T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-02-2011, n. 1585 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Premettono in fatto le società odierne ricorrenti che con comunicazione del 30 luglio 2008 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato nei loro confronti, in qualità di soggetti fornitori di loghi e suonerie, un procedimento volto ad accertare la ricorrenza di una pratica commerciale scorretta manifestata attraverso diverse condotte, relative alla promozione di servizi di fornitura di loghi, suonerie e contenuti multimediali per cellulari, realizzate in collaborazione con i gestori di telefonia mobile, anche loro coinvolti nel procedimento.

Nel ripercorrere parte ricorrente l’iter procedimentale confluito nell’adozione del gravato provvedimento, ne illustra puntualmente la relativa scansione, avuto particolare riguardo alla svolta istruttoria, illustrando le richieste di informazioni rivolte dall’Autorità ed il contenuto delle risposte fornite, nel dettaglio descrivendo le condotte oggetto di accertamento e gli impegni assunti al fine di eliminare i profili di scorrettezza.

Sulla base delle risultanze dell’istruttoria, è stato quindi adottato, in data 25 febbraio 2008, il gravato provvedimento, con il quale è stata ritenuta scorretta, ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 del Decreto Legislativo n. 206 del 2005, in conformità al parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, la pratica commerciale rappresentata dai messaggi diffusi sui siti internet delle società ricorrenti, relativi al servizio in abbonamento di loghi, suonerie ed altri contenuti multimediali per cellulari, offerti in collaborazione con altri operatori di telefonia mobile, giudicata contraria alla diligenza professionale ed idonea ad indurre in errore il consumatore medio attraverso la presentazione in maniera ambigua ed omissiva di informazioni rilevanti di cui il consumatore stesso ha bisogno per assumere una decisione consapevole circa la reale natura, le concrete caratteristiche e le specifiche condizioni economiche dei servizi pubblicizzati, vietandone l’ulteriore diffusione ed irrogando alla società D. S.p.a., controllante della D..net, la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 125.000.

Avverso tale provvedimento deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

I – Violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990; Violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 11, del D.Lgs. n. 206 del 2005; Violazione e falsa applicazione dei principi del giusto procedimento e del contraddittorio.

Lamenta parte ricorrente la mancata comunicazione, da parte dell’Autorità, prima dell’adozione formale del provvedimento, dei motivi posti a base della comminata sanzione, con conseguente violazione, oltre che delle epigrafate norme, del principio del giusto procedimento e di pienezza del contraddittorio.

II – Difetto di istruttoria per aver utilizzato i risultati dell’indagine di Altroconsumo. Perplessità con riferimento alla prova.

Nel precisare parte ricorrente che il procedimento confluito nell’adozione del gravato provvedimento è stato avviato sulla base di una segnalazione dell’Associazione dei Consumatori Altroconsumo – la quale ha proceduto ad un’indagine simulando la procedura di acquisto dei servizi offerti anche dalle ricorrenti – denuncia come l’Autorità si sia limitata a recepire in modo pedissequo ed acritico i risultati cui tale associazione è giunta la quale, a sua volta, ha tratto le proprie conclusioni non sulla base dell’esperienza di un numero significativo di consumatori, ma sulla base di un’attività dalla stessa posta in essere.

Sarebbe, quindi, viziato il gravato provvedimento per non avere l’Autorità effettuato una autonoma istruttoria e stante la mancanza di concludenza degli elementi segnalati da Altroconsumo, significando altresì parte ricorrente l’assenza di rappresentatività sotto il profilo statistico del fenomeno segnalato – a fronte di solo cinque segnalazioni dei consumatori – che non potrebbe assurgere a valore di pratica commerciale mancando una compiuta verifica dell’effettiva connotazione dimensionale dello stesso.

III – Difetto di istruttoria, errore nei presupposti, travisamento dei fatti per non avere l’AGCM tenuto in considerazione che il servizio "The Music Movement" non ha ad oggetto la vendita di loghi e suonerie bensì musica vera e per non avere tenuto in considerazione che il servizio "The Music Movement" offre come principale modalità di scaricamento dei contenuti il personal computer e non il telefonino.

Il denunciato difetto di istruttoria avrebbe inoltre determinato, secondo parte ricorrente, il conseguente errore nei presupposti su cui si basa il gravato provvedimento, non avendo l’Autorità verificato che il servizio "The Music Movement" non offre loghi e suonerie, bensì musica vera e legale, come tale non destinata ad un pubblico di consumatori individuabili come minorenni, ma principalmente adulto, e fruibile non attraverso il telefono cellulare, ma scaricabile principalmente sul personal computer, senza quindi alcun addebito, con conseguente venir meno dei profili inerenti la compatibilità dei contenuti con i cellulari.

Invoca, inoltre, parte ricorrente, a sostegno della denunciata illegittimità del gravato provvedimento, il parere reso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni laddove ha escluso che il mercato dei loghi e delle suonerie sia rivolto ad un pubblico di minorenni.

IV – Incompetenza. Difetto ed errata motivazione. Violazione dell’art. 25, comma 1, del Codice del Consumo. Eccesso di potere. Violazione e falsa applicazione del D.M. 145 del 2006.

Nel rappresentare parte ricorrente come manchi, nella fattispecie in esame, la prova che anche un solo consumatore sia stato tratto in inganno dalla pratica sanzionata, afferma altresì il mancato riscontro di indizi presuntivi di colpevolezza gravi, precisi e concordanti che non sarebbero in alcun modo rinvenibili nella condotta posta in essere, né indicati nel gravato provvedimento.

Contesta altresì parte ricorrente la teoria del primo aggancio, su cui si basa il giudizio di ingannevolezza dei messaggi sanzionati, affermando come lo stesso non trovi alcun fondamento normativo, invocando, a sostegno dell’assunto, il disposto di cui all’art. 52 del Codice del Consumo, ai sensi del quale le informazioni necessarie ed essenziali devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile solo prima della conclusione del contratto, e non in un momento anteriore.

Contesta, quindi, parte ricorrente le valutazioni formulate dall’Autorità sostenendo al contempo la correttezza della propria condotta, nel dettaglio illustrando la procedura di acquisto dei servizi offerti – aventi ad oggetto musica vera e legale, con offerta di una settimana di prova gratuita prima di fruire del servizio in abbonamento, senza alcun meccanismo automatico di rinnovo – denunciando altresì come l’Autorità si sia appropriata di poteri di enforcement, volti ad integrare le norme ed i regolamenti che disciplinano una determinata materia, che non le appartengono, con conseguente vizio di incompetenza.

Sarebbe, ancora, errato il riferimento dell’Autorità al D.M. n. 145 del 2006, il quale si riferisce ai diversi servizi a sovrapprezzo forniti tramite connessione ad internet attraverso il dial up, che sarebbe fattispecie diversa dai servizi offerti dalle ricorrenti, con conseguente erroneità della motivazione sottesa al gravato provvedimento.

V – In via assolutamente subordinata: eccessiva onerosità della sanzione irrogata. Violazione dei principi della legge n. 689 del 1981.

Si duole parte ricorrente della quantificazione della sanzione irrogata sulla base delle medesime argomentazioni spese al fine di dimostrare che il servizio "The Music Movement" si riferisce a musica vera da scaricare sul personal computer e non a loghi e suonerie da scaricare sui cellulari, e che tale servizio è destinato ad un pubblico adulto, su tale base contestando il formulato giudizio di gravità della condotta.

Quanto alla durata della condotta, ritenuta dall’Autorità posta in essere dal novembre 2007, ne sostiene parte ricorrente l’erroneità in quanto i servizi sanzionati hanno formato oggetto di indagine da parte di Altroconsumo solo a partire dal 30 aprile 2008.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Alla Pubblica Udienza del 9 febbraio 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in esito alla compiuta istruttoria, acquisito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed apprezzata la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, 21 e 22, del Codice del Consumo, di una pratica commerciale posta in essere, a diverso titolo, da una pluralità di soggetti, tra cui le società ricorrenti nella loro qualità di fornitori di loghi e suonerie, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato alla D. S.p.a., controllante della D..net S.p.a., una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 125.000.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte dalle società ricorrenti, cui la condotta sanzionata è stata imputata nella loro qualità di soggetti fornitori di loghi e suonerie appartenenti al gruppo D., si snoda attraverso la proposizione di censure volte, innanzitutto, a denunciare l’intervenuta violazione del principio del giusto procedimento per non avere l’Autorità comunicato, prima dell’adozione del gravato provvedimento, le ragioni sulla cui base ha ritenuto di dover irrogare una sanzione con riferimento alle condotte oggetto di accertamento, procedendo altresì alla confutazione delle valutazioni espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) con riferimento alla condotta sanzionata, preliminarmente nel dettaglio illustrando gli elementi di rilievo sulla cui base nega, parte ricorrente, la sussistenza di profili di ingannevolezza della pratica, denunciando, in particolare, la carente istruttoria e la sussistenza di profili di erroneità che inficerebbero la gravata determinazione, adottata dall’Autorità esorbitando dai poteri alla stessa conferiti e basata su di un travisamento dei fatti e su di una non corretta motivazione, contrastante con le norme di riferimento.

Sotto altro profilo ed in via subordinata, si duole parte ricorrente della quantificazione della sanzione, censurando, alla luce dei denunciati vizi che inficerebbero la gravata determinazione, il formulato giudizio di gravità della condotta, sostenendo altresì l’erroneità della indicazione della durata della stessa.

Prima di procedere alla disamina delle censure ricorsuali proposte, giova premettere un breve cenno descrittivo della condotta sanzionata con il gravato provvedimento, al fine di meglio delineare i contorni della vicenda in esame e più compiutamente definire la portata delle doglianze che alla stessa afferiscono, rinviando al prosieguo della trattazione il più esaustivo esame del contenuto della gravata delibera nei limiti in cui lo stesso si riveli funzionale alla delibazione rimessa al Collegio.

In tale direzione, va precisato che con la gravata delibera è stata ritenuta integrata una pratica commerciale scorretta, in violazione degli artt. 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, manifestata attraverso diverse condotte, volte alla promozione di servizi fornitura di loghi, suonerie e altri contenuti multimediali per cellulari, poste in essere dalla società D. S.p.a. e D..net S.p.a. in collaborazione con i gestori di telefonia mobile, realizzata attraverso messaggi pubblicitari diffusi sul sito http://it.cellulari.yahoo.net/ e http://it.dada.net/store /.

In particolare, è stato accertato che tali messaggi, ideati principalmente per la promozione di singoli contenuti per cellulari, hanno in realtà ad oggetto una proposta commerciale di un abbonamento ad un servizio di suonerie, loghi e altri contenuti per telefonini, senza che siano chiarite adeguatamente, fin dalla prima pagina di offerta dei contenuti multimediali, le effettive caratteristiche del servizio nel suo complesso ed, in particolare, la circostanza che si tratta di un servizio a pagamento destinato a maggiorenni, gli oneri da esso derivanti, le procedure per la disattivazione dell’abbonamento e le limitazioni legate alle caratteristiche di compatibilità del cellulare del soggetto che procede all’acquisto.

I profili di rilevata scorrettezza della pratica, ricadenti nella tipologia delle omissioni informative, vengono dall’Autorità puntualmente analizzati alla luce delle concrete modalità di rappresentazione dell’offerta, attraverso in particolare il sito data.net/store, e della collocazione delle informazioni essenziali come accessibili dai consumatori attraverso il percorso logico di acquisto dei servizi offerti, ritenendo, sulla base della concreta rappresentazione dell’offerta, la sua idoneità ad ingenerare confusione negli utenti circa le reali caratteristiche del servizio offerto, presentato, nella home page dei siti, come volto all’acquisto di un di un determinato contenuto multimediale, salvo poi specificare nelle informazioni poste a piè di pagina, con caratteri grafici ridotti, che a tale operazione è connessa l’attivazione di un abbonamento a tempo indeterminato di cui non sono indicati in maniera adeguata i costi sia per il servizio nel suo complesso che per l’invio dei singoli contenuti, senza quindi chiarire, in modo adeguato, la natura in abbonamento del servizio di cui si prospetta l’attivazione, i conseguenti vincoli economici, le procedure di disattivazione e le limitazioni derivanti dall’utilizzo di cellulari non compatibili o non correttamente configurati, ritenendo a tal fine insufficiente che tali informazioni siano fornite attraverso il link di rinvio "Privacy" posto in fondo alla pagina, indicato con caratteri di dimensione ridotta rispetto al contesto pubblicitario e di difficile e non obbligatoria consultazione.

L’inadeguatezza delle modalità informative dell’offerta sono, inoltre, parametrare dall’Autorità all’art. 12, punto 4, del D.M. 2 marzo 2006, n. 145, venendo in rilievo servizi a valore aggiunto offerti tramite numerazioni a sovrapprezzo a decade 4, non venendo peraltro adeguatamente rappresentata la destinazione del servizio ai maggiorenni, relativamente ad un’offerta tendenzialmente destinata ai consumatori di una fascia di età giovane.

Tanto brevemente premesso in ordine alle caratteristiche della pratica sanzionata e delle ragioni della sua ritenuta scorrettezza, viene in rilievo, nella gradata elaborazione logica delle censure ricorsuali proposte, la denunciata violazione dei principi del giusto procedimento e del pieno contraddittorio per non avere l’Autorità, in asserito contrasto con quanto previsto dall’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, comunicato i motivi posti a base della comminata sanzione.

La censura non ha pregio.

La disciplina normativa di riferimento, alla cui luce condurre il vaglio di legittimità della gravata determinazione, va individuata nel D.Lgs. n. 206 del 2005 – recante il Codice del Consumo – e nel Regolamento sulle procedure istruttorie, adottato con delibera dell’Autorità del 15 novembre 2007 n. 17589, non potendo trovare applicazione, quanto ad adempimenti procedimentali, la legge n. 241 del 1990 richiamata dalle società ricorrenti, la cui operatività, in quanto legge di carattere generale, trova il proprio limite nell’intervenuta compiuta normazione della materia con disciplina specifica avente carattere speciale.

Ricondotta la fattispecie al relativo quadro normativo di riferimento, va rilevato che la scansione procedimentale degli accertamenti in materia di pratiche commerciali scorrette è disciplinata dall’art. 27 del D.Lgs. n. 206 del 2005 – che a sua volta rinvia all’art. 14, commi 2, 3 e 4 della legge n. 287 del 1990 – recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato – e dalle norme del sopra citato Regolamento che, nel prevedere un intenso contraddittorio tra le parti nel corso dell’istruttoria, non stabiliscono, a carico dell’Autorità, alcun onere di previa comunicazione alle parti dei motivi che, in esito all’istruttoria, conducono all’adozione di provvedimenti a loro sfavorevoli.

In particolare, vengono, in rilievo, in proposito, gli artt. 6 e 16 del Regolamento, ai sensi dei quali il procedimento, successivamente alla comunicazione dell’avvio dell’istruttoria, è scandito, laddove il responsabile del procedimento ritenga sufficientemente istruita la pratica, dalla comunicazione alle parti della data di conclusione della fase istruttoria con indicazione di un termine entro il quale le stesse possono presentare memorie conclusive o documenti, rimettendo gli atti, previa acquisizione, ove necessario, del parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, al Consiglio per l’adozione del provvedimento finale.

La disciplina dettata in materia di pratiche commerciali scorrette, non prevede quindi, alcuna comunicazione dei motivi che condurranno all’adozione di provvedimenti sfavorevoli alla parte e, richiamata la non applicabilità ai relativi procedimenti di accertamento delle norme dettate dalla legge n. 241 del 1990, ostandovi il carattere speciale della disciplina dettata per tale ambito di materia, va altresì rilevato che l’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, di cui parte ricorrente denuncia l’intervenuta violazione, si riferisce ad una diversa tipologia procedimentale, in cui l’avvio del procedimento avviene su istanza della parte volta ad ottenere un provvedimento a sé favorevole, prevedendo, in caso di emersione di motivi ostativi all’accoglimento della stessa, la loro comunicazione al fine di consentire alla parte di formulare le proprie osservazioni, così garantendo un contraddittorio di tipo sostanziale in merito ai profili di rilievo anche in un’ottica di deflazione preventiva di contenzioso, laddove in materia di pratiche commerciali scorrette il procedimento non è volto alla soddisfazione di interessi pretensivi della parte, quanto all’accertamento di profili di illiceità passibili di sanzione.

La natura sanzionatoria del procedimento lo riconduce nell’ambito del quadro dei principi di carattere generale che, per tali procedimenti, si ispira alla necessità della piena garanzia del contraddittorio e del rispetto delle prorogative difensive delle parti, cui non è – all’evidenza – immanente l’obbligo di previa comunicazione degli elementi che, in esito alla compiuta istruttoria, condurranno all’adozione di un provvedimento di accertamento dell’infrazione.

Le esigenze della piena garanzia del contraddittorio e del rispetto delle prorogative difensive delle parti, nei procedimenti che qui occupano, risultano pienamente garantiti alla luce delle specifiche previsioni che ne disciplinano la scansione anche nella parte in cui, contrariamente a quanto avviene per i procedimenti in materia di antitrust, non prevedono la comunicazione delle risultanze istruttorie, e ciò nella considerazione che le norme del regolamento in materia di pratiche commerciali scorrette assicurano comunque, pur non prevedendo gli artt. 6 e 16, a differenza che nel regolamento sulle procedure in materia di tutela della concorrenza, la contestazione delle risultanze istruttorie, una piena garanzia del contraddittorio, riconoscendo alle parti un’ampia facoltà di presentare scritti difensivi e documentazione a supporto delle argomentazioni proposte, sicché il procedimento è del tutto conforme ai principi sottesi alla legge n. 241 del 1990 e rispondente all’architettura giuridica dei procedimenti sanzionatori.

Il principio del contraddittorio, che si declina nella necessità per le parti del procedimento di poter proficuamente partecipare all’istruttoria ed esercitare le proprie prerogative difensive, trova, difatti, specifica attuazione attraverso, innanzitutto, il previsto obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, in cui vengono indicati i profili in cui si sostanzia la pratica commerciale oggetto di accertamento e gli elementi essenziali utili a consentire al professionista l’individuazione della condotta oggetto di indagine con riguardo ai profili fattuali, nonché il richiamo ai parametri normativi alla cui violazione esse siano astrattamente ascrivibili, con facoltà delle parti di presentare memorie e documenti e di essere sentite in audizione.

Il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa sono quindi ampiamente garantiti nell’ambito del procedimento in materia di pratiche commerciali scorrette, caratterizzato da un compiuto sistema partecipativo, nel cui ambito il diritto di difesa dei soggetti coinvolti viene assicurato e concretamente esercitato attraverso una pluralità di strumenti, tra cui la comunicazione di avvio del procedimento, la possibilità di presentare memorie e fornire informazioni, lo strumento dell’audizione, che sono pienamente idonei ad assicurare la tutela dei diritti difensivi delle parti, senza che gli stessi possano ritenersi compromessi per effetto della manca comunicazione, prima dell’adozione del provvedimento finale, delle ragioni allo stesso sottese, non potendo condividersi, per le ragioni dianzi esposte, la tesi di parte ricorrente volta a far ricadere tale procedimento nell’ambito di applicazione della legge n. 241 del 1990 – con conseguente suo assoggettamento all’obbligo di comunicazione di cui all’art. 10 bis – trovando tale soluzione ostacolo nella disciplina di settore che, come illustrato, dispone diversamente rispetto alla legge generale sul procedimento amministrativo quanto agli obblighi procedimentali, e ciò in coerenza con la peculiarità della materia.

Peraltro, avuto riguardo al concreto atteggiarsi della fattispecie, risultano essere stati ampiamente garantiti e concretamente esercitati da parte ricorrente i diritti partecipativi che la disciplina di riferimento riconosce nella misura sopra illustrata.

