Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-04-2011, n. 8090

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.A. conveniva in giudizio L.L., sua moglie separata, chiedendo di essere riconosciuto proprietario esclusivo o comproprietario dell’immobile già costituente l’alloggio coniugale e del quale la convenuta risultava proprietaria esclusiva.

L’attore esponeva che l’immobile, acquistato in costanza di matrimonio e vigendo tra i coniugi il regime di comunione legale dei beni, era stato intestato solo alla L. avendo i coniugi reso la dichiarazione prevista dall’art. 179 c.c. cioè che il bene era stato acquistato con denaro personale della L.. In realtà ciò era stato concordato al fine di usufruire delle agevolazioni fiscali legate all’acquisto della prima casa. Il B. concludeva chiedendo – in via principale – che fosse dichiarata la simulazione dell’intestazione dell’immobile in lavoro della convenuta e tosse accertato che esso attore ne era esclusivo proprietario e – in via subordinata – che, dichiarata la parziale simulazione dell’atto di compravendita, fosse dichiarato che i coniugi B. – L. erano comproprietari dell’immobile in quanto entrato nella comunione dei beni istituita con il matrimonio.

La L., costituitasi, assumeva che l’immobile era stato acquistato con denaro di entrambi i coniugi e che il B. aveva consentito alla intestazione della proprietà in via esclusiva alla moglie in quanto mosso da un intento di liberalità.

Con sentenza 13/7/2001 l’adito tribunale di Roma rigettava la domanda.

Avverso la detta sentenza il B. proponeva appello al quale resisteva la L..

Con sentenza 10/11/2004 la corte di appello di Roma in riforma dell’impugnata pronuncia: a) accertava la simulazione della dichiarazione. contenuta nell’art. 12 del contratto di compravendita del 23/7/1996, che l’immobile oggetto del medesimo contratto era stato acquistato con denaro personale della L.; b) accertava e dichiarava che il detto immobile era oggetto di comunione legale dei beni tra i coniugi L. – B.. La corte di merito osservava: che l’oggetto del gravame era limitato a quella parte della sentenza impugnata con la quale era stata rigettata la domanda subordinata di accertamento dell’acquisto in comunione; che, quanto alle ragioni poste a fondamento di tale domanda, dalle deduzioni formulate dal B. in entrambi i gradi del giudizio emergeva che egli aveva sostenuto la simulazione della dichiarazione di cui all’art. 12 del contratto in esame resa dalla L. e confermata da esso istante che il bene acquistato veniva pagato con denaro personale della L.; che, secondo l’attore, tale dichiarazione non rispondeva al vero ed era stata effettuata di comune accordo solo per escludere l’immobile dalla comunione legale ed attribuirne la proprietà esclusiva alla L.; che la detta circostanza di fatto era stata riconosciuta ed ammessa dalla L.; che tra le parti vi era contestazione in ordine alle finalità dell’esclusione dell’immobile dalla comunione legale volta, secondo il B., a consentire l’applicazione delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa e, secondo la L., a realizzare la donazione indiretta dell’immobile; che andava affrontata preventivamente la questione posta dall’appellante in via residuale nel primo motivo di gravame, in ordine alla idoneità della dichiarazione simulata di cui all’art. 12 del contratto ad escludere l’immobile dalla comunione legale dei beni; che la soluzione in senso negativo della detta questione avrebbe comportato l’accoglimento della domanda del B. con assorbimento di ogni altra questione; che sul punto la Corte di Cassazione aveva affermato l’inderogabilità della disciplina legale della comunione degli acquisti con argomentazioni che andavano condivise: che pertanto la dichiarazione in esame resa dai coniugi B. – L. ai sensi dell’art. 179 c.c., u.c. non valeva per escludere il bene dalla comunione legale difettando i presupposti obiettivi previsti dalla medesima norma, ossia il carattere personale del bene; che quindi andava applicata la disciplina dettata dall’art. 177 c.c. in tema di acquisto di beni in regime di comunione tra coniugi; che conseguentemente dal contralto in questione doveva discendere per legge l’acquisto del bene in comunione non potendo dalla dichiarazione resa dai coniugi in sede contrattuale derivare l’effetto indiretto assunto dalla L. trattandosi di un effetto in contrasto con quello ricollegato dalla legge al medesimo contratto: che l’acquisto di un bene immobile ben poteva costituire oggetto di liberalità tra coniugi: che tale liberalità non poteva essere realizzata rendendo la dichiarazione di comodo che il bene è personale di colui che ne figura essere acquirente dal momento che questa, se, come nella specie, non è veritiera, è improduttiva di effetti e non impedisce l’effetto traslativo tipico discendente "ope legis per gli acquisti effettuati da ciascun coniuge in regime di comunione legale".

La cassazione della sentenza della corte di appello di Roma è stata chiesta da L.L. con ricorso affidato a tre motivi.

B.A. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso L.L., denunciando omesso esame dell’eccezione di novità ex art. 345 c.p.c. della doglianza accolta dalla corte di appello come motivo assorbente della decisione, deduce che il B. ha sostenuto per la prima volta in appello che il tribunale aveva omesso di valutare "che la conferma dell’ B.A. resa ex art. 219 c.c." sempre nell’art. 12 del contratto di vendita citato, non sarebbe idonea di per sè a vincere la presunzione legale ex art. 219 c.c. La corte di appello ha ritenuto tale doglianza prioritaria e decisiva senza dare riscontro alla sollevata eccezione di novità ex art. 345 c.p.c. Infatti in nessuna parte delle difese svolte dall’attore in primo grado era emersa la problematica concernente l’attribuibilità "tout court" del bene alla comunione dei coniugi. La "mutatio libelli" può verificarsi – come nella specie – anche attraverso la proposizione di una nuova "causa petendi".

Il motivo è infondato come emerge dalla lettura degli atti processuali, attività consentita in questa sede di legittimità attesa la natura (in procedendo) del vizio denunciato.

Dai detti atti processuali risultano i seguenti dati:

– con "atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado il B. sostenne che l’immobile in questione era di proprietà di entrambi i coniugi "essendo inveritiero quanto affermato nell’atto di acquisto circa la provenienza dei fondi utilizzati" (pagina 4 dell’indicato atto) e nelle conclusioni chiese, in via subordinata, la dichiarazione della parziale simulazione dell’atto di compravendita e la dichiarazione di comproprietà dell’immobile entrato nella comunione dei beni;

– con la sentenza di primo grado la domanda del B. venne rigettata per la mancanza di prova in ordine alla asserita "simulazione relativa per interposizione fittizia di persona";

– con l’atto di appello il B. ribadì che la dichiarazione art. 179 c.c., ex u.c. resa nell’atto di compravendita non era veritiera, come ammesso dalla stessa L., per cui "non era idonea a vincere la presunzione legale ex art. 219 c.c. di appartenenza del bene in proprietà indivisa ad entrambi i coniugi".

Ciò posto è evidente l’infondatezza delle tesi della ricorrente in ordine alla asserita violazione dell’art. 345 c.p.c. per non aver il B. dedotto in primo grado la comproprietà del bene immobile in questione perchè acquistato dalla moglie in regime di comunione di beni con atto contenente la dichiarazione di cui all’art. 179 c.c., u.c. inidonea — in quanto non veritiera – ad impedire gli effetti previsti dall’art. 177 c.c., lett. a.

Tale richiesta risulta invece formulata dal B. sin dal primo grado sia pur in via subordinata per cui correttamente tale richiesta – riproposta in secondo grado – è stata esaminata dalla corte di appello.

Dall’esame dell’atto di appello come predisposto dal B. appare chiara la volontà di quest’ultimo di sottoporre al giudice di secondo grado l’intera controversia affinchè la riesaminasse totalmente sulla base delle diverse deduzioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio e ribadite nell’atto di gravame. Con l’atto di appello il B. ha sostenuto l’erroneità della sentenza di primo grado ponendo l’accento sul rilievo che il tribunale aveva omesso di valutare le conseguenze della non veridicità della dichiarazione contenuta nell’art. 12 del contratto di compravendita in questione.

Bene quindi la Corte d’appello ha riesaminato la intera controversia sulla base di un atto di appello che coinvolgeva la sentenza di primo grado nella sua totalità.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia: omesso esame dell’eccezione di giudicato interno; rinuncia dell’appellante alla domanda di simulazione ex art. 346 c.p.c.; sentenza emessa sulla base di una domanda di simulazione non devoluta alla corte di appello;

violazione dell’art. 112 c.p.c. Deduce la L. che la corte di appello ha accertato la simulazione della dichiarazione in questione ritenendosi investita di tale domanda "dal complesso delle deduzioni formulate dall’attore negli scritti difensivi di entrambi i gradi del giudizio". Il convincimento della corte di merito è errato in quanto la domanda di simulazione non è stata riproposta in appello. Il primo motivo di gravame, fondato sull’interposizione reale di persona, era inammissibile ex art. 345 c.p.c. Sulla domanda di simulazione – per interposizione fittizia di persona – non era stato formulato un espresso gravame con conseguente formazione del giudicato interno a norma dell’art. 346 c.p.c. Quindi la corte di appello, decidendo in ordine alla simulazione della dichiarazione di cui all’art. 12 del contratto di compravendita in questione, ha violato l’art. 112 c.p.c. – non essendo stata devoluta tale domanda in secondo grado – ed ha omesso di esaminare l’accezione avanzata da essa L..

