Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8210 Imprese

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 114 del 2001 la 2^ sezione della Commissione provinciale di Bergamo in accoglimento del ricorso proposto da P.E. titolare della ditta individuale "TV Show", annullava l’avviso di accertamento -notificato a seguito della ispezione eseguita dalla Guardia di Finanza presso la PAKA Publicitas s.r.l. dalla quale era emerso che la TV Show aveva emesso fatture per operazioni inesistenti – con il quale venivano recuperati ad imponibile IRPEF, ILOR ed SSN, per l’anno 1993, maggiori redditi di impresa per un importo complessivo di lire 228.000.000 e venivano irrogate le conseguenti sanzioni pecuniarie.

La sentenza di primo grado, appellata dall’Ufficio (OMISSIS) della Agenzia delle Entrate, veniva confermata dalla CTR di Milano sez. staccata di Brescia con sentenza 7.2.2005 che, pur ritenendo provata la evasione fiscale, non riteneva raggiunta la prova presuntiva del "quantum".

Con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 25.3.2006 e notificato in data 27.3.2006, ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza di appello deducendo un unico motivo articolato in plurime censure.

Non ha svolto difese l’intimato.
Motivi della decisione

1. La sentenza n. 26/2005 della CTR di Milano sez. staccata di Brescia motiva il rigetto dell’appello sostenendo la mancanza di prova in ordine alla pretesa tributaria, essendo stati determinati i maggiori redditi di impresa della ditta TV Show mediante "doppia presunzione": dalla fatturazione per operazioni inesistenti discende la prova presuntiva che la destinataria delle fatture, PAKA Publicilas s.r.l., abbia conseguito un guadagno, e quindi dalla presunzione di tale guadagno si deduce una nuova presunzione, ritenendo che il 50% di detto guadagno abbia costituito il vantaggio economico della ditta TV Show. Ne segue – secondo la motivazione della sentenza – la inammissibilità della prova presuntiva di secondo grado giusta il disposto dell’art. 2727 c.c., che vieta la "praesumptio de praesumpto". 2. La predetta sentenza è impugnata dalla Agenzia delle Entrate:

a) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 3 e 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). b) per omessa o carente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Sostiene la ricorrente che la CTR, da un lato, avrebbe fatto cattivo uso delle norme che regolano il riparlo dell’onere probatorio, ponendo a carico della Amministrazione la prova negativa della inesistenza delle operazioni commerciali anzichè gravare il contribuente della prova della effettiva prestazione di beni e servizi erogata a fronte delle fatture emesse; dall’altro avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie disconoscendo che la evasione fiscale è volta al conseguimento di un beneficio economico, per cui la esistenza di un guadagno, sotto forma di risparmio, costituisce un fatto noto e certo dal quale è legittimo trarre la presunzione del fatto ignorato e che inoltre la inesistenza delle operazioni era stata accertata con sentenza della 66^ sezione CTR di Milano n. 234/2004 che aveva dichiarato la legittimità dell’avviso emesso dall’Ufficio in materia di IVA. 3. Venendo ad esaminare congiuntamente le censure prospettate con l’unico motivo (riconducibili correttamente entrambe alla denuncia di vizio motivazionale, venendo a rifluire la violazione delle norme sulla prova sull’esame e valutazione del materiale probatorio acquisito al giudizio e dunque sulla logicità e congruenza della motivazione adottata a sostegno del "decisum"), rileva il collegio che nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza di quest’ultimo derivi dal primo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile, secondo un criterio di normalità (Corte cass. 1 sez. 5.9.1996 n. 8089).

In applicazione di tale principio la inferenza logica -secondo un rapporto di derivazione di tipo probabilistico- tra la fatturazione per operazioni inesistenti (fatto certo) ed il compenso lucrato dalla ditta individuale del P. (fatto ignorato) costituisce indubbiamente il risultato di una argomentazione di natura presuntiva ( art. 2727 c.c.).

Errata è invece la motivazione del Giudice territoriale nella parte in cui ha ritenuto di ravvisare analoga struttura argomentativa della prova nel fatto presupposto dal quale è stata desunta dall’Ufficio la prova della percezione di un compenso da parte della ditta TV Show. Tale fatto non può essere, infatti, scisso nelle due componenti della emissione delle fatture false – da parte di TV Show- e del "guadagno" realizzato dalla società PAKA Publicitas s.r.l., ma deve essere considerato unitariamente atteso che, come emerge dalla stessa sentenza impugnata, la Guardia di Finanza aveva rilevato dalla ispezione eseguita nei confronti della società cessionaria che quest’ultima aveva utilizzato le fatture false iscrivendo i relativi importi in contabilità, circostanza ex se dimostrativa della utilità economica conseguita dalla PAKA Publicitas s.r.l..

Se dunque la emissione delle fatture per operazioni inesistenti utilizzate vantaggiosamente dalla società cessionaria con la iscrizione dei relativi importi nelle proprie scritture contabili, costituisce un fatto certo, ne consegue che nel caso di specie non si verte in tema di "doppia presunzione" ma di unica prova presuntiva, essendo argomentata dal predetto fatto certo la prova della percezione da parte della ditta TV Show di un compenso per la falsa fatturazione (in disparte la questione della esatta determinazione del "quantum" che non ha costituito motivo di ricorso di legittimità e non è stata peraltro affrontata dalla sentenza impugnata, nè a quanto è dato desumere dalla lettura della sentenza era stata specificamente riproposta dalla ditta nel giudizio di appello).

Pertanto nel caso di specie non è dato prescindere dal principio affermato da questa Corte secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (cfr. Corte cass. 5^ sez. 18.1.2008 n. 1023; id. 5^ sez. 16.1.2009 n. 951).

11 ricorso deve, pertanto, essere accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della CTR della Lombardia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio, per nuovo esame emendato dai vizi logici riscontrati.
P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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