Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-04-2011, n. 7945 Contratto a termine Lavoro a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 11226/2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma in parziale accoglimento della domanda proposta da P. M. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, accertata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dall’11-12-1998 al 30-1-1999 per "esigenze eccezionali" ex art. 8 ccnl 1994 ed acc. az. 25-9-97, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dall’11-12-1998 e condannava la società al pagamento in favore della P. della retribuzione a far data dal 14-2-2002, con rivalutazione ed interessi.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

La P. si costituiva resistendo al gravame della società e proponendo appello incidentale, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del termine apposto fin dal primo contratto, concluso per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie" per il periodo 13-7-1998 – 30-9-1998.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 5-1-2006, in accoglimento dell’appello incidentale, assorbito l’appello principale, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava la nullità del termine apposto al primo contratto con conseguente instaurazione fra le parti di un rapporto a tempo indeterminato fin dall’inizio (confermando la condanna al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora del 14-2-2002).

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con quattro motivi.

La P. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo la società ricorrente denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 c.c. e segg., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che, ai fini della legittimità del termine, fosse necessaria la indicazione, nel contratto, del nominativo del lavoratore sostituito.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando le stesse violazioni formali, in sostanza lamenta che la sentenza impugnata si è altresì "spinta a pretendere la specificazione, nel contratto, del tempo della sostituzione e dell’unità produttiva nella quale la sostituzione si rende necessaria, con l’obiettivo di soggettivizzare una clausola contrattuale (voluta dalle parti in senso generale) rendendola praticamente inutilizzabile". In particolare la ricorrente deduce che "l’accertamento del nesso causale va condotto unicamente nell’ambito della previsione collettiva".

I detti motivi, strettamente connessi, risultano fondati.

Questa Corte Suprema (cfr., fra le altre, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l.

26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito si pone in contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità dì individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Infine è stato anche affermato (v. Cass. 28-3-2008 n. 8122) che "l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 ccnl 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato".

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte deve essere pienamente confermato atteso che le tesi difensive che si sono confrontate nelle fasi di merito, quelle oggi proposte all’attenzione della Corte e, infine, le ragioni esposte nella sentenza impugnata non sono sorrette da argomenti che non siano già stati scrutinati nelle ricordate decisioni o che propongano aspetti di tale gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, pur riguardanti anche la interpretazione di norme collettive (cfr.

Cass. 29-7-2005 n. 15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703).

Così accolti i primi due motivi, restano assorbiti il terzo e il quarto (riguardanti la legittimità della proroga del secondo contratto e le conseguenze economiche della illegittimità del termine), atteso che la sentenza impugnata (che ha affermato la nullità del termine apposto al primo contratto) comunque ha ritenuto "assorbiti tutti gli altri motivi proposti, ivi compresi quelli che stanno a fondamento dell’"appello principale".

La decisione impugnata va, pertanto, cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale, statuendo anche sulle spese, si atterrà al principio sopra richiamato, con riferimento al primo contratto, provvedendo altresì in ordine alle questioni ulteriori (a cominciare da quella relativa alla legittimità o meno del termine apposto al secondo contratto).
P.Q.M.

LA CORTE accoglie il primo e il secondo motivo, assorbiti gli altri, cassa la impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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