Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 13-01-2011) 23-02-2011, n. 7077 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Firenze ha confermato – con sentenza del 14.12.2009 – la condanna di I.R., già inflitta dal GUP presso il Tribunale di Firenze in data 13.12.2007, quale concorrente nel reato di bancarotta fraudolenta impropria, per il tramite di operazione dolosa causatrice del dissesto di AZIENDA AGRITURISTICA (OMISSIS), dichiarata fallita il (OMISSIS)2002.

Il ricorrente è stato funzionario del MONTE DEI PASCHI DI SIENA, istituto di credito che (con l’accordo di altre banche, tra cui il MEDICREDITO TOSCANO, la BANCA NAZ. DEL LAVORO, la CASSA DI RISPARMIO DI VOLTERRA) concesse, il 7.7.2000, alla fallita società un mutuo ipotecario per l’importo di L. 8 miliardi allo scopo di dotarle di mezzi finanziari liquidi per lo sviluppo industriale (costruzione di un centro ippico e relative strutture alberghiere in agro di Pontedera), somma che – invece – fu destinata a finalità tutt’affatto diverse (erogazione a favore di parenti degli amministratori della fallita società) nonchè appianamento di debiti verso altre banche, tra cui soprattutto lo stesso MONTE PASCHI, che era rimasto creditore insoluto di un precedente credito chirografario.

L’ I., secondo l’accusa, consapevole di questo programma e della situazione di difficoltà finanziaria della società beneficiaria, di intesa con gli amministratori di quest’ultima, avrebbe cooperato alla conclusione dell’operazione che consentiva (tra l’altro), per le aziende di credito interessate, il rafforzamento della garanzia a precedenti scoperti verso la società fallita.

In sostanza che nel suo agire sarebbe agevolmente ravvisabile la volontà dolosa di giovare ai mutuatari (il G.) e di rafforzare la posizione delle aziende di credito interessate.

Ma AZIENDA AGRITURISTICA (OMISSIS), già in difficoltà, non essendo in grado di si sostenere il peso degli interessi del nuovo contratto, da cui non aveva ritratto beneficio finanziario, venne a fallimento.

Il giudizio di primo grado (che coinvolgeva diversi esponenti della società ed altre ad essa collegate, imputati non ricorrenti) fu definito a seguito di rito abbreviato.

Il giudizio di appello si svolse a seguito del gravame dello stesso imputato (unico ricorrente), sulla base di doglianze assai simili a quelle ora proposte a questa Corte.

Il ricorso interposto dalla difesa dell’ I. avverso la sentenza della Corte d’Appello fiorentina eccepisce:

1) carenza e contraddittorietà della motivazione nell’avere considerato il MONTE DEI PASCHI quale capo-fila del pool di banche erogatrici del mutuo, in continuità con quello che in precedenza (1999) era stato proposto (per L. 4.950.000.000), ma non accettato perchè insufficiente allo scopo, non essendovi continuità tra i due episodi; erronea, ancora, è la considerazione (fondata sulla CT. contabile del PM.) relativa all’ I., quale dominus dell’operazione, a giorno delle condizioni di difficoltà della società beneficiaria, atteso che la missiva da cui sono tratte siffatte illazioni attesta che la pratica fu presentata (come da documento scritto) direttamente dall’amministratore della fallita società e non per iniziativa del ricorrente;

2) carenza e contraddittorietà della motivazione nell’avere desunto dall’impiego del denaro erogato da MONTE DEI PASCHI la originaria volontà di un’operazione dolosa, non rientrando ciò nell’interesse della banca erogatrice ed essendo imprevedibile che, dopo la firma dell’accordo finanziario, la società beneficiarla disperdesse la somma per scopi diversi da quelli pattuiti;

