Cass. civ. Sez. III, Sent., 01-04-2011, n. 7561 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto 20 luglio 2000 P.A. ha convenuto in giudizio, avanti il Tribunale di Torino, sezione distaccata di Moncalieri, l’ASL (OMISSIS) di Moncalieri, nonchè C.A. e T. S., dipendenti della medesima ASL. L’attore, premesso di essere stato, in data 26 gennaio 1999, ingiustamente licenziato, con effetto immediato, dalla Capello Giuseppe snc di Capello Guido & C., così come stabilito dal Tribunale di Torino, con sentenza n. 2242/00 ha fatto presente che il licenziamento era stato causato da un giudizio di inidoneità di esso concludente alle mansioni svolte presso la Capello snc, erroneo e negligentemente formulato dai convenuti C. e T..

Tutto ciò premesso, il P. ha chiesto la condanna in solido dei convenuti al risarcimento del danno patito per il licenziamento subito, danno da commisurare all’ammontare delle retribuzioni non percepite nei mesi intercorsi dalla data del licenziamento alla data della pronuncia della sentenza da parte del giudice del lavoro di accoglimento de il ricorso proposto per la reintegrazione nel posto di lavoro.

Costituitisi in giudizio i convenuti hanno contestato quanto dedotto del P. e chiesto il rigetto delle domande attoree.

La ASL (OMISSIS) ha chiamato, altresì, in causa, la Lloyd Adriatico spa per essere dalla stessa manlevata in caso di condanna.

Costituitasi in giudizio la società assicuratrice – per suo conto – ha eccepito la inoperatività della polizza azionata dall’ASL (OMISSIS).

Nelle more di tale giudizio con atto 5 settembre 2000 e date successive la Capello snc ha convenuto in giudizio, avanti il Tribunale di Torino, sez. distaccata di Moncalieri, la ASL (OMISSIS), C.A. e T.S., chiedendo la condanna in solido dei medesimi al risarcimento dei danni subiti, a causa del licenziamento del proprio dipendente P., che aveva dovuto reintegrare nel posto di lavoro a seguito della sentenza del giudice del lavoro.

Costituitisi anche in tale nuovo giudizio i convenuti hanno contestato la domanda attrice, chiedendone il rigetto.

La ASL (OMISSIS) ha chiesto l’autorizzazione a chiamare in giudizio la Lloyd.

Disposta la riunione dei due procedimenti e svoltasi la istruttoria del caso l’adito giudice con sentenza 9 settembre 2005, da un lato, ha rigetto la domanda di P.A., dall’altra, ha condannato ASL (OMISSIS) il C., la T., la Lloyd Adriatico spa in solido tra loro, al pagamento, in favore della Capello Giuseppe snc di Capello Guido & C. della somma di Euro 32.187,39, oltre interessi.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Chieri, e – in via incidentale – dalla Lloyd Adriatico spa nonchè dalla Capello Giuseppe snc, nel contraddittorìo altresì di P.A., C.A. e T.S., rimasti contumaci, la Corte di appello di Torino con sentenza 30 settembre 2008, rigettato l’appello principale, in accoglimento dell’appello incidentale del Lloyd Adriatico spa ha revocato la condanna di questo a risarcire in solido con la Asl (OMISSIS), C.A. e T.S. i danni patiti dalla Capello snc con condanna della Capello s.n.c. a restituire al Lloyd Adriatico spa la somma di Euro 46.175,91 oltre gli interessi legali dal 8 novembre 2005 al giorno del pagamento effettivo, dichiarando inammissibile la domanda di manleva avanzata dalla Capello snc nei confronti della Asl (OMISSIS).

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, affidato a due motivi e illustrato da memoria, l’Azienda Sanitaria Locale (OMISSIS) (ora ASL (OMISSIS)).

Resiste, con controricorso la Allianz spa (già RAS spa, conferitaria dell’azienda di Lloyd Adriatico).

