Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-04-2011, n. 8067 Spese giudiziali nelle controversie previdenziali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 9 luglio 2001 il Tribunale di Palmi, in funzione di giudice del lavoro, nel condannare l’INPS al pagamento in favore della odierna ricorrente delle somme corrispondenti all’adeguamento della indennità di disoccupazione percepita nella misura di L. 800 giornaliere, per gli anni da lei indicati, attribuiva le spese di giudizio, dovute dall’INPS, al difensore della ricorrente, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., liquidandole in complessive L. 152.000 in ragione della facile trattazione della causa ai sensi della L. n. 36 del 1934, art. 60. 2. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciando sull’appello della lavoratrice in ordine alla liquidazione delle spese, premesso che la parte – nel giudizio di primo grado – non aveva ritualmente prodotto alcuna nota spese, ha ritenuto la inammissibilità del gravame, per la mancata specificazione degli esborsi asseritamente non riconosciuti e delle voci di tariffa, per le quali sarebbero stati violati gli importi previsti come minimi, considerando altresì che la ricorrente non aveva indicato il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese, mentre aveva tardivamente indicato – solo con le note di udienza – le voci di tariffa che, a suo dire, andavano riconosciute;

e ha compensato fra le parti le spese del giudizio d’appello, in ragione del rigetto dell’appello incidentale proposto dall’Istituto.

3. La cassazione della sentenza è richiesta dalla lavoratrice con ricorso basato su cinque motivi, illustrati con memoria. L’INPS ha depositato procura ai difensori.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 112 e 91 c.p.c., e vizio di motivazione. Si deduce che erroneamente la sentenza impugnata abbia escluso, in base al mancato deposito della nota-spese, l’obbligo del giudice di primo grado di indicare le singole voci di tariffa non riconosciute.

2. Il secondo motivo denuncia omessa pronuncia e carenza assoluta di motivazione, o comunque contraddittorietà ed erroneità manifesta della medesima, nonchè violazione degli artt. 434 e 342 c.p.c., sostenendosi che le censure sollevate con l’atto di appello erano specifiche ed erano state anche illustrate con successive note difensive e che, peraltro, il giudice d’appello avrebbe dovuto d’ufficio determinare il valore della causa e verificare per ciascuna voce della nota spese il rispetto dei minimi tariffari.

3. Il terzo motivo denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24. Si lamenta che la Corte di merito abbia considerato generica la censura proposta sulla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, senza considerare che la ricorrente aveva tempestivamente precisato il valore della causa; d’altra parte il giudice di appello avrebbe dovuto controllare la esattezza della liquidazione effettuata dal Tribunale, essendo stata oggetto di motivo di gravame.

4. Il quarto motivo denuncia violazione dei citati artt. 434 e 342 c.p.c., e carenza di motivazione. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia erroneamente travisato la funzione propria del giudizio d’appello, configurando, in relazione alla censura sulla liquidazione delle spese, un onere – non previsto dalla legge – di specificazione delle singole voci di tariffa anche in presenza di una evidente violazione dei minimi di tariffa e di una precisa indicazione, nell’atto di appello, del valore della causa e dell’importo degli onorari e dei diritti.

5. Con un ulteriore motivo, "con riguardo all’appello dell’INPS", si lamenta che siano state compensate le spese del giudizio malgrado la totale soccombenza dell’Istituto.

6. I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati alla stregua dell’orientamento espresso da questa Corte in analoghe controversie (cfr. Cass. n. 20088 del 2008; n. 23085 del 2008, e altre conformi), al quale il Collegio intende dare continuità (così superandosi l’indirizzo di cui ad altre pronunce:

cfr. Cass. n. 3137 del 2009 e altre, emesse in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.). Ed infatti, è pur vero che in materia di liquidazione degli onorari agli avvocati il giudice d’appello, in presenza di contestazioni sul valore della causa e quindi della tariffa applicabile, nonchè dei criteri di applicazione delle voci liquidate a titolo di onorari e di diritti, non può limitarsi ad una generica conferma della liquidazione globale imposta dal primo giudice, ma deve rideterminare, in presenza di una nota specifica prodotta in primo grado dalla parte vittoriosa, l’ammontare del compenso dovuto al professionista, specificando il sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile alla controversia, onde consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, anche in relazione all’inderogabilità dei minimi e dei massimi tariffari (Cass. n. 21932 del 2006); ma qui la Corte territoriale, sul presupposto che la censura in appello riguardava esclusivamente la violazione dei minimi tariffari, ha ritenuto la genericità della medesima in quanto non specificata con l’indicazione degli importi nonchè delle singole voci riportate nella nota spese. E, d’altra parte, in questa sede di legittimità la ricorrente non ha puntualmente censurato tale accertamento contenuto nella sentenza qui impugnata. Nè maggiore specificità poteva ricavarsi da note illustrative successive, dovendosi precisare che la funzione di note e memorie non è quella di formulare censure ma solo quella di chiarire le censure già tempestivamente formulate (Cass. n. 2012 del 1995, Cass. n. 24817 del 2005, Cass. n. 20088 del 2008 cit.).

In conclusione, deve ritenersi che la parte che censuri la sentenza di primo grado con riguardo alla liquidazione delle spese di giudizio, lamentando la violazione dei minimi previsti dalla tariffa professionale, ha l’onere di fornire al giudice d’appello gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista, indicando, in maniera specifica, gli importi e le singole voci riportate nella nota spese prodotta in primo grado; nè tali indicazioni possono essere desunte da note o memorie illustrative successive, la cui funzione non è quella di formulare censure ma solo quella di chiarire le censure tempestivamente formulate.

7. Infondata è anche la censura relativa alla compensazione delle spese del giudizio d’appello, poichè la statuizione, esplicitamente motivata con "il rigetto degli opposti gravami", è coerente con la facoltà di compensare le spese, per reciproca soccombenza, in caso di impugnazioni riunite ai sensi dell’art. 335 c.p.c. (cfr., ex plurimis, Cass. n. 18173 del 2008).

8. In conclusione, il ricorso è rigettato. Non si deve provvedere al regolamento delle spese del presente giudizio, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 326 del 2003).
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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