3) carenza della motivazione sui poteri assegnati ad I. all’interno di MONTE DEI PASCHI, in ragione dei quali fu ascritta al prevenuto la responsabilità del concorso nel reato fallimentare, poichè la decisione ignora quanto evidenziato dalla prima sentenza sulla diversa competenza del ricorrente, sulla firma in calce alle delibere di finanziamento, sulla pratica del mutuo che era stata esclusivamente istruita dal MEDIOCREDITO e, dunque, sulla sua estraneità all’emanazione della decisione di concedere il richiesto finanziamento;

4) carenza e contraddittorietà della motivazione nell’avere apprezzato quale prova d’accusa la deposizione del testimone P. e del coimputato GR. secondo cui I. era consapevole del piano spartitorio originario e concordato tra gli imputati ed a beneficio delle banche credutici, poichè il documento a cui il P. si riferisce non al mutuo in esame, bensì a quello precedentemente affacciato di poi non utilizzato e le parole del testimone, inoltre, non si indirizzano verso l’ I., ma ai responsabili delle agenzie delle banche interessate.
Motivi della decisione

Il ricorso è massimamente versato in fatto e presenta anche aspetti di genericità, in quanto riecheggia quanto già eccepito in sede di appello, senza, talora, compiutamente esaminare le ragioni offerte dalla sentenza della Corte fiorentina.

Esistono, peraltro profili di censura che, anche se infondati, non consentono siffatta formula.

La Corte d’appello ha rilevato che al MEDIOCREDITO, a suo tempo, fu presentata una situazione ben difforme dalla realtà.

Che sin dal 1998 la mutuataria – stando alla consulenza tecnica in atti – versava in difficoltà, di fatto inattiva, già segnata dal dissesto (Sent. pag. 14/15).

La decisione ricorda come le carte processuali (la deposizione di P.) indichino nel ricorrente un a persona che, pur priva di incarico formale, fu il vero artefice dell’operazione finalizzata ad assicurare alle banche una garanzia ipotecaria, immune da azione revocatoria.

Un più approfondito esame si risolve in una nuova valutazione delle citate risultanze probatorie (nè soverchia importanza assume il rilievo che il protagonista dell’affare fu il MEDIOCREDITO e non MONTE DEI PASCHI DI SIENA, da cui dipendeva l’ I. e che si trovava esposto pare cospicue anticipazioni di credito insolute, alla luce della circostanza che segnala come in quel settore, soggetto alla direzione del ricorrente, andò a confluire il MEDIOCREDITO, cfr. Sent. pag. 15).

Deve rilevarsi che non risulta affatto illogica ed inconcepibile la circostanza per cui, pur promanando dal cliente beneficiario l’istanza di affidamento creditizio, il regista della manovra sia funzionario di una banca interessata.

Inoltre, le considerazioni giudiziali di pag. 17 del provvedimento impugnato ulteriormente riesaminano l’oggetto del rilievo: la regia sulla spartizione della somma incassata attesta un ruolo di spicco dell’ I. in questa vicenda e smentisce l’immagine volutamente sbiadita del personaggio, quale resa dall’impugnazione.

Con continuità argomentativa i giudici dell’appello pervengono alla conclusione – già accolta dal GUP di Firenze – di protagonista e non già di mero esecutore del piano dolosamente concertato, pur essendo sopravvenuto alla originaria istruzione della pratica.

E correttamente i giudici del merito, hanno riscontrato la penale responsabilità dell’ I., nonostante egli abbia perseguito gli interessi propri dell’ente da cui dipende, in armonia con l’indirizzo, già assunto da questa Corte, poichè si connota di concorso nell’illecito la condotta del funzionario di banca che, dopo la concessione di un mutuo non coperto da garanzie ad imprenditore caduto in difficoltà (o, addirittura, divenuto insolvente) determini la trasformazione del credito già chirografario in credito privilegiato mediante concessione di mutuo fondiario, assistito da garanzia ipotecaria, destinato a ripianare l’esposizione debitoria del cliente (cfr. per es. Cass. pen., sez. 5^, 2.3.2004, Manfredini).

Nè maggiore interesse riveste il secondo mezzo: è dato documentalmente riscontrato il variegato impiego del denaro procacciato dalle banche alla AZIENDA AGRITURISTICA (OMISSIS), destinato a finalità estranee alle esigenze ed all’interesse sociale.

