Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-01-2011) 23-02-2011, n. 6989

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 25 settembre 2009, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo, con la quale C.O.R. era stato ritenuto responsabile dei reati di maltrattamenti in famiglia, di lesioni personali aggravate e di tentata violenza privata e condannato alla pena di giustizia, concedeva all’imputato la sospensione condizionale della pena, subordinatamente al pagamento delle obbligazioni civili, confermando nel resto.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:

– la violazione della legge processuale e il vizio della motivazione, in relazione alla reiezione dell’eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato, per mancata indicazione del termine per la richiesta di riti alternativi;

– la violazione della legge processuale e il vizio della motivazione, per aver la Corte di merito ritenuto sanata la nullità che precede, non avendo l’imputato formulato richiesta di riti alternativi nei termini di legge;

– la violazione della legge processuale e il vizio della motivazione, per aver ritenuto legittimamente instaurato il rito del giudizio immediato, posto che, dopo lo spirare del termine previsto dall’art. 454 cod. proc. pen., sono state compiute indagini – nella specie l’interrogatorio dell’imputato – che configuravano la "evidenza della prova";

– la violazione di legge e il vizio della motivazione, in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di tentata violenza privata, basata su testimonianze tutt’altro che pacifiche.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

2. Il primo ed il secondo motivo relativi all’eccezione procedurale, sollevata in prime cure e disattesa dai giudici di merito, della nullità del decreto di giudizio immediato per la omessa indicazione del termine entro il quale l’imputato poteva presentare richiesta di riti alternativi, sono da ritenersi manifestamente infondati.

Non vi è dubbio che la mancanza o l’insufficienza, nel decreto che dispone il giudizio immediato, dell’avviso, prescritto dall’art. 456 c.p.p., comma 2, che l’imputato può chiedere i riti speciali (come pure l’eventuale erronea indicazione del termine entro il quale la richiesta può essere avanzata), comportando la lesione del diritto di difesa, danno luogo ad una nullità di ordine generale, sanzionata dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), (Corte cost., sent. n. 148 del 2004).

Si tratta però di nullità a regime intermedio, in quanto non attinente alla omessa citazione dell’imputato o all’assenza del difensore (v. art. 179 c.p.p., comma 1 e art. 180 cod. proc. pen.), la quale nel caso in esame è stata sanata, in quanto l’imputato non ha formulato richieste di riti alternativi (in tal senso, cfr. tra le altre Sez. 4, n. 41830 del 29/09/2009, dep. 30/10/2009, Bergamin, Rv.

245461). L’omessa indicazione del termine non impediva affatto alla parte di presentare richiesta di riti alternativi.

3. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la illegittima instaurazione del giudizio immediato.

Va qui ribadito che, una volta disposto il giudizio immediato, il giudice del dibattimento non può sindacare la sussistenza delle condizioni necessarie alla sua adozione, poichè non è previsto dalla disciplina processuale un controllo ulteriore rispetto a quello tipico ( art. 455 cod. proc. pen.) attribuito al giudice per le indagini preliminari al momento della decisione sulla richiesta di giudizio immediato (nel senso dell’abnormità del provvedimento con il quale il giudice del dibattimento dichiari la nullità per qualsiasi causa del decreto che dispone il giudizio immediato ed ordini la restituzione degli atti al P.M., Sez. 4, n. 46761 del 25/10/2007, dep. 17/12/2007, Gianatti, Rv. 238506; Sez. 1, n. 23927 del 14/04/2004, dep. 25/05/2004, Iorio, Rv. 228995; in relazione alla insindacabilità dei requisiti della "evidenza della prova" e del termine di novanta giorni per promuovere il giudizio immediato, Sez. 4, n. 39597 del 27/06/2007, dep. 26/10/2007, Pierfederici, Rv.

237831; Sez. 5, n. 1245 del 21/01/1998, dep. 31/01/1998, Cusani, Rv.

210027; Sez. 5, n. 5154 del 19/02/1992, dep. 04/05/1992, Fresta, Rv.

190067). Invero, il riconoscimento della possibilità del giudice del merito di sindacare il provvedimento del g.i.p. – che abbia accolto la richiesta di giudizio immediato avanzata dal P.M. – risulterebbe in contrasto con quelle "esigenze di celerità e di risparmio di risorse processuali" che caratterizzano il rito (confr. Corte cost., ord. n. 371 del 2002; Corte cost., ord. n. del 1992).

L’unico controllo possibile dopo l’ammissione del rito immediato e, quindi, anche in sede di legittimità, è quello concernente l’espletamento del previo interrogatorio dell’imputato. E non pare possa dubitarsi che, nel caso in esame, tale interrogatorio risulti effettuato prima della richiesta del P.M..

Quanto infine all’eccezione di inutilizzabilità dell’interrogatorio, perchè compiuto allo scadere del termine di novanta giorni, stabilito dall’art. 454 c.p.p., comma 1, per la richiesta di giudizio immediato da parte del P.M., deve ribadirsi il principio che l’inutilizzabilità degli atti d’indagine prevista per il caso in cui tali atti siano stati effettuati dopo la scadenza dei termini prescritti, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge, di cui all’art. 191 cod. proc. pen., non è rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione di parte. Ciò significa che essa è sostanzialmente assimilabile ad una nullità a regime intermedio, soggetta, in quanto tale, alle condizioni di deducibilità previste dall’art. 182 cod. proc. pen., con la conseguenza che, quando la parte assiste all’atto che si assume viziato, la relativa nullità deve essere dedotta prima che il predetto atto sia compiuto ovvero, ove ciò non sia possibile, immediatamente dopo (da ultimo, Sez. 5, n. 1586 del 22/12/2009, dep. 14/01/2010, Belli, Rv. 245818). Nel caso in esame, all’udienza del 6 marzo 2008, allorchè il P.M. chiese l’acquisizione, ex art. 513 cod. proc. pen., dell’interrogatorio dell’imputato, la difesa nulla eccepì sul punto.

Val la pena di aggiungere che, trattandosi nella specie di interrogatorio assunto ex art. 302 cod. proc. pen. nel procedimento de libertate, che può intervenire a prescindere dall’avvenuto decorso o meno dei termini previsti per la fase delle indagini preliminari, tale atto appare del tutto insensibile alla sanzione della inutilizzabilità prevista per l’attività di indagine compiuta oltre i termini consentiti. D’altra parte, essendo la previsione della inutilizzabilità prevista per "gli atti di indagine", vale a dire per quegli atti che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria compiono per consentire allo stesso pubblico ministero di assumere le proprie determinazioni in ordine all’esercizio della azione penale, ne deriva all’evidenza che l’interrogatorio di cui all’art. 294 cod. proc. pen., fuoriesce con certezza da tale ambito, sottraendosi, quindi, alla ratio ed alla disciplina dei termini dettata dagli artt. 405, 406 e 407 cod. proc. pen..

4. Sono inammissibili infine anche le censure mosse al discorso giustificativo della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta responsabilità penale dell’imputato per il reato di tentata violenza privata. Invero, il ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione con riferimento alle testimonianze rese in dibattimento da S. e C.L. e da B.A., dalle quali sarebbe emersa una ricostruzione dei fatti diversa e comunque non pacifica rispetto a quella ritenuta dalla Corte di merito.

Va qui premesso che all’imputato era contestato di aver tentato di evitare che la figlia S. portasse al termine la telefonata diretta ai Carabinieri, tirandola per i capelli per allontanarla dall’apparecchio.

Orbene, nessuna contraddizione è riscontrabile con la testimonianza resa dalla parte offesa, che ha comunque collocato l’azione violenta del padre nel corso della telefonata e non ha di certo rilievo che costei fosse riuscita o meno a comunicare l’indirizzo di casa.

Quanto alla testimonianza dell’altra figlia L. e di B. A., il ricorso appare generico, in quanto privo della necessaria autosufficienza. Il divieto per il giudice di legittimità di accesso agli atti del procedimento nel caso di vizio della motivazione comporta per il ricorrente l’onere di rappresentare il dedotto vizio mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone (Sez. F, n. 37368 del 13/09/2007, dep. 11/10/2007, Torino, Rv. 237302; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, Buzi, Rv. 241023; Sez. 2, n. 38800 del 01/10/2008, dep. 14/10/2008, Gagliardo, Rv. 241449; Sez. 1, n. 06112 del 22/01/2009, dep. 12/02/2009, Bouyahia, Rv. 243225; Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, dep. – 26/08/2010, Scuto, Rv. 248141). Nel caso in esame, il ricorso contiene soltanto brevi stralci delle dichiarazioni di cui si assume il travisamento e pertanto inidonei a consentire a questa Corte il richiesto controllo.

5. Conclusivamente, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa emergenti dal ricorso – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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