Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-01-2011) 23-02-2011, n. 6923 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 31 marzo 2010, la Corte d’Appello di Palermo, 3^ sezione penale, confermava la sentenza del GUP del Tribunale in sede appellata da R.G., con la quale questi era stato dichiarato colpevole di usura aggravata continuata e condannato, ritenuta la diminuente del rito, alla pena di cinque anni di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale durante l’esecuzione della pena nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili liquidati in Euro 10.000,00 per Ri.Gi. ed Euro 5.000,00 per A.M. oltre alle spese.

La Corte territoriale riteneva che, nonostante il collaborativo comportamento processuale, la gravità dei fatti commessi era di ostacolo al riconoscimento delle attenuanti generiche ed alla riduzione della pena nonchè al beneficio della sospensione condizionale della pena.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – perchè la ratio dell’art. 62-bis c.p. è da ricercare nell’esigenza di adeguare la pena in relazione a particolari situazioni e circostanze che esigono una più incisiva considerazione, sicchè sotto questo profilo non è stato preso in sufficiente considerazione il comportamento collaborativo e remissivo assunto; ai sensi dell’art. 133 c.p. oltre alla gravità del reato si deve tener conto anche della personalità e capacità a delinquere, nonchè le condizioni di vita individuale, familiare e sociale sicchè si ritiene il ricorrente meritevole dell’invocata attenuante;

– perchè, conformemente ai parametri di cui all’art. 133 c.p. sì sarebbe dovuto applicare la pena nel minimo edittale e di conseguenza il beneficio della sospensione condizionale della pena, perchè appaiono spropositate l’applicazione dell’art. 81 c.p. stante l’unicità originaria della pattuizione usuraria e l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 4 perchè l’elemento relativo non sembra sussistere volontariamente per come desumibile dai vari interrogatori delle vittime; – omissione di motivazione in ordine al dissequestro della somma di Euro 19.500,00 depositata nel libretto n. (OMISSIS) della Banca Intesa San Paolo di Palermo perchè proveniente da prestito finanziario ottenuto in favore suo e sua moglie dal Monte dei Paschi di Siena.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza impugnata ha espressamente preso in considerazione il comportamento processuale del ricorrente, ma l’ha valutato come ininfluente tenuto conto della particolare gravità dei fatti addebitati e ritenuti, gravità che, con considerazione sintetica della particolare intensità del dolo (desunta dalla reiterazione delle condotte poste in essere in apprezzabile lasso i tempo ai danni di più persone impegnate in attività imprenditoriali), è stata ritenuta come idonea a giustificare la pena inflitta. In tal modo, per implicito, anche le condizioni di vita (individuale, familiare e sociale) sono state valutate perchè la pena è stata irrogata in misura notevolmente inferiore rispetto al massimo edittale (dieci anni di reclusione da aumentare di un terzo per la ritenuta aggravante nonchè per la continuazione).

2. Il secondo motivo di ricorso è infondato per la parte in cui ripropone la già rilevata doglianza di omessa considerazione dei parametri di cui all’art. 133 c.p.; è inammissibile per la parte in cui lamenta la "sproporzione" dell’applicazione dell’art. 81 c.p. e dell’aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 4, che si risolve in una denuncia di violazione della legge penale proposta per la prima volta in questa sede, come tale non consentita stante il disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3, non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 569 c.p.p. e art. 609 c.p.p., comma 2. 3. Anche il terzo motivo di ricorso è dedotto in maniera inammissibile, perchè non da conto dell’avvenuta proposizione della relativa richiesta alla Corte di appello e perchè sottopone la questione attraverso il riferimento a circostanze di natura fattuale (l’origine asseritamene lecita del danaro di cui si chiede la restituzione) la cui verifica non è consentita in sede di legittimità. 4. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *