Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8211 Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 22.2.2005 n. 19 la sezione 3^ della CTR di Campobasso rigettava l’appello proposto dall’Ufficio II.DD. della Agenzia delle Entrate di Campobasso confermando la decisione della CTP n. 436/1/2001 che in parziale accoglimento del ricorso del contribuente T.L. titolare di omonima ditta individuale aveva ritenuto deducibili dal reddito di impresa dell’anno 1992 costi inerenti alla attività di impresa per L. 105.000.000.

Avverso la sentenza di appello, non notificata, hanno proposto ricorso per cassazione, con atto notificato in data 7.4.2006 presso il domiciliatario eletto in primo grado, il Ministero della Economia e Finanze e l’Agenzia delle Entrate, deducendo un unico motivo.

Non ha resistito l’intimato.
Motivi della decisione

1. Va preliminarmente dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia, per difetto di legittimazione attiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svolto avanti la CTR del Molise, introdotto dalla sola Agenzia delle Entrate, in data successiva all’1.1.2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributar pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3 (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

Non avendo il ricorso proposto dal Ministero comportalo aggravio di attività difensiva si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.

2. La sentenza impugnata, dopo aver precisato che il motivo di appello investiva la sentenza di primo grado esclusivamente in ordine alla deducibilità dei costi inerenti l’attività di impresa indicati in dichiarazione dal T. per l’anno 1993 – pari all’importo di L. 105.000.000 -, ha motivato il rigetto della impugnazione ritenendo che il recupero ad imponibile di tale somma operato dalla Amministrazione con l’avviso IRPEGF ed ILOR relativo all’anno 1992 appariva illogico in quanto l’Ufficio dal medesimo fatto noto – emissione da parte di altra società nei confronti del ditta Testa di fatture per operazioni inesistenti – aveva tratto la conclusione della indeducibilità dei costi corrispondenti a dette fatture, ma aveva ingiustificatamente omesso, in sede di accertamento in rettifica ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, di pervenire alla medesima conclusione per quanto concerneva i componenti positivi di reddito che "per logico corollario" avrebbero dovuto considerarsi anch’essi inattendibili. Con la conseguenza che , in applicazione del principio espresso da questa Corte (n. 15063/2002), una volta accertata la infedeltà delle risultanze della dichiarazione del soggetto di imposta, "se anche il contribuente aveva inserito nella sua dichiarazione dei redditi i ricavi, che in realtà non aveva realizzato in quanto derivanti da operazioni mai compiute", l’Amministrazione avrebbe dovuto ritenere inattendibile anche tale dato rettificando ed abbattendo quindi il reddito imponibile.

3. La Agenzia deduce con l’unico motivo il vizio di violazione dell’art. 3 comma 181 legge n. 549/1995 in relazione agli artt. 54 Dpr n. 633/72 39 Dpr n. 600/73, sostenendo che all’esito della ispezione fiscale le operazioni corrispondenti a fatture per lire 105.000.000 erano risultate inesistenti; che il T. aveva indicati tali costi in deduzione ai ricavi dichiarati per l’anno 1992 con indebito abbattimento dell’imponibile; che non risultava alcuna corrispondenza tra i costi indebitamente dedotti ed i ricavi dichiarati; che alcuna prova aveva fornito il contribuente in ordine alla effettività dei costi sostenuti.

4. Il motivo è fondato, dovendo tuttavia correttamente qualificarsi il vizio denunciato come vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), essendo consentito a questa Corte procedere a tale qualificazione nel caso in cui la individuazione del parametro di legittimità violato, erroneamente indicalo in rubrica, possa essere agevolmente compiuta – come nel caso di specie – alla stregua della complessiva lettura degli argomenti in fatto e diritto svolti a sostegno della censura (cfr. Corte cass. 3941/2002; Corte cass. 1^ sez. 5.4.2006 n. 7882; id. 3.3.2007 n. 7981).

11 Giudice territoriale non ha posto in discussione la esistenza del presupposto di fatto (costi indebitamente dedotti in dichiarazione in quanto relativi ad operazioni inesistenti) che ha dato luogo all’accertamento dell’Ufficio finanziario, ma con argomentazione manifestamente illogica in quanto fondata su una premessa oggetto di mera illazione (alla indicazione di costi fittizi, in quanto derivanti da operazioni inesistenti, corrisponde sempre e comunque anche la indicazione di ricavi fittizi), ha ritenuto di dover ravvisare "quale logico corollario" una correlazione bi univoca tra i costi fittizi indebitamente dedotti dal contribuente ed i ricavi da questi prodotti nel medesimo anno di imposta, traendone la errata conseguenza, sotto il profilo probatorio, che l’importo dei costi non poteva farsi coincidere con il reddito di impresa e dunque non poteva essere recuperato ad imponibile.