Nelle considerazioni che precedono risiedono, quindi, le ragioni dell’infondatezza del motivo di censura in esame, legittima dovendo ritenersi la scansione del procedimento confluito nell’adozione della gravata delibera, pienamente conforme alle norme di riferimento.

Ulteriore censura avente anch’essa carattere procedimentale, pur se i suoi effetti si risolvono in vizi di natura sostanziale del provvedimento finale, dal cui contenuto la censura trova possibilità di essere dedotta, è volta a denunciare l’assenza di una compiuta istruttoria da parte dell’Autorità, la quale avrebbe asseritamente recepito in modo acritico i risultati dell’indagine condotta dall’Associazione dei Consumatori Altroconsumo – dalla cui segnalazione ha preso avvio il procedimento confluito nell’adozione della gravata delibera – effettuata sulla base di una simulazione della procedura di acquisto dei servizi offerti dalle società operanti nel settore di fornitura di servizi multimediali, le cui risultanze sarebbero peraltro prive, secondo parte ricorrente, di effettiva concludenza nel senso della scorrettezza della condotta, che non potrebbe assurgere a valore di pratica commerciale stante l’assenza di rappresentatività sotto il profilo statistico del fenomeno segnalato, a fronte di solo cinque segnalazioni da parte dei consumatori e della circostanza che i risultati dell’Associazione Altroconsumo non si basano su esperienze di un numero significativo di consumatori, ma su di un’attività dalla stessa posta in essere.

I denunciati profili asseritamente vizianti la svolta istruttoria – che, nella parte in cui fanno riferimento all’assenza di rappresentatività del fenomeno statistico di consumatori che hanno denunciato la scorrettezza della pratica involgono profili inerenti la disamina della struttura stessa dell’illecito, su cui ci si soffermerà più oltre – trovano le ragioni della loro infondatezza alla luce del contenuto del gravato provvedimento e delle motivazioni allo stesso sottese, avuto particolare riguardo all’indicazione degli elementi descrittivi della pratica e della valutazioni assunte dall’Autorità alla luce delle risultanze dell’istruttoria che, lungi dal recepire acriticamente quanto rappresentato nella segnalazione dell’Associazione Altroconsumo, trovano autonomo fondamento negli atti accertativi condotti dall’Autorità.

L’ampia illustrazione della condotta sanzionata – come recata nel gravato provvedimento – e del contenuto dei messaggi ritenuti caratterizzati da omissioni informative, attestano con ogni evidenza l’autonomia dell’istruttoria condotta dall’Autorità e delle relative valutazioni conclusive, la quale ha proceduto alla verifica del messaggio oggetto di rilevazione dell’Associazione segnalante e di quello esaminato nel corso dell’attività di monitoraggio condotta con riferimento all’iniziativa della Commissione Europea denominata "sweep", nell’ambito di un approfondimento istruttorio che, invero, non risulta affetto da carenze o incompletezze.

Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, non risulta quindi integrata alcuna acritica adesione, da parte dell’Autorità, ai risultati cui è giunta l’associazione segnalante, avendo l’Autorità utilizzato gli elementi oggetto di segnalazione quale impulso per l’avvio della verifica della sussistenza di ipotesi di eventuale violazione delle norme dettate dal Codice del Consumo, nell’esercizio dei propri poteri sanzionatori e delle proprie prerogative funzionali.

Dovendo in proposito ricordarsi che il procedimento volto all’accertamento di eventuali pratiche scorrette può essere avviato, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del Codice del Consumo, sia d’ufficio che su istanza di soggetti privati o organizzazioni, il cui contenuto, previa valutazione della sussistenza del fumus per l’avvio del procedimento, forma oggetto di approfondimento istruttorio.

Non conduce a conclusioni diverse da quelle dianzi illustrate la circostanza, evidenziata da parte ricorrente, della coincidenza tra i soggetti nei cui confronti l’Autorità ha avviato il procedimento e quelli esaminati dall’associazione segnalante, trattandosi di un dato di mero fatto la cui valenza asseritamente indiziante la denunciata trasposizione nel gravato provvedimento dei risultati dell’indagine dell’associazione risulta, invero, debole ed irrilevante laddove la decisione finale risulti basata – come avviene nella fattispecie in esame – su autonome verifiche svolte dall’Autorità sui fatti segnalati e sulla compiuta ed esauriente valutazione dei profili di illiceità che trovano corrispondenza nelle emergenze istruttorie.

Quanto al profilo con cui parte ricorrente contesta che la condotta sanzionata possa rivestire la consistenza di una pratica commerciale, stante l’esiguo numero di consumatori che hanno indirizzato segnalazioni all’Autorità, ne rileva il Collegio l’erroneità nella relativa impostazione teorica, in quanto una pratica, nella definizione offerta dall’art. 18, comma 1, del Codice del Consumo, risulta integrata per effetto di qualsiasi comportamento posto in essere da soggetti qualificabili quali professionisti, non assurgendo a valore di elemento integrante una pratica commerciale la significatività del numero di soggetti che ne segnalano la scorrettezza.

E difatti, per pratica commerciale tra professionisti e consumatori deve intendersi, secondo la definizione di cui alla citata norma "qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori".

Né, ai fini di poter ritenere integrata una pratica commerciale scorretta, è necessaria la sussistenza di una apprezzabile distorsione del comportamento dei consumatori e del mercato, posto che l’effettiva incidenza della pratica commerciale scorretta sulle scelte dei consumatori non costituisce elemento idoneo ad elidere o ridurre i profili di scorrettezza della stessa, e ciò in ragione della struttura dell’illecito in esame.

Difatti, l’illiceità della condotta, al fine di assumere rilevanza ai sensi delle disposizioni del Codice del Consumo, non deve dimostrare una concreta attuazione pregiudizievole per le ragioni dei consumatori, quanto, piuttosto, una potenzialità lesiva per le scelte che questi ultimi devono poter porre in essere fuori da condizionamenti o orientamenti decettivi.

Il che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell’illecito non già di danno, ma di mero pericolo, in quanto riferito a condotte intrinsecamente idonee a condurre alle conseguenze che la disciplina di legge ha inteso, invece, scongiurare (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. – I – 22 novembre 2010 n. 33791; 8 aprile 2009 n. 3722; 8 settembre 2009 n. 8399 e n. 8394).

Gli effetti della condotta, si pongono, in definitiva, al di fuori della struttura dell’illecito, atteso che la normativa in materia non ha la mera funzione di assicurare una reazione alle lesioni arrecate dalle pratiche scorrette agli interessi patrimoniali del consumatore, ma si colloca su un più avanzato fronte di prevenzione, essendo tesa ad evitare effetti dannosi anche soltanto ipotetici.

