Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-12-2010) 21-02-2011, n. 6457 Sequestro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A seguito di decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. di Novara il 3.4.2010, il 10.10.2010 erano stati sottoposti a sequestro probatorio la somma di Euro 13.200,00 in contanti, molteplici assegni bancari, molti dei quali firmati per traenza da terzi, postdatati e senza indicazione del beneficiario, ad eccezione di un solo assegno postdatato al 30.6.2010, dell’importo di Euro 32.000,00 emesso in favore di E.E. (indagato nel presente procedimento, in concorso, per usura continuata) svariati carnet di assegni già emessi per vari pagamenti, identificabili attraverso le matrici, con alcuni assegni ancora integri in bianco ma già firmati per traenza da soggetti diversi dall’indagato, documentazione cartacea varia, per lo più bancaria e contabile, rinvenuti nella cassetta di sicurezza in uso all’ E. presso l’UCB ag. di Milano Stradivari e nel suo portafoglio, il tutto meglio specificato nel verbale di perquisizione e sequestro.

Avverso il provvedimento presentava richiesta di riesame E. E. che chiedeva l’annullamento o la revoca del sequestro contestando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza atti a giustificare la misura cautelare adottata e la qualità di corpo del reato o di cose pertinenti al reato di quanto sequestrato, poichè di legittima provenienza in udienza i difensori eccepivano la carente motivazione del decreto di sequestro e la mancata convalida ex art. 355 c.p.p., comma 2 da parte del P.M. del sequestro eseguito dalla P.G. su cose diverse da quelle indicate nel decreto di perquisizione e sequestro.

Con ordinanza in data 1.6.2010 il Tribunale di Novara in funzione di Giudice del Riesame confermava i provvedimenti indicati sulla scorta dell’esistenza del fumus delicti a carico di E.E., impiegato bancario presso la Unicredit di Como, in ordine al reato di usura in danno dell’imprenditore R.P., così come emergeva dagli atti d’indagine svolti, consistiti in particolare in intercettazioni telefoniche, del rapporto di pertinenzialità tra le cose sequestrate ed il reato e delle esigenze probatorie in quanto il provvedimento cautelare appariva necessario a finalità di accertamento del reato.

Ricorrono per cassazione i difensori dell’ E. deducendo: 1) Nullità del decreto di perquisizione e sequestro in relazione agli artt. 268 e 324 c.p.p. per violazione del diritto di difesa. Lamenta il ricorrente la nullità della misura cautelare perchè si fonda su intercettazioni telefoniche delle quali non sono stati depositati nè i brogliacci, nè i supporti magnetici richiesti dalla difesa. Il P.M. non solo si era, infatti, limitato a depositare, dopo la notifica del sequestro, presso la cancelleria del Tribunale, ai sensi dell’art. 324 co 3 c.p.p. l’informativa del 18.5.2010 dei CC di Arona contenente un estratto di alcune conversazioni intercorse tra il ricorrente e R.P., ma aveva anche respinto l’istanza della difesa che aveva chiesto il rilascio di copia dei nastri magnetici e delle trascrizioni richiamate dal P.M. nella memoria a supporto del sequestro sul presupposto che si trattava di atti non depositati. Si doleva inoltre della genericità della contestazione che impediva l’esercizio di un effettivo diritto di difesa;

2) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) in relazione all’art. 644 c.p. e art. 250 c.p.p.. Sosteneva che il Tribunale, pur a fronte di un notevole sforzo motivazionale, non era riuscito a colmare la genericità dei decreti di perquisizione e sequestro ed aveva acriticamente aderito alla tesi dell’accusa. Contestava l’erroneità dell’ipotesi di reato formulata a carico del ricorrente.

3) Violazione degli artt. 355, 250 e 255 c.p.p. per mancata convalida del sequestro nella parte in cui è stato effettuato dalla P.G. su delega del P.M. su beni non indicati specificatamente nel provvedimento di perquisizione.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Com’è noto, la Corte Costituzionale, con sentenza dell’8-10 ottobre 2008, n. 336, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 268 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.

Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 20300/2010 hanno puntualizzato che, al fine di porre il pubblico ministero nella possibilità di adempiere il proprio obbligo, è necessario che la richiesta venga proposta in tempo utile rispetto alle cadenze temporali indicate dalle norme processuali. Se quella cadenza temporale non è possibile ragionevolmente osservare, per essere ad esempio stata la richiesta proposta in tempo non utile ad essere assolta, il tribunale del riesame deve comunque decidere alla stregua degli atti trasmessigli nel termine impostogli dalla legge.

Ciò detto non può non rilevarsi che nel caso in esame la richiesta è stata avanzata dal difensore dopo che il Tribunale del Riesame aveva deciso. La richiesta è infatti dell’11.6.2010 e la decisione è intervenuta l’1.6.2010.

