Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-12-2010) 23-02-2011, n. 7054

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.C. e R.D. sono stati condannati in abbreviato alle pene di giustizia dal gup del Tribunale dell’Aquila per induzione e sfruttamento della prostituzione, riduzione in schiavitù e lesioni volontarie in danno della connazionale P. D.F..

La corte d’Assise di appello, in parziale riforma, in escludeva la recidiva contestata alla C. e rideterminava la pena per costei.

Ricorrono gli imputati.

La C. deduce personalmente:

il vizio di motivazione per la mancata valutazione del coinvolgimento di Cr.Va., sentimentalmente legato alla p.o., che al predetto era stata venduta quando abitava in Romania.

E’ stato Cr. a sfruttare P. e C..

Erroneamente sono state stimate irrilevanti le dichiarazioni ex art. 391 bis c.p.p. di V.O..

Le due donne partirono volontariamente dalla Romania alla volta della Spagna, per esercitare il meretricio; esse si portarono poi in Castelfranco Veneto, sotto la protezione di Ce.Pe. e quindi in Montesilvano, in Abruzzo, per il duo R. – Cr..

La Corte aquilana conferisce acriticamente attendibilità alla p.o. anche per ciò che concerne la disponibilità del cellulare attribuito alla C., ma trovato in possesso del R. e la coabitazione dei tre protagonisti in via dell’Adda, smentita dalle risultanze.

Indebito è il diniego di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, mediante l’esame di Ce.Pe., imputato in altro procedimento per sfruttamento della prostituzione.

Non sussistono gli estremi del reato ex art. 600 c.p., poichè le violenze fisiche inflitte alla P. nel corso di due sole settimane non concretano la soggezione persistente, necessaria ad integrare la riduzione in schiavitù.

Non è provato che la P. fosse sottoposta a costante controllo visivo e telefonico.

E d’altro canto ella è stata costretta a prostituirsi in due sole occasioni, quando fu controllata dai CC. La ricorrente assume, infine, che a seguito dell’entrata in vigore della legge 11.8.03, n. 228 lo sfruttamento della prostituzione resta assorbito nel reato di riduzione in schiavitù, che prevede pure la costrizione al compimento di prestazioni sessuali.

Per R. di formula il vizio di motivazione: la corte di merito non ha riscontrato le deduzioni difensive volte ad evidenziare l’estremità agli episodi di induzione e sfruttamento.

Lo stesso vizio logica infirma la sentenza impugnata per ciò che attiene al diniego dell’attenuante della minima partecipazione ( art. 114 c.p.).

Il nucleo dei ricorsi, basato sul vizio di motivazione, dissimula e veicola la censura alle scelte probatorie rettamente compiute dai giudici di merito su la scorta del compendio di prova e si traduce, pertanto nella prospettazione alternativa del fatto storico e nell’offerta di una diversa lettura (favorevole ai ricorrenti) delle emergenze acquisite.

Tanto è a dire della pretesa inattendibilità della p.o., della implicazione nella vicenda di Cr.Va., con esclusione di ogni responsabilità della C., della rilevanza di sgravio delle dichiarazioni rese da V.O. al difensore ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., rilevanza recisamente smentita dai giudici di merito.

L’ordinanza recettiva della richiesta di rinnovazione della istruzione dibattimentale si sottrae al sindacato di questa Corte, se congruamente motivata, come nel caso di specie.

Con saldo costrutto argomentativo e con attento vaglio delle emergenze acquisite la Corte di merito ha condiviso la decisione del gup, dimostrando sagacemente la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 600 c.p..

La segregazione e le violenze brutali inferte alla P. denotano tangibilmente lo stato di soggezione indotto nella stessa.

Nella specie la condotta criminosa si è specificata nella costruzione alle prestazioni sessuali della vittima, così oggetto di sfruttamento.

Nè rileva che lo stato di soggezione provocato possa essere stato talvolta allentato o attenuato per dare alla vittima l’impressione che gli autori del reato fossero capaci anche di gesti umani, piegandosi alla compassione.

Manifestamente infondata è la doglianza inerente l’attenuante ex art. 114 c.p., formulata da R. e disattesa ineccepibilmente dalla Corte aquiliana.

Fondata, per contro, è la censura relativa all’esclusione del concorso fra riduzione e schiavitù e sfruttamento della prostituzione. A seguito della L. 11 agosto 2003, n. 288, infatti, una delle forme in cui si articola la riduzione inschiavitù prevede la costrizione a prestazioni sessuali "che ne comportino lo sfruttamento" (v. sez. 5^, 15.12.05 n. 4012, Lazri ed altri; sez. 3^, 20.12.04, n. 1612 Galiceanu). E l’art. 600 c.p., comma 3, prevede l’aumento della pena da un terzo alla metà se i fatti di cui al comma 1, sono diretti allo sfruttamento della prostituzione. Donde la specialità della norma in questione rispetto alla L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 6 e 8.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente al capo A), la cui imputazione è assorbita in quella di cui al capo R) di rubrica, con l’eliminazione del relativo aumento di pena a titolo di continuazione, pari a mesi sette di reclusione per ciascuno dei ricorrenti.

I ricorsi proposti vanno rigettati nel resto.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo A), la cui imputazione resta assorbita in quella di cui al capo b) ed elimina il relativo aumento di pena per continuazione di mesi sette di reclusione ciascuno. Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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