Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8202 Concordato tributario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 25.1.2008 è stato notificato a P.G. un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata 11.12.2006), che ha accolto l’appello del P. contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina n. 92/01/2004, che aveva reietto il ricorso della parte contribuente avverso diniego di istanza di chiusura delle liti fiscali pendenti proposta ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16.

Ha depositato controricorso la parte contribuente.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 27.1.011, in cui il PG ha concluso per 1" accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

A seguito del passaggio in giudicato della sentenza della CTP di Latina n. 378/06/1998 depositata in data 19.6.1998, l’Ufficio delle Entrate di Latina ha liquidato – in conformità ai valori così accertabile imposte di registro ed INVIM correlate all’alto di donazione per notaio Orsini di data 18.10.1990 (in relazione al quale era stato adottato l’atto di accertamento ivi impugnato, con cui era stato elevato il valore finale dichiarato in atto e disconosciute le spese allegate). Impugnato detto avviso di liquidazione da parte del P., la CTP di Latina aveva accertato che era intervenuta definizione della pendenza tributaria ai sensi della L. n. 656 del 1994. Nelle more del processo di appello avverso detta decisione (promosso dall’Agenzia) il P. presentava nuova istanza di chiusura della lite pendente, questa volta in applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, domanda che l’Ufficio disattendeva con fatto qui impugnato, ritenendo che la lite non fosse condonabile perchè relativa ad atto di mera riscossione.

L’impugnazione del diniego è stata disattesa dalla CTP di Latina, ma l’appello interposto dal P. avverso la decisione di primo grado si è concluso con dichiarazione di "cessazione della materia del contendere". 3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che:

a) avendo l’Ufficio notificato il provvedimento di diniego senza specificare alcunchè a riguardo del termine entro cui il ricorso deve essere proposto e a riguardo dell’autorità giudiziaria competente, il provvedimento di diniego medesimo doveva considerarsi illegittimo per violazione del precetto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19;

b) l’avviso di liquidazione è provvedimento che può essere oggetto di definizione agevolata ai sensi dell’art. 16 ridetto perchè – in presenza di domanda di definizione della lite ai sensi della L. n. 656 del 1994 – la controversia originaria doveva considerarsi "aperta", di che si traeva conferma dal fatto stesso della decisione favorevole al contribuente adottata (con sentenza n. 391/01/2002) dalla CTP di Latina a proposito dell’anzidetta istanza di definizione ai sensi della L. n. 656 del 1994: detta pronuncia costituiva "chiara ed indiscussa certificazione che la controversia doveva ritenersi aperta a tutti gli effetti e quindi la domanda di condono presentata pienamente legittima e valida". Di qui l’illegittimità del provvedimento di diniego anche per violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16. 4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con tre distinti motivi d’impugnazione e – dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 10.664,84 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata.
Motivi della decisione

5. Questione preliminare.

Preliminarmente occorre evidenziare che non può farsi luogo alla riunione della presente controversia con l’altra pendente sub n. 31574/06 R.G. di questa Corte, atteso che diversa è la materia del contendere, attenendo l’impugnazione originariamente proposta ad atti giuridicamente e logicamente autonomi è distinti: in questa sede, ad un atto di diniego dell’istanza di chiusura della lite fiscale pendente che lo stesso D.Lgs. 546 del 1992, art. 19, considera (enumerandolo sotto la lettera h) come provvedimento autonomamente impugnabile; in quell’altra sede, ad avviso di liquidazione dell’imposta la cui legittimità ed efficacia è tuttora sub judice e che potrebbe semmai – essere vanificata a posteriori dall’accertamento qui in esame, relativo appunto al diritto del P. di estinguere la lite avente ad oggetto detto avviso di liquidazione a mezzo del versamento di una somma di danaro. Si tratta di questioni autonome in senso logico e che perciò vanno qui separatamente decise.

6. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo ed unico motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: "Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4".