Con la conseguenza che gli effetti della condotta possono, semmai, assumere significatività quale elemento aggravante, laddove il comportamento ascrivibile all’operatore abbia avuto diffuse ricadute pregiudizievoli nell’ambito dei consumatori, essendo da tale circostanza desumibile con ogni evidenza la grave inadeguatezza del comportamento posto in essere da quest’ultimo a fronte del paradigma di diligenza cha la normativa di riferimento ha posto quale essenziale parametro di valutabilità della condotta.

Per la configurazione dell’illecito non è, pertanto, necessario che l’Autorità analizzi e basi il proprio giudizio sui concreti effetti pregiudizievoli prodotti dalla pratica commerciale, essendo invece sufficiente che, sulla base di un giudizio prognostico, la stessa sia ritenuta idonea ad incidere potenzialmente sulle scelte dei consumatori (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 settembre 2009 n. 9083).

Connesso con l’esaminato profilo di difetto di istruttoria è l’ulteriore motivo di censura volto a denunciare il travisamento dei fatti in cui sarebbe incorsa l’Autorità – quale conseguenza della carente istruttoria – per non avere tenuto in considerazione che il servizio "The Music Movement" non avrebbe ad oggetto la vendita di loghi e suonerie, bensì musica vera e legale, come tale non destinata ad un pubblico di consumatori individuabili come minorenni, ma principalmente adulto, e fruibile non attraverso il telefono cellulare, ma scaricabile principalmente sul personal computer, senza quindi alcun addebito, con conseguente venir meno anche dei profili inerenti la compatibilità dei contenuti con i cellulari.

Quanto all’oggetto del servizio offerto e veicolato attraverso i messaggi sanzionati, le affermazioni di parte ricorrente circa l’esclusiva riferibilità dello stesso alla possibilità di scaricare musica sul personal computer, trovano smentita alla luce della descrizione – puntualmente riferita nella gravata delibera – dei messaggi e del contenuto delle pagine dei siti attraverso cui l’offerta viene veicolata, emergendo inequivocabilmente dalla sezione "download" riferita al servizio "The Music Movement" del sito dada.net/store, la possibilità di scaricare musica, immagini, giochi, podcast SMS e inviare SMS; dalla sezione "musica" risulta possibile scaricare musiche per il lettore mp3, oppure per il cellulare; viene, inoltre, indicata la possibilità di ascoltare la musica scaricata usando il computer, il telefonino e qualsiasi lettore Mp3. Inoltre, il numero di telefono è indicato come obbligatorio in quanto l’abbonamento al servizio prevede la disponibilità dei contenuti su mobile e web e l’addebito settimanale di 3 euro avviene via SMS o MMS.

Risulta, pertanto, che il servizio riguarda contenuti multimediali fruibili sia mediante personal computer che tramite telefono cellulare, sulla base di un abbonamento, non essendo pertanto ravvisabile alcun travisamento dei fatti da parte dell’Autorità nella ricostruzione del contenuto della pratica.

Il descritto contenuto del servizio, come correttamente rappresentato dall’Autorità, costituisce, conseguentemente, valido fondamento per le criticità riscontrate sotto il profilo della non adeguatezza informativa quanto alla compatibilità del cellulare dell’utente con il servizio offerto e le conseguenze derivanti dalla sottoscrizione dell’abbonamento in caso di cellulare non compatibile o non correttamente configurato, non recando la home page del sito alcuna indicazione al riguardo, e venendo comunque attivato ed addebitato il servizio anche in caso di impossibilità di fruizione dello stesso.

Ancora, sempre tenuto conto del contenuto del servizio, come sopra delineato, deve ritenersi la correttezza delle valutazioni effettuate dall’Autorità circa la ritenuta destinazione dello stesso anche ad un pubblico giovane, rapportando anche a tale profilo l’onere di completezza informativa gravante sul professionista, nella specie violato.

Tale rafforzato obbligo informativo, quanto a chiarezza e completezza delle informazioni essenziali, a fronte peraltro delle previsioni di cui al D.M. n. 145 del 2006 – recante il regolamento sui servizi a sovrapprezzo" – che impone specifici obblighi informativi con indicazione, tra l’altro, che il servizio è destinato a maggiorenni e può essere erogato solo dopo esplicita accettazione, dovendo la pubblicità essere chiara e recare in modo esplicito e leggibile la natura a sovrapprezzo del servizio ed il relativo costo, viene dall’Autorità ricondotto al carattere innovativo dei servizi oggetto di promozione, che impone ai professionisti coinvolti nella pratica un particolare obbligo di chiarezza e completezza nel veicolare le informazioni circa caratteristiche e costi del servizio, ritenendo che la riscontrata ambiguità ed il carattere fuorviante della pratica commerciale siano amplificati in considerazione della categoria dei consumatori appartenenti ad una fascia di età più giovane, ai quali l’art. 20, comma 3, del Codice del Consumo riserva una tutela più specifica e rafforzata, con particolare riferimento all’idoneità della pratica ad alterare il relativo comportamento economico anche nei casi in cui stessa sia suscettibile di raggiungere gruppi più ampi di consumatori.

Non vale ad incrinare le valutazioni effettuate sul punto dall’Autorità il richiamo di parte ricorrente al parere reso dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha escluso che il mercato dei loghi e delle suonerie sia rivolto ad un pubblico di minorenni.

Precisato che tale parere, da richiedere obbligatoriamente quando la pratica commerciale sia diffusa attraverso la stampa, per via radiofonica o televisiva, o altro mezzo di telecomunicazione, non è comunque vincolante nei suoi contenuti, potendo l’Autorità discostarsene sulla base di un adeguato apparato motivazionale, osserva il Collegio che, con valutazioni pienamente condivisibili e non efficacemente contrastate da parte ricorrente, la riferibilità del servizio anche ad un pubblico minorenne è stata ancorata alla tipologia dello stesso, avente ad oggetto contenuti multimediali fruibili anche mediante telefono cellulare cui il pubblico di consumatori più giovani è più avvezzo, in linea con un orientamento espresso più volte dall’Autorità.

Coerente con siffatta premessa appare, dunque, la valutazione dell’effetto particolarmente pregiudizievole della condotta, in quanto caratterizzata da indicazioni carenti e poco chiare circa le caratteristiche ed i costi finali del servizio pubblicizzato, in considerazione della naturale mancanza di esperienza dei giovani, anch’essi potenziali destinatari dei messaggi sanzionati, in quanto meno propensi a distaccate e specifiche valutazioni di opportunità economica, in rapporto alle nuove tecnologie e ai servizi offerti attraverso i terminali di comunicazione, anche tenuto conto della particolare tutela che l’art. 20, comma 3, del Codice del Consumo riserva agli adolescenti quale gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile.

