Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 6885 Concorso di circostanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 marzo 2010, la Corte d’Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo – Sezione Distaccata di Treviglio del 5 giugno 2001, dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di S. S. in ordine al reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, limitatamente ai quantitativi di hashish indicati nell’imputazione, rideterminando la pena infintagli e confermando, nel resto, la sentenza appellata.

Avverso tale decisione il S. proponeva ricorso per Cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e vizio di motivazione, in quanto i giudici del gravame avrebbero erroneamente valutato il complessivo quadro probatorio dal quale doveva pervenirsi alla conclusione che lo stupefacente fosse detenuto per esclusivo uso personale.

Con un secondo motivo di ricorso denunciava la illegittimità costituzionale della L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, "nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui trovi applicazione la disciplina previgente, il tempo necessario a prescrivere successivo alla interruzione della prescrizione determinata dalla sentenza di primo grado non possa in ogni caso essere più lungo de tempo necessario a prescrivere previsto dalla novella", chiedendo che venisse sollevata la relativa questione.

Con un terzo motivo di ricorso rilevava la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e la manifesta illogicità della motivazione relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla misura della pena determinata, peraltro, tenendo conto di un precedente relativo a reato ormai depenalizzato e sulla scorta della varietà dello stupefacente detenuto, da ritenersi priva di autonoma rilevanza dopo le modifiche introdotte dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, art. 4 bis, convertito nella L. 21 febbraio 2006, n. 49.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va preliminarmente osservato che nel primo e terzo motivo di ricorso viene denunciato il vizio di motivazione. Appare pertanto opportuno ricordare, anticipatamente, entro quale ambito deve svolgersi il giudizio di legittimità.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 6, n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6, n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6, n. 23528, Sez. 3, n. 12110, 19 marzo 2009).

Così delimitato l’ambito di operatività dell’art. 606 c.p.p., lett. e), si osserva che, sotto tale profilo la sentenza impugnata risulta immune da censure avendo i giudici operato un’accurata analisi delle ragioni poste a sostegno della decisione di primo grado e dei rilievi della difesa sviluppati nei motivi di appello con una valutazione complessiva degli elementi fattuali offerti alla loro attenzione del tutto priva di contraddizioni, con la conseguenza che ciò che il ricorrente richiede è, in sostanza, una inammissibile rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

La Corte territoriale ha, infatti, fornito risposte prive di cedimenti logici, facendo buon uso dei principi indicati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di detenzione illecita di stupefacenti, a tutti i motivi di appello il cui contenuto viene riproposto nel presente giudizio.

In particolare, l’affermazione di penale responsabilità e la destinazione dello stupefacente ad uso diverso da quello personale è stata ritenuta sulla base del dato ponderale, della eterogeneità delle sostanze rinvenute, delle modalità di frazionamento e confezionamento, della presenza di un bilancino con tracce di polvere bianca, della detenzione all’interno di un pubblico esercizio dove sarebbe stato più agevole il contatto con eventuali acquirenti.

Si tratta di un insieme di elementi particolarmente significativi ed eterogenei i quali, valutati nel loro complesso, consentono al giudice di formulare un giudizio scevro da contraddizioni circa la effettiva destinazione della sostanza stupefacente, specie nel caso in cui, come nella fattispecie, la destinazione all’uso personale rimanga una mera asserzione del detentore non suffragata da alcun dato obiettivo che consenta di sminuire la validità dell’iter logico- giuridico percorso dal giudicante per pervenire alla pronuncia contestata dalla difesa.

A conclusioni analoghe deve giungersi con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla congruità della pena.

Va ricordato, a tale proposito, che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo (Sez. 1, n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6, n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6, n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1, n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque, rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 6, n. 34364, 23 settembre 2010), con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6, n. 42688,14 novembre 2008; Sez. 6, n. 7707,4 dicembre 2003).

Con riferimento, invece, alla determinazione della pena, si ricorda che per il corretto esercizio del potere discrezionale di quantificazione della stessa e dei criteri di valutazione fissati dall’art. 133 c.p., non si richiede al giudice di procedere ad una analitica valutazione di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749,26 marzo 2008).

Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha dato atto della mancanza di elementi valorizzabili ai fini della concessione delle attenuanti generiche, tenendo conto non soltanto del precedente specifico, non determinante ai fini della quantificazione della pena, ma anche del comportamento tenuto dal ricorrente all’atto del controllo, concretatosi nella spontanea consegna di una parte soltanto dello stupefacente poi rinvenuto solo grazie all’intervento successivo di unità cinofile.

La quantificazione della pena è stata ritenuta congrua in considerazione delle modalità dell’azione e della gravità del fatto, in motivazione dettagliatamente descritto, senza alcun riferimento alla varietà della droga sequestrata.

Anche sul punto, pertanto, la motivazione appare del tutto immune dai vizi denunciati, avendo i giudici correttamente assolto agli obblighi motivazionali loro imposti dalla legge.

Per quanto riguarda, infine, la prospettata questione di legittimità costituzionale, la stessa è manifestamente infondata.

Va a tale proposito ricordato che la L. 5 dicembre 2005, n. 251, recante "Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di usura e di prescrizione" è già stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale.

Con una prima pronuncia (sentenza n. 393 del 2006) è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 3, limitatamente alle parole "dei processi già pendenti in primo grado ove vi sia stata la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonchè".

Con una successiva decisione (sentenza n. 72 del 2008) si è ritenuta la manifesta inammissibilità e l’infondatezza di altre questioni di legittimità costituzionale relative alla medesima disposizione sollevate da alcuni giudici di merito.

In particolare, quest’ultima pronuncia ha preso in considerazione la questione relativa alla applicazione retroattiva dei più brevi termini di prescrizione previsti dalla nuova normativa ai processi pendenti davanti alla Corte d’appello o alla Corte di Cassazione, osservando che, nella fattispecie, la deroga al regime della retroattività delle disposizioni più favorevoli al reo deriva dalla circostanza, oggettiva ed inequivocabile, che il processo sia in corso ad una certa data, concludendo poi per la ragionevolezza della scelta legislativa di escludere l’applicazione a tali giudizi dei nuovi termini di prescrizione comprovata, tra l’altro, dalla circostanza che la stessa "… mira ad evitare la dispersione delle attività processuali già compiute all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, secondo cadenze calcolate in base ai tempi di prescrizione più lunghi vigenti all’atto del loro compimento, e così tutela interessi di rilievo costituzionale sottesi al processo (come la sua efficienza e la salvaguardia dei diritti dei destinatari della funzione giurisdizionale)".

Considerato il contenuto delle richiamate decisioni deve pertanto rilevarsi la manifesta infondatezza della questione dedotta.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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