Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-12-2010) 23-02-2011, n. 7064 Decreto di citazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice di Pace di Bari in data 13.5.2004 con la quale C.N. veniva condannato alla pena di Euro 400 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per il reato di lesioni personali commesso in Bari il 20.5.2003 in danno di D.F.A. colpendola con pugni e cagionandole ferita lacerocontusa al sopracciglio destro guarita in giorni diciassette.

Il ricorrente lamenta: 1. incompetenza per materia del Giudice di Pace di Bari;

2. violazione della L. n. 274 del 2000, art. 20 e difetto di motivazione in ordine all’eccepita nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza nell’atto dell’avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia e della nomina in caso contrario di un difensore d’ufficio, nonchè delle circostanze relative all’esame dei testimoni;

3. violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e art. 52 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato ed all’esclusione della scriminante della legittima difesa;

4. violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine alla determinazione della pena;

5. difetto di motivazione in ordine alla quantificazione del danno risarcibile;

6. violazione degli artt. 157 e 158 cod. pen. in ordine all’omessa declaratoria di estinzione del reato.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’eccepita incompetenza per materia del Giudice di Pace di Bari, è inammissibile.

Con la sentenza impugnata, dato atto che nel corso del dibattimento era emerso come l’effettiva durata della malattia conseguente alle lesioni fosse di ventisette giorni, il che avrebbe qualificato astrattamente il reato in termini tali da attribuirlo alla competenza per materia del Tribunale, si osservava che tuttavia l’imputazione non veniva formalmente modificata in base a tali risultanze, e che pertanto la competenza rimaneva determinata in capo al Giudice di Pace secondo la contestazione esistente, alla quale si doveva avere esclusivo riguardo.

Il ricorrente rileva che la predetta conclusione viola la previsione dell’art. 24 cod. proc. pen., laddove lo stesso prevede l’annullamento della sentenza appellata allorchè venga riconosciuta l’incompetenza del giudice di primo grado, e risulta contraddittoria nel momento in cui ammette l’insorgenza di elementi ulteriori rispetto all’originaria imputazione e contestualmente ritiene valida la competenza stabilita in base a quest’ultima.

E’ tuttavia ravvisabile un interesse all’impugnazione, in generale, solo allorchè il gravame sia in concreto idoneo a determinare per il ricorrente, con l’eliminazione del provvedimento impugnato, una situazione pratica più vantaggiosa di quella realizzata dal provvedimento stesso (Sez. 3, n. 24272 del 24.3.2010, imp. Abagnale, Rv. 247685).

Nel caso di specie, il risultato che l’accoglimento del motivo di ricorso di fatto produrrebbe è quello della riqualificazione in termini più gravi del reato contestato; il che non si risolverebbe certo in una condizione più vantaggiosa per l’imputato, al contrario esposto a conseguenze sanzionatorie di più elevata entità. La pretesa, meramente teorica ed astratta, ad ottenere una decisione giuridicamente corretta non rende sussistente l’interesse all’impugnazione, laddove da quest’ultima non derivino effetti pratici favorevoli (Sez. 5, n. 27917 del 6.5.2009, imp. Merlo, Rv.

244207); conclusione valida anche laddove, come nel caso in esame, l’esattezza della decisione riguardi la qualificazione giuridica del fatto ai fini della determinazione della competenza per materia (v. in tal senso Sez. 1, n. 6212 del 5.4.1994, imp. Marano, Rv. 198663, con riguardo al ricorso inteso ad ottenere la riqualificazione del fatto di violazione di obblighi inerenti una misura di prevenzione, anzichè nella contravvenzione all’epoca prevista dalla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 1 con attribuzione della competenza al pretore, nel delitto previsto dal comma 2, dello stesso articolo, appartenente alla competenza del tribunale). E non può infine ravvisarsi un interesse degno di riconoscimento, quale valido fondamento per l’esercizio del diritto di impugnazione, nella mera esigenza difensiva di prolungare, attraverso l’eliminazione del provvedimento impugnato, la durata del procedimento, pur laddove ne possano sortire per l’imputato effetti favorevoli nel maturarsi di cause estintive del reato; anche a voler prescindere dal carattere meramente indiretto ed eventuale di siffatti risultati, la relativa aspettativa contrasta all’evidenza con il principio costituzionale di ragionevole durata del processo e si tradurrebbe in un’inammissibile difesa dal processo anzichè nel processo.

Il ricorso è dunque per questo aspetto privo di interesse all’impugnazione.

2. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancanza nel decreto di citazione a giudizio dell’avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia e delle circostanze relative all’esame dei testimoni, è infondato.

Con la sentenza impugnata, dato atto dell’effettiva mancanza dell’avviso in premessa nel decreto di citazione a giudizio, e qualificata la relativa nullità come a regime intermedio, si osservava che detta nullità veniva in concreto sanata, ai sensi dell’art. 183 c.p.p., lett. b, in quanto l’imputato, convocato nella stessa data di emissione del decreto presso il Commissariato di San Nicola di Bari ed invitato in quella sede a nominare un difensore, esercitava tale facoltà, circostanza che comunque escludeva un’effettiva lesione dei diritti difensivi.

Il ricorrente rileva che il decreto di citazione a giudizio, atto precedente e distinto rispetto alla convocazione dell’imputato presso gli uffici della polizia giudiziaria, rimaneva affetto da nullità non esclusa dalla legge per effetto di una nomina successiva; e che comunque la sentenza non motivava sulla ulteriore causa di nullità costituita dalla mancata indicazione nel decreto delle circostanze degli esami testimoniali.

L’omissione dell’avviso all’imputato della facoltà di nomina di un difensore, negli atti in cui detto avviso sia previsto dalla legge, integra una nullità a regime intermedio (Sez. 5, n. 44538 del 9.10.2008, imp. Elefante, Rv. 241904); detta nullità è quindi sanabile. Nel caso di specie l’imputato era posto nella condizione di nominare il difensore in sede di notifica del decreto, e quindi in stretta continuità con lo stesso; la facoltà alla cui attivazione era finalizzato l’atto nella specie omesso veniva pertanto concretamente esercitata senza che nel frattempo fosse pregiudicato alcun diritto di difesa dell’imputato. La nullità era pertanto sanata ai sensi dell’art. 183 c.p.p., lett. B, rimanendo superata l’omissione contenuta nel decreto.

Per ciò che riguarda l’eccepita omissione nel decreto di citazione delle circostanze oggetto degli esami testimoniali, si tratta di carenza che non comporta inammissibilità del decreto laddove la semplicità dei fatti contestati riconduca chiaramente agli stessi l’oggetto delle deposizioni e non si richiedano al testimoni ulteriori contributi di conoscenza (Sez. 5 del 17.5.2006, n. 19393, imp. Navarro, Rv. 234558; Sez. 4 del 10.5.2007, n. 25523, imp. Bolfrini, Rv. 236990). Nel caso in esame, il decreto riferiva l’escussione dei testimoni indicati quanto alla teste D.F. al contenuto della querela, e quanto ai testi M., D.R. e D.S. ai verbali di sommarie informazioni acquisite dagli stessi ad opera della polizia giudiziaria. Questi richiami, in un processo per un’imputazione di semplice contenuto, appaiono decisamente sufficienti ad individuare nel fatto contestato l’oggetto delle deposizioni, anche in considerazione del rinvio ad atti del procedimento puntualmente identificabili. La lamentata nullità è pertanto insussistente.

3. Il terzo motivo di ricorso, relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputato ed all’esclusione della scriminante della legittima difesa, è infondato.

Con la sentenza impugnata, dichiarata l’inutilizzabilità dell’acquisita querela della parte offesa, si osservava che la prova a carico dell’imputato era sufficientemente integrata da altri elementi, segnatamente le deposizioni dei testimoni D.S. V. e D.R.P., dipendenti come la parte offesa e l’imputato presso la sede di Bari della Fondiaria Assicurazioni, i quali riferivano di aver visto l’imputato uscire dall’edificio mentre delle grida femminili provenivano dall’androne ove successivamente trovavano la D.F. sanguinante al sopracciglio destro, aggiungendo la D.R. che il C. nell’usci re inveiva in direzione dell’androne e che la D.F. gridava di fermare il C. che l’aveva aggredita; e che a fronte di tali risultanze, univoche nel senso dell’accusa, la tesi difensiva della legittima difesa non era sostenuta da alcun elemento.

Il ricorrente rileva che la motivazione è carente laddove afferma la responsabilità dell’imputato in mancanza di testimoni oculari del fatto, non valuta il comportamento della parte offesa, la quale non si presentava al dibattimento, ed esclude aprioristicamente l’ipotesi della legittima difesa.

