Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-04-2011, n. 8083

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

n subordine rigetto.
Svolgimento del processo

La società Poste Italiane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata il 28 aprile 2006, con la quale la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva dichiarato la nullità del termine rispettivamente apposto alle assunzioni dei lavoratori P.B.L. (dal 3 giugno 1999), I.S. (da 26 febbraio 2000), D.P. F.P. (dal 22 novembre 2000) e P.M. (dal 28 ottobre 1999), affermando, per ciascuno di essi, la conversione del rapporto, dalle date indicate, in quello di lavoro a tempo indeterminato, con la condanna della società al pagamento, in favore degli stessi, a titolo risarcitorio, di un importo pari alle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora e nei limiti di un triennio decorrente dalla cessazione del rapporto di lavoro, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

La Corte di merito era pervenuta a queste conclusioni, avendo accertato che l’apposizione del termine ai singoli contratti di lavoro, era stata giustificata dalla datrice di lavoro con il richiamo alla disciplina legale e all’art. 8 ccnl 26 novembre 1994, nonchè al successivo accordo integrativo del 25 settembre 1997, in particolare per far fronte alle esigenze di carattere straordinario conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. Per tali ipotesi, aveva proseguito la Corte territoriale, le assunzioni erano legittimate dalla contrattazione collettiva fino al 30 aprile 1998, data di scadenza della proroga per l’esercizio della facoltà per l’azienda di procedere ad assunzioni a termine per sopperire alle dette esigenze, ma poichè nella specie i contratti di lavoro erano stati stipulati successivamente a quella data, il termine era stato illegittimamente apposto.

Gli intimati hanno resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo nel quale è articolalo il ricorso, la società denuncia violazione dell’art. 1362 cod. civ. e dell’art. 425 cod. proc. civ., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla efficacia dell’accordo del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 ccnl 1994. Deduce l’errore in cui è incorso il giudice del merito nel ritenere un limite temporale di efficacia all’accordo di 25 settembre 1997 e nel porre sullo stesso piano la clausola contenuta nell’accordo collettivo nazionale e dei successivi accordi attuativi, affermando che questi ultimi potevano prevalere e derogare alla "clausola madre" integrativa dell’art. 8 ccnl 1994.

Il ricorso è inammissibile.

Trattandosi di impugnazione proposta contro una sentenza pubblicata il 28 aprile 2006, si devono applicare le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e in particolare la disposizione dettata dall’art. 366 bis cod. proc. civ., senza che a nulla rilevi la sua abrogazione disposta dalla L. 18 giugno 2009 n. 69, che ha effetto soltanto per i ricorsi per cassazione contro provvedimenti pronunciati dopo l’entrata in vigore della legge stessa (Cass. 24 marzo 2010 n. 7119).

Secondo quanto dispone il citato art. 366 bis cod. proc. civ., l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, e nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

A queste prescrizioni la ricorrente non ha adempiuto, poichè per il motivo formulato e in relazione alle dedotte violazioni di legge, non è stato enunciato alcun quesito di diritto, nè con riferimento al vizio di motivazione è stata riportata la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso.

Si deve perciò concludere per l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, in applicazione del criterio della soccombenza, vanno poste a carico di Poste Italiane s.p.a. e liquidate nell’ammontare specificato in dispositivo, comprensivo per gli onorari dell’aumento per la difesa di più parti (art. 5 della tariffa professionale), devono essere distratte in favore dell’avv. Massimo Faugno, dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore dei resistenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 35,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a., da distrarsi in favore dell’avv. Massimo Faugno, per dichiarata anticipazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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