Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 6875 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16 giugno 2009, la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, riformava la sentenza assolutoria del G.I.P. del Tribunale di Napoli, emessa a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti di A.F., che condannava alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione per illecita detenzione di sostanze stupefacenti;

Avverso tale decisione l’ A. proponeva ricorso per cassazione deducendo, in un unico motivo, l’illogicità della motivazione, il travisamento delle risultanze processuali nonchè la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2.

Osservava, a tale proposito, che non vi era alcuna prova della detenzione dello stupefacente per usi diversi da quello personale e che la condanna era fondata esclusivamente sull’apodittico assunto della sua insufficiente capacità reddituale in relazione ai costi dello stupefacente e sul superamento di limiti tabellarmente indicati del D.M. 11 aprile 2006, entrato in vigore successivamente alla commissione dei fatti.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va in primo luogo rilevato che, nella sentenza impugnata, la Corte territoriale risulta aver fatto buon uso delle disposizioni sostanziali e processuali applicate in generale e, in particolare, nel non ammettere la destinazione dello stupefacente all’uso esclusivamente personale.

Invero, la destinazione dello stupefacente ad uso diverso da quello personale non è stata ritenuta sulla base del solo dato quantitativo, perchè la quantità è stata presa in considerazione in relazione ad altri dati fattuali che, valutati nel loro complesso, hanno indotto alla affermazione di responsabilità.

La Corte d’Appello ha dato infatti atto, in modo coerente e logicamente ineccepibile, del fatto che il quantitativo di stupefacente, considerato il numero elevato di dosi ricavabili e la facile deperibilità della cocaina, sarebbe indicativo di un uso personale talmente frequente che, se realmente avvenuto, avrebbe comportato per il ricorrente un esborso tale di denaro sicuramente incompatibile con le ridotte capacità reddituali, comprovate dalla circostanza che il ricorrente medesimo si era limitato ad asserire di svolgere l’attività di venditore ambulante.

Va peraltro aggiunto che il riferimento alle tabelle ministeriali di cui al D.M. 11 aprile 2006 effettuato dalla Corte territoriale risulta attuato a solo titolo esemplificativo, come elemento sintomatico di un uso diverso da quello personale, ricavando tuttavia il convincimento della responsabilità del ricorrente esclusivamente dagli elementi in precedenza richiamati.

Sotto il profilo del denunciato vizio motivazionale occorre ricordare che la consolidata giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione della espressa previsione normativa, al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti (si vedano ad esempio, limitatamente alla pronunce successive alle modifiche apportate all’art. 606 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, Sez. 6^, n. 10951, 29 marzo 2006; Sez. 6^, n. 14054, 20 aprile 2006; Sez. 6^, n. 23528, Sez. 3^, n. 12110, 19 marzo 2009).

Così delimitato l’ambito di operatività dell’art. 606 c.p.p., lett. e), deve osservarsi che, anche sotto tale profilo, la sentenza impugnata risulta immune da censure avendo i giudici operato un’accurata analisi dei rilievi sviluppati nei motivi di appello con una valutazione complessiva degli elementi fattuali offerti alla loro attenzione del tutto priva di contraddizioni, con la conseguenza che ciò che il ricorrente richiede è, in sostanza, una inammissibile rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali determinazioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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