei confronti dell’anzidetta cooperativa in conseguenza dei conferimenti operati, all’acquisto della proprietà dei beni immobili specificatamente indicati, beni immobili ritenuti nella disponibilità di D.S. D. imputato nei procedimenti penali n. 6584/08 RGNR e n. 653/2008 RGNR per usura ed estorsione.

Avverso il provvedimento presentavano richiesta di riesame D.S. D., D.S.M. e DI.SU.Ma., deducendo l’insussistenza dei requisiti di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, D.S.D. anche l’assenza della riscontrata sproporzione, D.S.M. e DI.SU.Ma. (figli di D. S.D.) l’assenza, oltre che del requisito della sproporzione, anche di quello della riconducibilità del patrimonio a D.S.D..

Con ordinanza in data 1.6.2010 il Tribunale di Trani in funzione di Giudice del Riesame confermava il provvedimento indicato evidenziando la sproporzione fra i risibili redditi denunciati da parte del D. S.D. e l’assenza di redditi da parte dei figli all’epoca in cui avvennero i conferimenti in argomento, circostanza che portava a ritenere la riconducibilità dei beni al genitore.

Ricorre per cassazione il difensore di D.S.D., D.S. M. e DI.SU.Ma. deducendo:

– Violazione dell’art. 125 c.p.p. per assoluta mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Sostiene il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato dal Riesame i beni, formalmente intestati alla cooperativa "Immagine Cooperativa Edilizia a r.l.", non sono nella disponibilità del D.S.D., ma dei suoi figli che abitano gli immobili unitamente alle loro famiglie.

– Con riguardo alla posizione di D.S.D. lamenta la difesa di non avere mai dedotto che i guadagni dell’indagato erano frutto di evasione fiscale, ma di avere allegato la liceità di tali proventi, frutto di operazioni commerciali legittime e trasparenti.

– In ogni caso rileva che la presunzione posta dalla L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, in forza della quale i beni incriminati sono oggetto di confisca, può operare solo rispetto all’imputato e non al terzo sequestrato, quali sono i figli di D.S.D..

Osserva innanzi tutto il Collegio che in tema di riesame delle misura cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali. Ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, considerato che nel concetto di "violazione di legge", come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), non rientrano anche la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, che sono invece separatamente previsti come motivo di ricorso (peraltro non applicabile al ricorso ex art. 325 c.p.p.) dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. SS.UU., 28.1.2004 n. 5876). Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in questa materia ha pertanto un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla assoluta mancanza di motivazione ovvero alla presenza di motivazione meramente apparente. E la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo altresì di evidenziare (Cass. sez. 2A, 22.5.1997 n. 3513), con riferimento alla problematica del riesame delle misure cautelari, che il legislatore ha in tal modo inteso sanzionare l’elusione da parte del giudice del riesame del suo compito istituzionale di controllo "in concreto" del provvedimento impugnato, riconducibile alla prescrizione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, sanzionato a pena di nullità, e dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Solo un tale rifiuto di provvedere si traduce in una peculiare mancanza assoluta di motivazione, riconducibile alla violazione tipica di una norma processuale prevista a pena di nullità ( art. 125 c.p.p., comma 3) e pertanto deducibile con il ricorso per cassazione anche nella limitata estensione consentita dall’art. 325 c.p.p..

Esulano invece dalla previsione del predetto art. 325 c.p.p., quei vizi della motivazione consistenti nell’omesso esame, nel contesto dell’iter argomentativo svolto dal Tribunale del riesame per dare contezza delle proprie determinazioni, di specifici fatti ovvero nella illogica o contraddittoria valutazione degli stessi, essendo tali vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ma non dell’art. 325 c.p.p..

Ciò detto si rileva che nel caso in esame si verte in ipotesi di sequestro preventivo in funzione della potenziale confisca di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, che configura la confisca come misura di sicurezza patrimoniale atipica, modellata secondo lo schema della misura di prevenzione antimafia, dalla quale mutua la finalità preventiva (cfr. Cass. Sez. Un., 30.5/17.7.2001 n. 29022, rv.

219221). I presupposti ai quali è subordinato il sequestro in parola e che devono essere verificati dal giudice al momento dell’applicazione della cautela reale (e riscontrati dal Tribunale in sede di giudizio di riesame), sono stati individuati dalla giurisprudenza: 1) nell’esistenza del "fumus commissi delicti", 2) nella sproporzione del valore dei beni, di cui il soggetto sia titolare o di cui abbia la disponibilità attraverso interposta persona, rispetto al reddito o all’attività economica esercitata dallo stesso; 3) nella mancata dimostrazione della loro legittima provenienza. Tali osservazioni mantengono la loro validità anche nell’ipotesi che il sequestro abbia ad oggetto beni intestati a persona non indagata, sotto il profilo che l’intestazione sia meramente fittizia e che la proprietà effettiva faccia capo all’indagato.