Così come non può non evidenziarsi in ordine alla lamentata genericità della contestazione che la perquisizione ed il sequestro probatorio sono mezzi di ricerca della prova che intervengono sulla notitia criminis, in una fase iniziale e fluida delle indagini, in cui sovente non può ancora essere formulata una vera imputazione, neppure in forma provvisoria, con la conseguenza che per valutare la legittimità del provvedimento cautelare, come correttamente ha fatto il Tribunale del Riesame, deve solo verificarsi se il fatto concreto, così come ipotizzato, corrisponda all’astratta fattispecie tipica.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

Sul punto, deve ricordarsi che questa corte ha esattamente definito il potere del giudice del riesame attraverso due pronunce delle sezioni unite, che, proprio in tema di sequestro probatorio, da un lato hanno riconosciuto a tale giudice il compito di verificare "l’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato" (Sez. Un. n. 20 del 29/11/1994, P.M. in proc. Ceolin, rv. 199172), e dall’altro hanno precisato che esula da tale compito il potere di esercitare "una verifica in concreto della fondatezza" della tesi accusatoria, sicchè quel giudice "non deve instaurare un processo nel processo" (Sez. Un. n. 23 del 29/01/1997, Bassi, rv. 206657).

In sintesi il giudice del riesame, sulla base del fatto contestato dal Pubblico Ministero, deve controllare l’astratta configurabilità giuridica del reato, ma non può giudicare la concreta sussistenza del reato ipotizzato e tanto meno la colpevolezza dell’indagato o dell’imputato. Insomma non può instaurare un processo di merito nell’ambito del procedimento incidentale.

Non significa però che il giudice deve accettare comunque la prospettazione giuridica del Pubblico Ministero in ordine alla astratta configurabilità del reato, anche quando questa appare insussistente, sol perchè potrà essere definitivamente esclusa dal giudice di merito. Così opinando, si attribuirebbe al Pubblico Ministero il potere di stabilire il fumus commissi delicti senza alcun vaglio giurisdizionale, sino al processo di merito, con la conseguenza che – in tema di sequestro probatorio – il giudice del riesame dovrebbe riconoscere il fumus boni iuris della misura processuale anche quando difettasse l’astratta configurabilità del reato.

Nel caso di specie, il tribunale del riesame nel compiere il controllo di legalità che gli spetta, non si è limitato a "prendere atto" della tesi accusatoria, ma, senza spingersi sino a una verifica in concreto della sua fondatezza, ha valutato che tutti gli elementi di fatto rappresentati gli consentivano di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.

Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.

In tema di sequestro probatorio l’attività della P.G. necessita di convalida ex art. 355 c.p.p. ogni qualvolta il decreto del P.M. non indichi l’oggetto specifico della misura, ma contenga un generico richiamo "a quanto rinvenuto": ciò in quanto siffatta indeterminatezza rimette alla discrezionalità degli operanti l’individuazione del presupposto fondamentale del sequestro e, cioè, della qualificazione dei beni come "corpo" e/o "pertinenza" del reato, per la quale attività, non definitiva, è richiesto un controllo dell’autorità giuridiziaria. In sostanza la ratio della preventiva determinazione delle cose da sequestrare nel decreto di cui all’art. 253 c.p.p. sta nell’esigenza di circoscrivere l’attività di ricerca della prova da parte della P.G. nell’ambito di attività meramente esecutiva, non essendo previsto un successivo controllo dell’A.G.. In tale prospettiva è stato precisato, con argomentazioni condivise dal Collegio, che il decreto di perquisizione del pubblico ministero, che pure non indichi cose specifiche, ma le individui per genere con riferimento alla loro natura, destinazione e pertinenza al reato, è autorizzazione sufficiente per il sequestro di quelle rinvenute che abbiano tali caratteri, di talchè deve escludersi in proposito che si tratti di attività d’iniziativa della polizia giudiziaria, soggetta a convalida (Cass. pen., Sez. 5, 02/04/2003, n. 18418). Invero, altro è il generico riferimento a "quanto rinvenuto" in sede di perquisizione, altra è l’indicazione di un genere di cose, che attraverso la specificazione di elementi fattuali, desunti dalla già acquisita notizia di reato, consenta di delimitare l’apposizione del vincolo a quelle cose che, nell’ambito di quel genus, risultino avere le caratteristiche preventivamente indicate dal P.M., senza alcuna valutazione discrezionale da parte degli operatori di P.G..

Facendo applicazione degli indicati principi al caso di specie, osserva il Collegio che – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – il P.M. non si è limitato ad una generica indicazione di pertinenza di quanto (eventualmente) rinvenuto in sede di perquisizione, ma ha fornito un elenco dettagliato delle cose da ricercare e sottoporre a vincolo (agende, appunti, lettere titoli di credito, assegni, documentazione bancaria) Si tratta di indicazioni che appaiono idonee a individuare con sufficiente certezza l’oggetto specifico del sequestro e a circoscrivere in termini precisi l’attività di ricerca ed acquisizione da parte della P.G., sottraendola a qualsiasi scelta discrezionale degli operanti. Va precisato che – proprio perchè il sequestro costituisce un mezzo di ricerca della prova – non appare illegittimo neppure il riferimento, contenuto nel decreto di perquisizione e sequestro, ad ogni tipo di documentazione relativa ai rapporti personali e patrimoniali fra R.P., i coindagati o terzi, da considerarsi parti offese dei reati di usura, ben potendo il sequestro probatorio essere disposto in situazioni di incompletezza degli elementi acquisiti in ordine alla rilevanza penale della condotta, comunque, riferibile ad un’ipotesi di reato già individuata.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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