Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-04-2011, n. 7957 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Caltanissetta, in riforma della decisione del Tribunale di Enna, ha ritenuto insussistente il diritto agli sgravi contributivi vantato, nei confronti dell’INPS, dal Villaggio Cristo Redentore s.r.l., osservando che la società aveva versato le retribuzioni dovute ai dipendenti con diversi mesi di ritardo, e che tale comportamento, integrando l’inadempimento di un’obbligazione primaria del datore di lavoro, comportava l’applicazione della sanzione di decadenza dal beneficio degli sgravi, ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 338 del 1989, artt. 6, comma 9 e 7, comma 1, (conv. in L. n. 389 del 1989), ancorchè fossero stati rispettati, nella corresponsione delle retribuzioni, gli importi i minimi previsti dalla contrattazione collettiva di settore.

Per la cassazione di questa sentenza la società Villaggio Cristo Redentore s.r.l ha proposto ricorso fondato su un unico motivo.

L’INPS resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo è denunciata violazione ed errata applicazione della L. n. 389 del 1989, art. 6, comma 9. Tesi della società ricorrente è che le argomentazioni della Corte di merito non tengono conto nè della dizione letterale nè della interpretazione logica della norma in oggetto. Si assume, in estrema sintesi, che la decadenza, ivi prevista, dai benefici contributivi non può trovare applicazione in relazione ad un occasionale ritardo nel pagamento dei trattamenti retributivi, in quanto pur sempre conformi ai minimi fissati dal c.c.n.l..

2. Il ricorso non è fondato.

3. Il D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 6, comma 9, convertito con modificazioni nella L. 7 dicembre 1989, n. 389, prevede la decadenza dal diritto alla fiscalizzazione degli oneri sociali e agli sgravi contributivi in relazione ai lavoratori che non siano stati denunciati agli istituti previdenziali, ovvero siano stati denunciati con orari o giornate di lavoro inferiori a quelli effettivamente svolti o con retribuzioni inferiori a quelle minime previste dai contratti collettivi, ovvero ancora siano stati retribuiti in misura inferiore a tali retribuzioni minime.

3.1. Nella specie, è stato accertato che la società datrice di lavoro ha corrisposto la retribuzione ai propri dipendenti in misura non inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo, ma in ritardo di vari mesi dalla scadenza, attribuendosi, però, lo sgravio contributivo anche per i mesi in cui la retribuzione non veniva corrisposta.

3.2. Il Collegio ritiene che in tale situazione operi la decadenza prevista dalla L. n. 389 del 1989, art. 6, comma 9, così come affermato dalla sentenza impugnata.

Con riguardo all’attribuzione dei benefici conseguenti alla fiscalizzazione degli oneri sociali e agli sgravi contributivi la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il Legislatore, subordinando i detti benefici alla erogazione ai dipendenti di un trattamento retributivo non inferiore a quello minimo previsto dalla disciplina collettiva, ha inteso collegare alla retribuzione corrisposta ai dipendenti il vantaggio di una contribuzione ridotta, nell’obiettivo di ridurre il costo del lavoro e in tal modo, contribuire a rendere le aziende più competitive ed a favorire l’occupazione, facendo sì che il vantaggio venga ripartito fra le imprese e i lavoratori. Si tratta, come è stato sottolineato da Cass. n. 18940 del 2004, di un espediente (la cd. "clausola sociale") attraverso cui il legislatore, pur senza estendere d’imperio (per non collidere con l’art. 39 Cost.) l’efficacia soggettiva del contratto collettivo, introduce, tuttavia, un efficace incentivo per una sua più generalizzata applicazione in un’ottica di progressiva valutazione della autonomia collettiva ai livelli alti di rappresentatività.

La norma in esame è dunque strutturata nel senso che il rispetto dei minimi collettivi, quale "condizione" del diritto alla "fiscalizzazione degli oneri sociali", costituisce non già un (inammissibile) "obbligo" per l’imprenditore di vincolarsi alle previsioni di un contratto collettivo rispetto al quale intende restare estraneo, ma piuttosto un "onere"; per sua natura funzionale al conseguimento di vantaggi, la cui utilità va ben oltre lo stretto ambito del singolo contesto aziendale, ferma restando, in ogni caso, l’alternativa dell’inosservanza dei contratti stessi e della conseguente esclusione dal beneficio, applicabile nello specifico settore. La verifica dell’adempimento dell’onere in questione va compiuta in concreto, nel senso che non è sufficiente che il datore di lavoro abbia denunciato all’Istituto previdenziale una retribuzione di importo corrispondente (o superiore) a quella minima prevista dal contratto collettivo, dovendo invece materialmente corrisponderla, posto che ciò che si richiede, sotto il profilo delle condizioni da soddisfare per l’ottenimento dei benefici, non è la sussistenza della denuncia, o la sua conformità al vero, ma il concreto adempimento degli obblighi sottostanti previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 1748 del 2001); e, nell’ambito di un tale criterio di effettività, all’ipotesi in cui la retribuzione, quantunque denunciata nella misura minima indispensabile per la fruizione dei benefici, non sia effettivamente corrisposta, va assimilata quella – concretamente accertata nella controversia in esame – della sua mancata corresponsione con periodicità mensile, posto che il ritardato pagamento integra, anch’esso, un inadempimento della primaria obbligazione gravante sul datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1218 c.c., (prescrivendo l’art. 2099 c.c. che la retribuzione debba essere corrisposta non solo nell’importo ma anche nei termini stabiliti dalle norme regolatrici del rapporto) ed incide, d’altra parte, sulla stessa, effettiva consistenza del diritto dei lavoratori, essendo le somme di cui è composta la retribuzione finalizzate a garantire ai lavoratori una dignitosa sussistenza, così come esattamente rilevato dal giudice del merito.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. La società soccombente è condannata al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari, con accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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