Con immediatezza, rispetto al momento dell’erogazione, il denaro fu usato per scopi diversi dalla costruzione del centro ippico, causale avanzata per la richiesta del finanziamento, anche perchè esso risulta che fosse già realizzato all’atto della richiesta del mutuo e che mai fosse dato inizio al centro alberghiero.

Profili che, a buon diritto, sono stati ritenuti sintomi inequivoci di una preordinazione volta all’utilizzo fraudolento dell’ingente massa di liquidità incettata.

Si tratta di deduzione coerente con le premesse accertate e ragionevolmente desunte anche grazie alle indicazioni testimoniali acquisite (dep. GR. e P.).

Non risponde al vero che si sia adottato il paralogismo "post hoc, ergo propter hoc" come vorrebbe il ricorrente, ma il testo impugnato presenta passaggi seriamente collegati al dato istruttorio e collegati logicamente tra loro.

La risultanza di una concorde intesa tra l’amministratore della fallita società (il G.) e l’ I. scredita la ritenuta assenza di commento sulla imprevedibilità del dissesto della società beneficiaria dell’erogazione: alla fisiologia della previsione per cui la banca non avrebbe rischiato verso un soggetto ormai defedato e prossimo al fallimento, si sovrappose l’intesa di una gestione che assicurasse, comunque, all’istituto bancario un assestamento, idoneo anche a fronteggiare la preventivabile revocazione, della sua pretesa: la commutazione da credito chirografario a credito ipotecario dimostra l’assunto (Sent. pag.

15/16).

L’indicazione rappresentata dalle dichiarazioni del coimputato GR. supera, al di là delle possibili ipotesi, avanzate dal ricorrente nel terzo motivo sul filo della possibile logica e – nuovamente – risulta inammissibile la doglianza ove intenda indurre la Corte alla rivisitazione del contenuto della prova acquisita.

Le affermazioni del GR. poggiano su riscontri di ordine storico e documentale (la firma sull’assegno che venne poi destinato alla figlia dell’amministratore G.) acquisita al processo:

primo atto dimostrativo della diversione tra programma illustrato alle banche ed impiego effettivo della provvista del prestito da esse lucrato; la verifica effettuata dalla curatela fallimentare sullo stato di insolvenza, al momento della negoziazione del titolo, onde la sicura impossibilità alla restituzione del denaro percepito e la sua incapacità a produrre un qualche reddito utile per risollevare la sua economia (richiamo alla Perizia rag. T.).

Ineccepibile, ancora, è il rilievo giudiziale per cui non pare logicamente accettabile rinvenire la cause e l’imprevedibilità dissesto nell’insorgere dei dissidi tra soci, datando essi proprio dal momento dell’erogazione del mutuo qui esaminato, attesa la repentinità dell’occorso, davvero inverosimile se rapportata quale le causa dell’insorgenza dell’insolvenza.

Il quarto motivo è totalmente aderente al fatto e, come tale, inammissibile.

Esso, in ogni caso esso non tiene conto dei rilievi della sentenza a pag. 19 e ss., circa le risultanze oggettive e documentali, che asseverano la prova storica proveniente da GR. (il quale dichiarò al curatore che la società aveva già completato il piano di investimenti, prima dell’avvio della pratica di mutuo, cfr. Sent. pag. 21) e da P..

Il libro giornale della società fallita riporta i movimenti occorsi all’indomani dell’accredito della provvista concessa a mutuo e conferma la conclusione che il mutuo giovò, con repentinità ed esclusività che, secondo ragionevole passaggio argomentativo, sottende un previo intento, di ripianamento delle pendenze debitorie verso le banche e di sovvenire all’economica personale del G..

Una destinazione correttamente definita dai giudici "infedele ed abusiva", rispetto ai programmi illustrati alle azienda bancarie ed assunta – con subitanea immediatezza – nella certezza della favorevole riuscita del programma criminoso.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *