Cassazione sez. I Civile del 9 luglio 2008, n.11560 – Pres. Luccioli – est. Bonomo Assegno divorzile, famiglia, divorzio, condizioni economiche (2010-02-08)

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. Con l’unico mezzo d’impugnazione il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 c. 6 legge 898/1970 e succ. mod., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Si deduce che la Corte di appello aveva omesso qualsiasi indagine sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, che costituiva un presupposto indefettibile per l’attribuzione dell’assegno di divorzio ed aveva illogicamente concluso che la D. R. non poteva conservare con i propri mezzi tale tenore di vita, sanando in tal modo il difetto di prova in cui era incorsa la parte richiedente l’assegno. Inoltre, la Corte territoriale non aveva considerato: a) che il reddito aggiuntivo del C., quale subagente assicurativo, era stato impiegato per le esigenze "extra" dei figli, sicché non influiva sul tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, che era quello derivante dagli stipendi dei medesimi; b) che la contrazione di un mutuo per l’acquisto di un appartamento aveva comportato un depauperamento patrimoniale per il C., il cui secondo reddito veniva interamente impiegato per il pagamento della rata mensile; c) che nessuna giustificazione era stata fornita dalla D. R. sulla tipologia delle i spese mediche che asseriva di aver sostenuto e che, comunque, la patologia del diabete mellito, dalla quale era affetta, era una di quelle per le quali è prevista l’esenzione dalle spese; d) che l’andamento ingravescente delle patologie, cui la Corte d’appello aveva fatto riferimento, avrebbe dovuto essere eventualmente valutato nell’ambito del procedimento di cui all’art. 9 della legge n. 898 del 1970 e che, comunque, si trattava di spese mediche decrescenti negli anni, essendo ammontate nel 1998 a circa 4 milioni di lire ed a circa 3.300.000 nel 1999, come risultava dalla dichiarazione dei redditi della D. R.

Non sussisteva, infine, secondo il ricorrente, l’ulteriore requisito richiesto per la determinazione del quantum dell’assegno divorzile, e cioè l’idoneità a sostenere il peso del contributo post-matrimoniale da parte del C., titolare di un trattamento di quiescenza equivalente a quello della D. R. e, a differenza di quest’ultima, onerato dal pagamento di un mutuo ipotecario per l’acquisto della casa di abitazione.

2. Il ricorso non è fondato.

L’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto (Cass. 12 luglio 2007 n. 15610, 28 febbraio 2007 n. 4764, 7 maggio 2002 n. 6541). Correttamente il giudice del merito desume il tenore di vita precedente dall’ammontare complessivo dei redditi dei coniugi "manente matrimonio" (Cass. 6 ottobre 2005 n. 19446, Cass. 16 luglio 2004 n. 13169);

Nella specie, la sentenza impugnata è coerente con tali principi, essendo pervenuta alla conclusione che la D. R. non appariva in grado di conservare con i propri mezzi il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dopo aver desunto tale tenore di vita dalla situazione reddituale dei coniugi. La Corte d’appello ha dapprima affermato che il tenore di vita in costanza di matrimonio era stato correttamente individuato dai primi giudici, considerato che si trattava di persone che avevano svolto per malti anni la stessa attività. Il richiamo è evidentemente riferito alla valutazione riportata nella narrativa della sentenza impugnata, in cui si rileva che il Tribunale aveva osservato che, tenuto conto del tenore di vita manente matrimonio proprio di due dipendenti pubblici con due figli, il dato aggiuntivo e rilevante era l’attività lavorativa ancora in corso per il C., con redditi di poco inferiori a quelli di pensione. Su tale attività lavorativa si sofferma poi la Corte territoriale, la quale, premesso che D. C. e A. D. R. erano entrambi pensionati e percepivano trattamenti di quiescenza di analogo importo, intorno ai 1.100 Euro al mese, sottolinea che il C. godeva inoltre dei proventi della sua attività quale sub-agente assicurativo, iniziata già prima della separazione.

La tesi del ricorrente, secondo cui, il proprio reddito aggiuntivo non avrebbe avuto influenza sul tenore di vita, perché era stato impiegato esclusivamente per le esigenze straordinarie dei figli, non può essere condivisa, trattandosi comunque di una componente delle potenzialità economiche dei coniugi, da cui correttamente viene desunto il tenore di vita dei medesimi (Cass. 15610/07 e 4764/07 cit.).

Deve, quindi, escludersi la sussistenza della denunciata violazione dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970.

Non sussistono nemmeno i lamentati vizi di motivazione.

La contrazione di un mutuo da parte del C. per l’acquisto di un appartamento, è stata valutata dalla Corte d’appello, la quale ha però logicamente osservato che la vendita da parte del C. di un appartamento per acquistarne un altro, corrispondendo un mutuo, non

esprime alcun depauperamento, visto che alla vendita corrisponde l’incasso del corrispettivo e che all’esborso per il successivo acquisto corrisponde l’incremento immobiliare.

Quanto alle spese mediche gravanti sulla D. R., secondo la Corte d’appello la loro incidenza sul reddito della medesima, considerata dal Tribunale nei limiti di quanto dalla stessa dichiarato nelle denunce Irpef, era modesta, ma non certo irrilevante, tanto più che le patologie da cui era affetta (diabete mellito ed altro) sono ad andamento ingravescente.

Tali considerazioni appaiono congrue e logiche, così da sfuggire a censure in questa sede, nella quale non è possibile procedere ad una rivalutazione di elementi di fatto.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente in ragione della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 800,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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