Non hanno svolto attività difensiva gli altri intimati.
Motivi della decisione

1. Parte ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando, nell’ordine:

– da un lato, "violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1369 e 1370 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3" e formulando, al riguardo, ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "laddove, attraverso non soltanto il senso delle singole parole utilizzate ma altresì attraverso il reciproco significato di tutte le espressioni utilizzate, un contratto di assicurazione per la responsabilità civile consenta di evincere il reale intento perseguito dalle parti, risulta corretto, in caso di contrasto interpretativo sulla reale operatività di detto contratto, privilegiare esclusivamente lo stretto significato letterale di alcune delle parole utilizzate, o non è invece più corretto instaurare un con-gruo collegamento fra tutte le espressioni presenti in detto contratto e solo da tale collegamento, specie in presenza di condizioni generali predisposti da uno solo dei contraenti, evincere il reale significato di tutte le espressioni nonchè la reale intenzione delle parti?" primo motivo;

– dall’altro, "contraddittorie motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5" secondo motivo.

2. Come puntualmente invocato dalla difesa di parte controricorrente il proposto ricorso è inammissibile, stante la palese violazione – da parte del ricorrente – del precetto di cui all’art. 366-bis c.p.c. Alla luce delle considerazioni che seguono.

2.1. Il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 – che ha introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, l’art. 366-bis ancorchè abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 è applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) e nella specie è stata investita di ricorso per cassazione una sentenza della corte di appello di Torino pubblicata il 30 settembre 2008. 2. 2. Come noto, l’art. 366-bis c.p.c. dispone – tra l’altro – che nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità con formulazione di un quesito diritto.

In margine a tale previsione la giurisprudenza di questa Corte regolatrice è fermissima nel ritenere che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – allorchè, come nella specie con il primo motivo, sia denunziata la "violazione e falsa applicazione" di norme di diritto – deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice;

c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.

Di conseguenza, è inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge o a enunciare il principio di diritto in tesi applicabile (Cass. 17 luglio 2008, n. 19769).

La formulazione dei quesiti in relazione a ciascun motivo del ricorso – in altri termini – deve consentire in primo luogo la individuazione della regula iuris adottata dal provvedimento impugnato e, poi, la indicazione del diverso principio di diritto che il ricorrente assume come corretto e che si sarebbe dovuto applicare, in sostituzione del primo.

Con la conseguenza, pertanto, che la mancanza anche di una sola delle due predette indicazioni rende inammissibile il motivo di ricorso.

Infatti, in difetto di tale articolazione logico giuridica il quesito si risolve in una astratta petizione di principio o in una mera riproposizione di questioni di fatto con esclusiva attinenza alla specifica vicenda processuale o ancora in una mera richiesta di accoglimento del ricorso come tale inidonea a evidenziare il nesso logico giuridico tra singola fattispecie e principio di diritto astratto oppure infine nel mero interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nella esposizione del motivo (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1528, specie in motivazione, nonchè Cass., sez. un., 24 dicembre 2009, n. 27368).

2. 3. Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie è palese – come anticipato – la inammissibilità del primo motivo di ricorso atteso che il quesito che lo conclude sopra trascritto non solo prescinde – totalmente – da quella che è la fattispecie al vaglio di questa Corte, ma omette, totalmente, di indicare quale sia la interpretazione data dai giudici a quibus degli artt. 1362, 1363, 1369 e 1370 c.c. nonchè di indicare le ragioni perchè, facendo applicazione delle regole – assolutamente astratte – enunciate nel quesito stesso potrebbe (o dovrebbe) pervenirsi a una soluzione della controversia diversa da quella fatta propria dalla sentenza impugnata.

2. 4. In margine al secondo motivo si osserva che la seconda parte dell’art. 366-bis c.p.c. dispone che Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

2. 5. In margine a tale ultima previsione questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

2. 6. Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie è agevole osservare che il secondo motivo del ricorso (con il quale si denunzia "contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5") non contiene la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, con conseguente inammissibilità del motivo stesso.

3. Il proposto ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione in favore della contro ricorrente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 3.500,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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