Tale premessa determinativa della decisione, che il Giudice di appello, come emerge dalla lettura della sentenza, non ricollega ad alcuna risultanza processuale e che non è tanto meno riferibile ad una attività valutativa di elementi istruttori acquisiti al giudizio ovvero alla soluzione di questioni in fatto sottoposte dalle parti (l’unico motivo di appello dell’Ufficio concerneva la doglianza relativa alla insussistenza di prove fornite dal contribuente in ordine a costi inerenti l’attività di impresa effettivamente sostenuti; il contribuente è rimasto contumace in appello e tra i motivi di impugnazione del ricorso di primo grado, come riportati nello "svolgimento del processo" della sentenza della CTR, non aveva eccepito la fittizietà dei ricavi dichiarati), non trova fondamento neppure in un fatto notorio, e dunque si risolve in una mera affermazione apodittica argomentala mediante un sillogismo cd. apparente del seguente tipo: la dichiarazione recante dati contabili inattendibili è soggetta a rettifica con metodo induttivo-presuntivo (protasi maggiore); la dichiarazione dei redditi nella quale sono stati dedotti costi relativi a iatture per operazioni inesistenti reca dati contabili inattendibili (protasi minore); pertanto la dichiarazione dei redditi nella quale sono stati indicali costi fittizi è soggetta a rettifica con metodo induttivo-presuntivo (apodosi), dove la premessa minore e la conseguenza vengono surrettiziamente estese anche a "tutti gli altri dati contabili" (nella specie ai ricavi) della dichiarazione dei redditi, diversi dai costi (accertati fittizi).

Risulta allora del tulio evidente la lacuna logica del ragionamento seguito dal Giudice di appello nel momento in cui si intenda derivare dalla premessa minore (la inattendibilità riferita al solo dato contabile dei costi) una conseguenza logica (la rettifica deve essere estesa a tutte le altre voci contabili, e quindi anche ai ricavi), che va oltre il limite definito dalla stessa premessa.

La assoluta simmetria tra costi fittizi e ricavi fittizi ipotizzata dal Giudice di appello non trova riscontro nella comune esperienza o nel dato statistico probabilistico, essendo sufficiente considerare al riguardo che il medesimo risultato della evasione fiscale può essere conseguito, alternativamente, riducendo, mediante deduzione di costi inesistenti, ricavi effettivamente realizzati, ovvero denunciando ricavi inferiori a quelli effettivamente conseguiti, pur deducendo costi effettivamente sostenuti, o ancora utilizzando cumulativamente entrambe tali operazioni (denuncia di ricavi inferiori e deduzione di costi inesistenti).

Nella valutazione delle risultanze probatorie il Giudice di appello, affermando la insufficienza della prova fornita dalla Amministrazione in ordine al maggior imponibile accertalo in conseguenza della inesistenza di costi deducibili per L. 150.000.000, non ha dunque tenuto in dovuta considerazione il principio secondo cui "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale" (Corte cass. 5^ sez. 18.1.2008 n. 1023; id. 5^ sez. 28.4.2010 n. 10157) e "null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo" (Corte cass. 5^ sez. 16.1.2009 n. 951).

Del lutto inconferente e, poi, il richiamo contenuto nella impugnata sentenza al precedente di questa Corte SU n. 15063/2002 concernente il diritto del contribuente a richiedere restituzioni di imposta non dovuta per errori materiali o giuridici commessi nella dichiarazione dei redditi.

Pertanto una volta accertata la indebita deduzione dai ricavi indicati nella dichiarazione relativi all’anno 1992 di costi pari a lire 150.000.000, in quanto relativi a fatture per operazioni inesistenti, ne consegue, per semplice calcolo matematico, l’incremento del reddito imponibile (nel medesimo importo, peraltro, indicato in dichiarazione dallo stesso contribuente al lordo della deduzione dei costi) per un importo corrispondente a quello indebitamente detratto, spettando al contribuente l’onere della prova contraria e cioè che i costi si riferivano ad operazioni effettivamente realizzale.

5. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame volto ad emendare i vizi motivazionali riscontrati ad altra sezione della CTR del Molise che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Economia e delle Finanze;

accoglie il ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate e per refi etto cassa la impugnata sentenza e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della CTR del Molise che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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