Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-01-2011) 23-02-2011, n. 6902

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 11 febbraio 2010, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Napoli, in data 17/4/2009, riduceva la pena inflitta a E.F. per il reato di tentativo di estorsione in danno del padre, E. P., ad anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in punto di derubricazione del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e procedeva a ridurre la pena, avendo ridimensionato la gravità del fatto.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando un unico motivo di gravame con il quale deduce violazione di legge in relazione all’art. 629 c.p., dolendosi della mancata derubricazione del fatto nel reato di cui all’art. 393 c.p.p.. Al riguardo eccepisce che dalle risultanze processuali emerge che l’imputato aveva agito con violenza per rivendicare parte della sua quota ereditaria. Successivamente il difensore ha depositato memoria invocando l’esimente di cui all’art. 649 c.p., comma 3.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, infatti:

"Ai fini della sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (in luogo di quello di estorsione) occorre che l’agente sia soggettivamente – pur se erroneamente – convinto dell’esistenza del proprio diritto, e che detto diritto riceva astrattamente tutela giurisdizionale" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12329 del 04/03/2010 Ud. (dep. 29/03/2010) Rv. 247228; conforme Sez. 6, Sentenza n. 39366 del 02/10/2007 Cc. (dep. 24/10/2007) Rv. 238038;

Sez. 5, Sentenza n. 44292 del 09/11/2005 Ud. (dep. 05/12/2005) Rv.

232815; Sez. 2, Sentenza n. 41453 del 23/09/2003 Cc. (dep. 30/10/2003) Rv. 227674).

Nel caso di specie i giudici di merito hanno motivatamente escluso che le pretese fatte valere dall’imputato in ordine al trasferimento di un immobile originariamente di proprietà del padre, potessero ricevere tutela dall’ordinamento giuridico. Per l’effetto, pur se l’odierno ricorrente avesse agito nella personale convinzione di esercitare il proprio diritto a recuperare proveniente dal padre, ad ogni modo tale pretesa non sarebbe stata tutelata in via di azione dall’ordinamento giuridico, non essendo concepibile l’esercizio di azioni ereditarie prima dell’apertura della successione. Pertanto esattamente i giudici di merito hanno inquadrato il comportamento impugnato nell’alveo del reato di estorsione, in conformità all’insegnamento di questa Corte. Nella memoria integrativa la difesa del ricorrente ha invocato l’esimente di cui all’art. 649 c.p. invocando la giurisprudenza di questa Sezione che ha chiarito che l’esclusione dell’esimente per i delitti contro il patrimonio in danno di congiunti si riferisce, nel fare menzione dei delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione, alle sole forme consumate e non anche al tentativo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12403 del 27/02/2009 Ud. (dep. 19/03/2009) Rv. 244054). Non v’è dubbio che l’esimente in parola, conformemente a tale indirizzo giurisprudenziale, possa essere applicata anche al tentativo di estorsione. Costituisce, tuttavia, condizione imprescindibile per l’applicazione dell’esimente che il fatto non sia commesso con violenza alle persone ( art. 649 c.p., comma 3, ultima parte).

Nella fattispecie è stato contestato all’imputato di "aver distrutto mobili, suppellettili e la porta della cucina dove il padre si era rifugiato per sfuggire all’aggressione del figlio, armandosi intanto di un coltello da cucina". La contestazione di per sè non consente di escludere che il fatto sia stato commesso con violenza alla persona. Tale circostanza avrebbe potuto essere verificata soltanto attraverso un accertamento in fatto devoluto al giudice del merito.

Nella fattispecie la questione non è stata sollevata con i motivi d’appello ed i giudici del merito non si sono pronunziati nel senso di verificare se il fatto sia stato commesso soltanto con minaccia o con violenza alla persona. Essendo necessario, pertanto, un preliminare accertamento di fatto, la questione della sussistenza degli estremi della causa di non punibilità non può essere valutata in sede di legittimità.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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