La mancanza di prove direttamente rappresentative del fatto aggressivo contestato non impedisce tuttavia che lo stesso possa essere ricostruito attraverso elementi di prova indiziaria gravi, precisi e concordanti; ed in tal senso si svolgeva coerentemente la motivazione oggetto di ricorso, desumendo l’accadimento dalla posizione e dal comportamento dell’imputato nell’immediata contiguità con l’aggressione subita dalla D.F., evidenziata dalle lesioni presenti sulla stessa, e dalle espressioni di quest’ultima nell’immediatezza del fatto. Questa argomentazione implica un giudizio di irrilevanza della mancata presentazione della D.F., nella ritenuta possibilità di accertare l’accaduto aliunde ed in termini di certezza che superano qualsiasi considerazione sul comportamento processuale della persona offesa; la motivazione non è pertanto carente sotto questo profilo, e non da luogo a censure rilevabili in questa sede. Altrettanto incensurabile è il riferimento della sentenza impugnata alla mancanza di elementi a sostegno della tesi difensiva della legittima difesa, che fa correttamente ricorso al principio per il quale grava in materia sull’imputato l’onere di allegazione di dati da indagare ai fini della verifica della sussistenza della scriminante (Sez. 6, n. 15484 del 12.2.2004, imp. Raia, Rv. 229446).

Anche sotto questi profili il ricorso va pertanto rigettato.

4. Infondato è altresì il quarto motivo di ricorso, relativo alla determinazione della pena.

Con la sentenza impugnata, premesso che una motivazione sulla misura della pena è necessaria solo laddove la stessa sia di gran lunga superiore al minimo edittale, si osservava che nella specie la pena inflitta era congrua e proporzionata alla gravita del fatto.

Il ricorrente rileva che il giudice dell’appello si sostituiva al giudice di primo grado, il quale aveva omesso di motivare sulla pena, e non valutava la sussistenza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen..

Correttamente tuttavia il Tribunale integrava sul punto la motivazione della sentenza di primo grado, le cui carenze eventuali carenze non danno luogo a casi che ai sensi dell’art. 604 cod. proc. pen. impongano la declaratoria di nullità della decisione appellata, essendo viceversa consentito al giudice di secondo grado di sopperire a dette carenze nell’ambito della sua piena cognizione del fatto (Sez. 3, n. 9922 del 12.11.2009, imp. Ignatiuk, Rv. 246227). In presenza poi di una pena di modesta entità, inflitta nella sola dimensione pecuniaria, una motivazione specifica e dettagliata sul punto non è necessaria, essendo sufficiente l’espressione del giudizio sintetico di congruità e proporzione espresso nella sentenza impugnata (Sez. 1, n. 16691 del 22.1.2009, imp. Santaiti, Rv. 243168). Il motivo di ricorso in esame deve quindi essere respinto.

5. Infondato è ancora il quinto motivo di ricorso, relativo alla determinazione del danno.

Con la sentenza impugnata si osservava che il percorso logico in esito al quale il giudice di primo grado aveva determinato il danno nella misura di Euro 3.000 era agevolmente ricostruibile, corrispondendo detta somma all’importo delle spese mediche documentate ed al danno non patrimoniale valutato equitativamente.

Il ricorrente rileva che i criteri utilizzati per la determinazione del danno non venivano esplicitati, per cui non è dato comprendere di quanti giorni di malattia si sia tenuto conto, se sia stata valutata la sola inabilità totale o anche quella parziale e se sia stato riconosciuto il solo danno biologico o anche il danno morale, che manca un riferimento all’entità delle spese mediche e che la somma di Euro 3.000 appare sproporzionata rispetto ad una malattia della durata di diciassette giorni.

I riferimenti del ricorrente all’entità della malattia e dell’inabilità ed alle caratteristiche del danno sono peraltro inconferenti nel momento in cui la sentenza impugnata motivava la quantificazione del danno con specifico richiamo all’importo documentato delle spese mediche ed alla valutazione equitativa del danno non patrimoniale; nè elementi di manifesta illogicità sono ravvisabili nella proporzione fra la somma liquidata, invero contenuta, e la durata della malattia. Il ricorso sul punto va pertanto rigettato.

6. Manifestamente infondato è da ultimo il sesto motivo, relativo all’estinzione del reato per prescrizione, maturatasi secondo il ricorrente alla data del giudizio di appello. Già il termine prescrizionale di anni sette e mesi sei dalla data del fatto, commesso il 20.5.2003, sarebbe spirato il 20.11.2010, successivamente dunque alla sentenza di secondo grado; ma per effetto di sospensioni del termine per mesi uno e giorni ventisette, derivanti da rinvii del dibattimento richiesti dalle parti, il termine scade in realtà il 16.1.2011.

Il ricorso deve in conclusione essere integralmente rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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