Il motivo non è fondato ed è in parte frutto di una non attenta lettura e di una non corretta interpretazione della sentenza impugnala con la quale la corte di appello – come già rilevato esaminando il primo motivo di ricorso -ha ritenuto meritevole di accoglimento la domanda subordinata avanzata in primo grado – e riproposta in appello – "di accertamento dell’acquisto in comunione" sulla base della non veridicità della dichiarazione (confermata dal B.) resa dalla L. nell’art. 12 del contratto di compravendita secondo cui il bene acquistato veniva pagato "con denaro personale" dell’acquirente.

E’ appena il caso di osservare che è palesemente irrilevante l’utilizzo della parola "simulazione" che la corte di appello in alcune parti della sentenza impugnata ha adoperato al solo fine di porre in evidenza la fondatezza della tesi dell’appellante circa la "non veridicità" della detta dichiarazione, come ammesso dalla stessa appellata.

Del tutto insussistente è quindi l’asserito giudicato interno che, secondo la ricorrente, sarebbe ravvisatole per non aver il B. riproposto la domanda di simulazione. Tale domanda – avanzata in primo grado in via principale sulla base della dedotta "interposizione fittizia di persona" come affermato dal tribunale – non è stata riformulata in secondo grado dal B. che nell’atto di appello ha insistito solo sulla domanda subordinata volta ad ottenere l’accertamento della comproprietà del bene in quanto acquistato dalla L. in costanza di matrimonio in regime di comunione di beni in virtù di un contratto contenente una dichiarazione non veritiera.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia: erroneità della sentenza di appello: violazione degli artt. 179, 769 s 809 c.c.; vizi di motivazione. Ad avviso della L. la corte di appello, nel dichiarare non realizzata la eccepita donazione indiretta "perchè sorretta da una dichiarazione di comodo".

Ha errato in quanto la circostanza che l’immobile sia stato in parte oggetto di liberalità non osta alla veridicità della dichiarazione.

Tale dichiarazione non impedisce l’applicabilità nella specie degli artt. 769, 809 c.c. e dell’art. 179 c.c., lett. b) "per la cui efficacia non sono richieste, come noto, forme particolari e nemmeno la dichiarazione di cui al capoverso dell’art. 179 c.c." In tali sensi ha statuito la giurisprudenza di legittimità nella sentenza 8/5/1998 n. 4680. D’altra parte la sussistenza dell’animus donandi non è contestabile in quanto insita nel secondo motivo di appello con il quale il B. aveva chiesto la revoca della donazione per ingratitudine.

Anche questo motivo, al pari degli altri, non è meritevole di accoglimento atteso che – come posto in evidenza dalla corte di appello – la stessa L. ha ammesso che la dichiarazione di cui all’art. 12 del contratto di compravendita in questione (ossia che il bene era stato acquistato con "denaro personale della acquirente") non era veritiera. Da ciò quindi l’inidoneità della detta dichiarazione ad evitare di per sè – in assenza di dimostrazione dell’asserito e contestato "intento di liberalità" – per effetto voluto dal legislatore della contitolarità del bene acquistato dai coniugi in regime di comunione.

Va poi segnalato che il richiamo operato dalla L. nel motivo in esame alla sentenza di questa Corte n. 4680 del 1998 non è pertinente riferendosi la detta pronuncia a fattispecie relativa alla donazione indiretta posta in essere da un soggetto in favore di uno solo dei coniugi. Nel caso in esame, invece, la ricorrente sostiene che la (contestata) donazione indiretta sarebbe stata fatta dal marito in suo favore.

Va altresì aggiunto che non è rilevante il riferimento alla richiesta – formulala nel secondo motivo dell’appello proposto dal B. – volta alla revoca della donazione per ingratitudine, trattandosi all’evidenza di una tesi prospettata in via subordinata nell’ipotesi di accoglimento della asserzione della L. circa la donazione indiretta.

Va infine evidenziato che la corte di appello ha espressamente precisato di non aver escluso la possibilità di una liberalità tra coniugi non realizzabile, però, attraverso "una dichiarazione di comodo non veritiera" ossia attraverso uno strumento inidoneo ad evitare la contitolarità del bene acquistato derivante per legge dal contratto di compravendita in questione e a conseguire l’effetto indiretto asserito dalla L..

Quindi, come già notato, incombeva alla L. fornire la prova – al fine di evitare il conseguente effetto della contitolarità del bene acquistato – della asserita donazione indiretta negata dal marito: tale prova non risulta essere stata offerta.

Il ricorso va quindi rigettato con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.500,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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