Nessun rilievo hanno sollevato i ricorrenti in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti. Per quanto riguarda la questione relativa alla presunzione di illecita provenienza dei conferimenti effettuati alla Immagine Cooperativa Edilizia a.r.l. e di conseguenza dei beni immobili acquistati con detti conferimenti non si ravvisa nè una mancanza dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato nè una presenza di motivazione puramente apparente, avendo il Tribunale del riesame compiutamente evidenziato quegli elementi fattuali che inducevano a ritenere l’insussistenza di elementi idonei a giustificare la lecita provenienza del compendio patrimoniale sottoposto a sequestro.

In particolare il Tribunale del riesame, nell’impugnato provvedimento, ha fatto espresso ed analitico riferimento agli esiti delle informative della Guardia di Finanza rilevando come dalle stesse fosse emersa una evidente ed ingiustificata sproporzione tra il valore economico dei beni complessivamente nella disponibilità dell’indagato e dei figli ed i loro redditi dello stesso; ed ha in particolare rilevato come D.S.D. ha dichiarato i seguenti redditi: Euro 160,00 nel 2004; Euro 568,00 nel 2005; Euro 9968,00 per l’anno 2006, mentre nel 2007-2008 non presentava alcuna dichiarazione. DI.SU.Ma. ha dichiarato i seguenti redditi:

Euro 7.411,00 nel 2004; Euro 1.100,00 nel 2005; Euro 525,00 ed in qualità di titolare della ditta individuale Studio D.S.- T. Euro 30.626,00 per l’anno 2007 ed una perdita di Euro 14.697,00 per l’anno 2007 ed Euro 1.858,00 per l’anno 2008. Risulta aver percepito a vario titolo Euro 6322,00 nel 2007 ed Euro 1.858,00 nel 2008. D.S.M. dal 2004 al 2008 non ha presentato dichiarazione dei redditi Risulta aver percepito a vario titolo Euro 13.766,00 nel 2007 ed Euro 12.048,00 nel 2008. Sua moglie C. M. ha invece dichiarato i seguenti redditi: Euro 4.408,00 per l’anno 2004; Euro 2.233,00 per l’anno 2005; Euro 1.840,00 per l’anno 2006; nulla per il 2007 e 2008.

I giudici del riesame sono di conseguenza pervenuti alla conclusione, con motivazione non solo effettiva ma anche assolutamente esauriente, che si sottrae pertanto ai rilievi ed alle censure sollevati con il proposto ricorso, che i ricorrenti, a fronte della riscontrata insufficienza della capacità reddituale ad accantonare ricchezza, non avevano fornito la prova positiva della lecita provenienza dei beni sequestrati.

Nè appare conducente il rilievo che i beni sono nella disponibilità dei figli e delle loro famiglie perchè a loro assegnati dalla IMMAGINE COOPERATIVA EDILIZIA A.R.L..

La giurisprudenza di questa Corte, nell’interpretare la disposizione di cui all’art. 321 c.p.p. con riferimento al sequestro di beni D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, ha chiaramente avvertito che il legislatore, nella specifica materia, ha creato una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale, trasferendo sul soggetto che ha la titolarità o la disponibilità del bene l’onere di giustificarne la provenienza; tale presunzione è peraltro inoperante con riferimento alla titolarità o alla disponibilità da parte dell’imputato di beni formalmente intestati a terzi, nel qual caso trova applicazione la consueta ripartizione dell’onere probatorio, che grava sull’accusa. Ha rilevato tuttavia questa Corte che siffatta prova, concernendo il rapporto tra la persona ed il bene, coincide con quella incentrata sulla esistenza di una intestazione fittizia del bene stesso, di talchè sarà sufficiente dimostrare che il titolare apparente, sulla base del reddito dichiarato, non svolgeva un’attività in grado di procurargli il bene, per comportare l’inversione dell’onere della prova, spettando a lui dimostrare una titolarità del reddito non dichiarato adeguato ad assicurargli la titolarità del bene, la cui intestazione, dunque, non è reale ma fittizia (in tal senso, Cass. sez. 1A, 24.10.2000 n. 3889).

Nel caso di specie i giudici del riesame hanno evidenziato la esiguità dei redditi dei figli di D.S.D.. E pertanto neanche sotto tale profilo il ricorso può trovare accoglimento. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille Euro ciascuno alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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