Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-01-2011) 23-02-2011, n. 7069 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

E.A. è stato condannato dal Tribunale di Rimini, con sentenza 21.6.2006, perchè – nella sua qualità di amministratore unico di IBC ITALIANO BROKER CORPORATION Srl., fallita il (OMISSIS) – risulta aver sottratto denaro e giacenze di magazzino sì da rendersi responsabile di bancarotta fraudolenta per distrazione patrimoniale e per disordine documentale (essendo stato assolto, invece, dall’accusa di essere ricorso abusivo al credito, nonchè di bancarotta semplice nell’avere aggravato il dissesto essendosi astenuto da tempestiva richiesta del fallimento).

La Corte d’Appello di Bologna, in data 23.9.2009, ha confermato il giudizio di reità, discostandosi dalla prima sentenza soltanto per la riduzione della sanzione inflitta.

Il ricorso della difesa di E. si duole:

– dell’erronea applicazione della legge penale per l’omessa applicazione dell’indulto di cui alla L. n. 241 del 2006;

– dell’erronea applicazione della legge penale per l’errata valutazione dell’elemento soggettivo della fattispecie incriminatrice;

– carenza di motivazione;

a) sulla dimostrazione della fraudolenta distrazione dei beni, avendo i giudici proceduto per il tramite di inammissibile inversione dell’onere probatorio;

b) sulla esclusione del riconoscimento delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Secondo giurisprudenza costante (cfr. da ultimo Cass. Sez. 3, 15 aprile 2009, Renda CED Cass., 243907), il ricorso per cassazione fondato sulla mancata applicazione dell’indulto è ammissibile solo quando il giudice di merito abbia erroneamente escluso il beneficio, con espressa statuizione nel dispositivo della sentenza, diversamente il condono può essere più propriamente invocato avanti al giudice dell’esecuzione. Questo non è il caso portato all’attenzione della Corte.

Del pari infondato è il successivo mezzo.

La giurisprudenza di legittimità, nella lettura, aderente al dato letterale della norma di legge, ha costantemente (cfr. da ultimo Cass., Sez. 5, 14 gennaio 2010, Rizzardi, CED Cass. 246357) escluso la necessità della prova (salvo che per la fattispecie propria dell’ esposizione o riconoscimento di passività inesistenti) dell’intenzionalità di danno o di altra specifica forma di dolo, quale fine dell’agire dell’imprenditore negli atti di gestione precedenti il fallimento dell’impresa o della società.

Il mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari costituisce valida presunzione della loro dolosa distrazione, rilevante al fine di affermare la responsabilità dell’imputato.

Non costituisce pertanto inversione dell’onere della prova il fatto che sia rimessa all’interessato la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato. Invero, l’imprenditore o l’amministratore è collocato nel nostro ordinamento in posizione di tutela delle aspettative creditorie ed essendo egli il destinatario dell’interpello del curatore in merito al suo patrimonio, è il soggetto onerato della compiuta dimostrazione della sorte dei cespiti – di cui è data prova della sua pregressa disponibilità – non rinvenuti dalla procedura concorsuale. E, dunque, si rivela corretta l’argomentazione giudiziale al proposito.

E’ inammissibile l’ultimo motivo.

Non vi fu appello sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche perchè esse furono già concesse dal primo giudice. La doglianza, oltre che del tutto infondata ed aderente ad un profilo di stretta discrezionalità del giudice, non può essere proposta per la prima volta in Cassazione.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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