Correttamente, quindi, l’Autorità ha ritenuto la necessità per il professionista di adottare, con riferimento a tale tipologia di servizio, accorgimenti grafici ed espressivi idonei a rendere edotto il pubblico non adulto dell’attivazione di un servizio a pagamento, di durata prolungata, conseguente al download della prima suoneria.

Occorre in proposito evidenziare, approfondendo gli aspetti di ritenuta scorrettezza della pratica sanzionata, che i messaggi, nella loro formulazione generale, sono volti principalmente alla promozione di singoli contenuti per cellulari mentre, in realtà, hanno ad oggetto una proposta commerciale di un abbonamento ad un servizio di suonerie, loghi e altri contenuti per telefonini, senza che siano chiarite adeguatamente, fin dalla prima pagina di offerta dei contenuti multimediali, le effettive caratteristiche del servizio nel suo complesso ed, in particolare, la circostanza che si tratta di un servizio a pagamento destinato a maggiorenni, gli oneri da esso derivanti, le procedure per la disattivazione dell’abbonamento e le limitazioni legate alle caratteristiche di compatibilità del cellulare del soggetto che procede all’acquisto.

Tale valutazione è stata effettuata sulla base dell’esame della home page ove i messaggi sono stati rilevati, le cui diciture lasciano intendere che si tratti dell’acquisto di un determinato contenuto multimediale, salvo poi specificare nelle informazioni poste a piè di pagina, con caratteri grafici ridotti, che a tale operazione è connessa l’attivazione di un abbonamento a tempo indeterminato di cui non sono indicati in maniera adeguata i costi sia per il servizio nel suo complesso che per l’invio dei singoli contenuti – non chiarendo in modo adeguato la natura in abbonamento del servizio di cui si prospetta l’attivazione, i conseguenti vincoli economici, le procedure di disattivazione e le limitazioni derivanti dall’utilizzo di cellulari non compatibili o non correttamente configurati – che sono invece fornite mediante il link di rinvio "Privacy" posto in fondo alla home page, indicato con caratteri di dimensione ridotta rispetto al contesto pubblicitario e di difficile e non obbligatoria consultazione.

L’inadeguatezza delle modalità informative che caratterizzano i messaggi in questione è aggravata, come accennato, dalla previsione di cui all’art. 12, punto 4, del D.M. 2 marzo 2006, n. 145, laddove dispone che "Nel caso di servizi a sovrapprezzo forniti tramite la connessione ad Internet, il messaggio di cui al comma 2 non e" connesso ad altri messaggi ed e" presentato tramite un riquadro evidenziato sulla pagina video, in forma chiara e leggibile integralmente, senza ricorso al cursore", le cui prescrizioni risultano, nella fattispecie, del tutto disattese.

In proposito, ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, il citato decreto debba trovare applicazione nella fattispecie in esame, in cui viene in rilievo l’offerta di servizi tramite numerazioni a sovrapprezzo a decade 4 ivi regolamentati, non potendo la disciplina ivi recata ritenersi riferita ai soli servizi a sovrapprezzo forniti tramite connessione ad internet attraverso il dial up, come affermato da parte ricorrente.

Quanto sopra illustrato rende contezza delle ragioni che, a giudizio del Collegio, depongono per l’infondatezza delle censure con cui parte ricorrente lamenta il mancato riscontro di indizi presuntivi di colpevolezza gravi, precisi e concordanti, che non sarebbero asseritamente in alcun modo rinvenibili nella condotta posta in essere, né indicati nel gravato provvedimento.

Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, risultano integrati – e correttamente verificati, nonché compiutamente illustrati – gli elementi costitutivi dell’illecito in esame, stanti le riscontrate carenze informative dei messaggi sanzionati in ordine ad elementi essenziali per assumere una decisione economica consapevole, idonee a pregiudicare la libertà di autodeterminazione del consumatore, che costituisce obiettivo primario del Codice del Consumo.

Dovendo, inoltre, l’onere di completezza informativa essere assolto dal professionista sin dal primo contatto con il consumatore – come correttamente rilevato dall’Autorità che ha ricondotto le carenze informative alla prospettazione dei messaggi contenuta nella home page – deve delibarsi l’infondatezza delle argomentazioni di parte ricorrente volte a confutare la denominata "teoria del primo aggancio’, asseritamente mancante di fondamento normativo, invocando, a sostegno dell’assunto, il disposto di cui all’art. 52 del Codice del Consumo, ai sensi del quale le informazioni necessarie ed essenziali devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile solo prima della conclusione del contratto, e non in un momento anteriore.

Scopo della disciplina dettata a tutela del consumatore è, difatti, quello di salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore sin dal primo contatto pubblicitario, imponendo al professionista un particolare onere di chiarezza nella propria strategia comunicativa.

L’ingannevolezza del messaggio non è, quindi, esclusa dalla possibilità che il consumatore sia posto in condizione, prima della stipula del contratto – come affermato da parte ricorrente – di conoscere tutti i dettagli dell’offerta reclamizzata, in quanto la verifica dell’Autorità riguarda il messaggio in sé, e pertanto la sua intrinseca idoneità a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili a "contatto" già avvenuto, e quindi ad effetto promozionale ormai prodotto.

Ed infatti, l’esigenza di chiarezza e completezza dei messaggi pubblicitari è imposta sin dal primo contatto, attraverso il quale devono essere messi a disposizione del consumatore gli elementi essenziali per una immediata percezione dell’offerta economica reclamizzata, imponendo la disciplina dettata a tutela dei consumatori che la reclamizzazione dell’offerta risponda a determinati standards di chiarezza e percepibilità, ed essere quindi veicolata attraverso mezzi idonei e contenere tutti gli elementi essenziali della stessa al fine di consentire al consumatore, fin dal primo contatto, di percepirne correttamente le portata e le condizioni di fruibilità.

Coerentemente, quindi, con la struttura dell’illecito e con le finalità degli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento, la verifica di ingannevolezza di un messaggio va condotta con riferimento al messaggio pubblicitario in sé e per sé considerato, e quindi alla sua idoneità a condizionare le scelte dei destinatari, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili successivamente alla produzione dell’effetto promozionale o in un contesto informativo diverso, dovendo l’informazione pubblicitaria essere completa e non ingannevole ex se considerata, sulla base del principio della c.d. autosufficienza informativa.

Il giudizio in ordine al carattere di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario va, pertanto, effettuato ex ante con esclusivo riferimento alla portata dello stesso, costituendo il contatto del destinatario del messaggio con il professionista il raggiungimento del risultato che il messaggio si prefigge, così consumandosi l’ingannevolezza dello stesso che mira, appunto, ad indebitamente orientare le scelte dei destinatari inducendoli a contattare il professionista.

E’, dunque, per tale ragione che il pregiudizio – anche potenziale, per come sopra illustrato – del comportamento economico del consumatore derivante da una condotta ingannevole non viene escluso dalla possibilità per questi di ottenere esaustive informazioni in un momento successivo a quello in cui si è perfezionato il contatto ai fini della conclusione dell’operazione commerciale, essendo la ratio della specifica normativa la protezione dei destinatari dei messaggi al fine di evitare che siano indotti al contatto con l’operatore commerciale sulla base di una pubblicità ingannevole che non li informa, in termini di chiarezza, completezza e correttezza, compatibilmente con la natura del messaggio, della reale portata di quello reclamizzato. Nell’ambito del giudizio di non veridicità ed ingannevolezza di un messaggio pubblicitario va, pertanto, apprezzato il contenuto del messaggio stesso al fine di verificare se nei suoi contenuti e nella sua portata persuasiva sia idoneo a condizionare le scelte dei destinatari, realizzandosi il fine promozionale attraverso il messaggio stesso, il quale esaurisce la propria funzione proprio nell’indurre il destinatario a rivolgersi all’operatore, dovendosi conseguentemente valutare la completezza e la veridicità di un messaggio pubblicitario nell’ambito del suo contesto di comunicazione commerciale, irrilevante essendo la possibilità per il consumatore di acquisire ulteriori informazioni da fonti diverse o successivamente all’instaurazione del contatto o del rapporto tra consumatore ed operatore.

Pertanto, alla luce delle finalità della disciplina dettata in materia di pubblicità ingannevole nei rapporti tra professionisti e consumatori e dei parametri cui ancorare il carattere di ingannevolezza, nessun pregio può assumere la circostanza che i caratteri di completezza e chiarezza dell’informazione siano integrati per effetto del rinvio del messaggio – diffuso tramite internet, e quindi mediante un canale che si presta più agevolmente di altri a fornire un’informazione completa ed esauriente in dalla home page – ad ulteriori link, peraltro a consultazione non obbligatoria.

Va richiamata, in proposito, la disposizione recata dall’art. 22 del Codice del Consumo, intitolato alle "Omissioni ingannevoli’, ai sensi del quale "È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso".

Se il disposto normativo contestualizza il giudizio di ingannevolezza di una pratica commerciale in ragione delle caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, tale giudizio va comunque condotto alla stregua della verifica dell’adempimento dell’onere, ricadente sul professionista, di chiarezza, completezza e correttezza informativa in ordine all’offerta, pur se compatibilmente con le caratteristiche del mezzo utilizzato.

In sostanza, alla luce della corretta lettura dogmatica della fattispecie illecita che viene in rilievo, la prevista parametrazione del giudizio di ingannevolezza alle caratteristiche del mezzo di informazione utilizzato non si traduce in un affievolimento dell’onere di fornire ai consumatori, sin dal primo contatto, adeguate informazioni in ordine alle caratteristiche essenziali dell’offerta, dovendo qualsiasi condotta essere valutata alla stregua della sua idoneità ad indurre in errore i consumatori in ragione di omissioni informative che non rendano immediatamente percepibile il contenuto dell’offerta.

L’onere di completezza e chiarezza informativa imposto dalla normativa di settore ai professionisti richiede, in sostanza, alla stregua dello standard di diligenza concretamente pretendibile, che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare ogniqualvolta la loro omissione, a fronte della enfatizzazione di taluni elementi, renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini dell’offerta, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto della stessa, in errore, condizionandolo nell’assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato.

In coerente applicazione delle descritte coordinate di riferimento, desumibili dalle previsioni dettate a tutela dei consumatori, deve quindi ritenersi che l’ingannevolezza di un messaggio può essere ravvisata in relazione a qualsiasi contesto informativo e può discendere anche dalle sole modalità di presentazione dell’offerta, laddove le stesse si pongano in contrasto con la ratio e l’ampia portata della disciplina di tutela dei consumatori, in particolare quando il messaggio enfatizza elementi di particolare capacità persuasiva rendendo la reale portata dell’offerta di non chiara e immediata percezione da parte del consumatore in virtù della omissione o della più difficile percezione di altri elementi essenziali dell’offerta che ne limitano la portata.

Ancora, richiamata la definizione di pratica commerciale recata dall’art. 18 del Codice del Consumo, va ulteriormente ricordato che l’ambito di applicazione della disciplina dettata a tutela del consumatore viene espressamente riferita, dall’art. 19, alle pratiche poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto, con conseguente preclusione alla possibilità di aderire alla tesi di parte ricorrente che, nel dare una lettura restrittiva della portata della disciplina basata sulla mera lettura dell’art. 52 del Codice del Consumo, ed omettendo la considerazione delle ulteriori e più specifiche disposizioni, nonché della ratio alle stesse sottese, afferma la sufficienza delle informazioni fornite prima del perfezionamento dell’acquisto, e ciò in disparte la considerazione che siffatte informazioni non risultano comunque acquisibili dai consumatori prima di tale momento, in quanto contenute in un link ipertestuale con caratteri grafici piccoli e di non obbligatoria consultazione.

Al riguardo, giova osservare che il medesimo provvedimento sanzionatorio è stato già sottoposto al vaglio della Sezione, su ricorso presentato da diverso professionista parimenti sanzionato seppur a diverso titolo, definito con sentenza 21 gennaio 2010 n. 645, ove, nel solco di un consolidato orientamento, si è affermato che le informazioni di fondamentale importanza per i consumatori devono comunque essere rese loro disponibili fin dal primo contatto pubblicitario e, nell’evidenziare la necessità di analisi caso per caso della correttezza della comunicazione commerciale effettuata tramite web, non potendosi escludere che, accanto a consumatori particolarmente smaliziati, in grado di accedere ad ogni informazione ivi presente, ve ne siano altri che, invece, si fermeranno al primo livello, senza volere, o sapere, effettuare ulteriori approfondimenti, ha convalidato le valutazioni effettuate dall’Autorità circa l’assenza, nella home page di apertura del sito delle informazioni sul servizio offerto ad eccezione di quelle fornite mediante il link ipertestuale posto in fondo alla pagina, indicato con caratteri di dimensione ridotta rispetto al contesto pubblicitario, ritenendo pertanto che la presenza di informazioni essenziali all’interno di link di difficile e non obbligatoria consultazione non sia idonea a consentire la necessaria libertà di autodeterminazione del consumatore.

Parimenti da disattendere è la censura di parte ricorrente volta a denunciare il vizio di incompetenza per essersi l’Autorità appropriata di poteri di enforcement, volti ad integrare le norme ed i regolamenti che disciplinano una determinata materia, che non le apparterrebbero.

Al riguardo, è sufficiente osservare che all’Autorità sono attribuite le specifiche competenze ed i necessari poteri in materia di tutela dei consumatori da pratiche scorrette, il cui esercizio, nella fattispecie in esame, risulta pienamente conforme al quadro normativo di riferimento, come delineato dal Codice del Consumo, che reca una disciplina di carattere speciale, in coerenza con l’intrinseca autonomia del settore di riferimento delle autorità indipendenti e con la direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno.

Ai sensi di tale direttiva è da escludersi che possa desumersi una diminuzione del grado di tutela legislativa riconosciuta al consumatore, sbilanciandone il baricentro e la visuale prospettica verso normative settoriali, tenuto altresì conto che la normativa nazionale, di derivazione europea, posta a tutela del consumatore e della concorrenza, ha trovato un decisivo arricchimento a seguito dei decreti legislativi n. 145 e n. 146 del 2007, rispettivamente destinati ai rapporti tra professionisti ed alle pratiche intraprese da questi ultimi con i consumatori, che hanno recepito proprio la direttiva n. 2005/29/CE.

In particolare, il D.Lgs. n. 146 del 2007, intervenuto direttamente sul Codice del Consumo, con la sostituzione degli artt. 1827 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 e l’introduzione di una normativa generale sulle pratiche commerciali scorrette, ha abbandonato il precedente, specifico riferimento alla sola pubblicità ingannevole e comparativa, per giungere ad abbracciare una disciplina di portata più ampia, riferibile, sotto il profilo oggettivo, ad ogni azione, omissione, condotta, dichiarazione e comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità, posta in essere da un professionista prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa ad un prodotto (artt. 18 e 19 del codice), così notevolmente allargando il campo delle condotte sanzionabili.

Quanto, invece, all’ambito di applicazione soggettivo, le pratiche commerciali rilevanti ai fini della normativa in esame sono solo quelle poste in essere tra professionisti e consumatori, rimanendo, pertanto, escluse quelle condotte connesse ad un rapporto tra soli professionisti, cui, viceversa, fa precipuo riferimento il parallelo D.Lgs. n. 145 del 2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza della Sezione, il recepimento nell’ordinamento interno della direttiva comunitaria 2005/29/CE ha rafforzato il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella tutela amministrativa del consumatore, rendendola più incisiva e ampia di quella prevista in precedenza, limitata alla repressione della pubblicità ingannevole e comparativa.

Per tale ragione il D.Lgs. n. 146 del 2007 ha, correlativamente e contestualmente, ampliato i poteri dell’Autorità, allineandoli a quelli tipici dell’azione amministrativa a tutela della concorrenza e rendendo altresì più severe le misure sanzionatorie.

Ne discende che il quadro di tutela offerta dal novellato Codice del Consumo si aggiunge non solo ai normali strumenti di tutela contrattuale, ma anche a quelli derivanti dall’esistenza di specifiche discipline in settori oggetto di regolazione (TAR Lazio – Sez. I – 8 settembre 2009, n. 8400; 3 luglio 2009, n. 6446; 15 giugno 2009, nn. 5625, 5627, 5628, 5629).

Pertanto, nessuno straripamento rispetto all’ambito dei poteri conferiti all’Autorità è nella fattispecie in esame ravvisabile, essendo stati esercitati i poteri sanzionatori alla stessa attribuiti a fronte della riscontrata sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito, dovendo per l’effetto disattendersi il denunciato vizio di incompetenza.

Delibata, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, l’infondatezza delle censure proposte avverso le valutazioni effettuate dall’Autorità circa la scorrettezza della pratica, la disamina rimessa al Collegio deve indirizzarsi alle doglianze sollevate da parte ricorrente in via subordinata avverso la determinazione della sanzione irrogata, che vanno, anch’esse, rigettate.

Per quanto riguarda le contestazioni con cui parte ricorrente censura il giudizio di gravità della condotta formulato dall’Autorità, che costituisce uno dei parametri di determinazione della sanzione comminata, le stesse, basandosi sulle medesime argomentazioni rivolte avverso il giudizio di scorrettezza della condotta, subiscono la loro medesima sorte, valendo anche per esse le considerazioni sopra illustrate, essendosi in precedenza dato conto delle ragioni per cui devono essere disattese le affermazioni di parte ricorrente secondo cui il servizio "The Music Movement" si riferirebbe a musica vera da scaricare sul personal computer e non a loghi e suonerie da scaricare sui cellulari, e sarebbe destinato ad un pubblico adulto.

Correttamente, quindi, l’Autorità ha ritenuto di dover qualificare come grave la condotta sanzionata in ragione della tipologia delle omissioni informative riscontrate e del settore al quale l’offerta di servizi in esame si riferisce, ovvero quello dei servizi a sovrapprezzo per la telefonia mobile, rispetto al quale l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenta particolarmente stringente, anche in considerazione dell’asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatore, dovuta sia al proliferare di promozioni molto articolate, sia all’offerta di servizi innovativi, come nel caso dei servizi a valore aggiunto.

Il formulato giudizio di gravità è stato, altresì, parametrato all’impatto della pratica, realizzata attraverso messaggi diffusi via internet, suscettibile come tale di aver raggiunto un numero considerevole di consumatori, tra cui quelli appartenenti alla categoria più debole e vulnerabile degli adolescenti, nonché al pregiudizio economico dalla stessa derivante, consistente nell’onere economico gravante periodicamente ed automaticamente sul conto dell’utente, trattandosi dell’attivazione di un abbonamento con oneri economici settimanali applicati automaticamente fino alla disdetta del servizio.

Anche con riferimento alle contestazioni mosse da parte ricorrente avverso la durata della condotta, riferita dall’Autorità al periodo intercorrente tra il mese di novembre 2007 ed il mese di maggio 2008, va adottata analoga delibazione di infondatezza, riferendosi tre delle segnalazioni dei consumatori – come peraltro affermato anche da parte ricorrente nel ricorso – all’anno 2007, non potendosi quindi ancorare il termine iniziale della condotta, come affermato da parte ricorrente, all’indagine dell’associazione Altroconsumo condotta a partire dal 30 aprile 2008.

Risultano, pertanto, correttamente valutati i criteri della gravità e della durata della condotta – contestati da parte ricorrente – in base ai quali è stata quantificata la sanzione irrogata alla D. S.p.a., in qualità di società controllante la D..N. S.p.a., con imputazione della sanzione alla sola società controllante posto che le due società coinvolte operano nell’ambito di un’unica entità economica.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, rese nel senso dell’infondatezza delle censure proposte, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 4303/2009 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento, a favore della resistente Amministrazione, delle spese di giudizio che liquida forfetariamente in euro 1.500,00 (millecinquecento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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