Può essere tralasciato il fatto che la parte ricorrente si duole di un "error in procedendo" (avendo richiamato il n. 4 dell’art. 360 c.p.c.), pur valorizzando la violazione di norme che attengono alla sostanza dei rapporti intercorsi tra le parti e che regolano momenti comunque antecedenti alla fase propriamente giudiziale, così integrando i concreti presupposti per la rilevazione di un vizio di violazione di norme di diritto, ai sensi del n. 3 ridetto art. 360 c.p.c.: detto errore è superabile alla luce del chiaro contenuto della censura – che si impone rispetto alla rubrica – ed a proposito di siffatta impostazione di esame questa Corte evidenzia di concordare con l’indirizzo di Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007.

Venendo al merito della questione, la parte ricorrente assume che l’art. 19 sopra menzionato non commina espressamente alcuna nullità relativamente alla mancata indicazione, negli atti di cui al comma 1 dell’articolo citato, del termine utile per l’impugnazione e della Commissione Tributaria competente a decidere, nullità che -quindi- non avrebbe potuto essere dichiarata dalla Commissione Tributaria di appello, anche alla luce del fatto che l’atto aveva raggiunto idoneamente il suo scopo, giacche ritualmente impugnato dal contribuente senza alcuna compromissione del diritto di difesa.

La parie ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto:

"se l’omessa indicazione del termine entro il quale impugnare il provvedimento di diniego di chiusura della lite fiscale ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16 e la commissione tributaria competente non comporti invalidità dell’atto medesimo ma una mera irregolarità e comunque gli eventuali vizi dell’atto rimangono sanati in caso di tempestiva e rituale impugnativa del contribuente che spieghi consapevoli difese avverso di esso".

La censura è fondata e da accogliersi. Essa si rivolge contro una delle due autonome "ratio decidendi" con cui il giudice di secondo grado ha sostenuto il proprio convincimento a sostegno della fondatezza dell’appello, per quanto abbia poi – incoerentemente – dichiarato cessata la materia del contendere, senza avvedersi che l’oggetto della controversia medesima non era già l’avviso di accertamento (impugnato in altra sede) ma bensì il diniego di definizione agevolata della lite, rispetto al quale la dichiarata cessazione della materia del contendere avrebbe semmai pregiudicato e non accolto le ragioni della parte contribuente.

A proposito dell’argomento dedotto a sostegno della censura qui in esame, questa Corte ha avuto modo di evidenziare – in numerose conformi pronunce sul tema – che: "La mancanza, nell’avviso di accertamento tributano, o negli altri atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, della indicazione dell’organo al quale il ricorso deve essere proposto – indicazione prescritta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 2, (applicabile "ratione temporis") e poi in generale, dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4, – non determina la nullità dell’atto stesso, salvo che ne derivi una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7558 del 15/05/2003; conforme Cass. Sez. 5. Sentenza n. 20532 del 22/09/2006 ed altre).

Nella specie di causa non vi è ragione per dissentire dal precedente, anche alla luce del fatto che non vi è motivo per supporre – nè il contribuente lo lamenta – che la mancata indicazione abbia determinato pregiudizio di sorta alle esigenze difensive del contribuente stesso.

7. Il secondo ed il terzo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: "Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5".

Il terzo motivo di impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: "Violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3".

Con il secondo motivo la parte ricorrente lamenta che la CTR, dopo avere erroneamente ricostruito la vicenda di fatto, ha completamente ignorato il nucleo centrale della controversia, ossia che il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento originario era stato rigettato dalla sentenza n. 378/06/1998 della CTP di Latina, poi passata in giudicato, sicchè l’avviso di liquidazione che vi aveva fatto seguito doveva considerarsi atto finalizzato alla mera riscossione dell’obbligazione tributaria già accertata nella sentenza con cui era stata definita la lite. Travisando i fatti di causa la CTR aveva invece affermato che – attesa la domanda di condono già presentata dal P. ai sensi del D.L. n. 564 del 1994 – la controversia doveva considerarsi ancora "aperta" e perciò condonabile.

Con il terzo motivo la parte ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado non ha tenuto conto del fatto che la lite oggetto dell’istanza di definizione agevolata non era "condonabile" ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, appunto perchè ivi era stato impugnato un avviso di liquidazione senza valenza impositiva e finalizzato alla mera liquidazione dell’obbligo tributario già definito. Il giudice di secondo grado aveva perciò violato il predetto art. 16 che qualifica definibili solo "avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni ed ogni altro atto di imposizione".

Il motivo di impugnazione si conclude con la formulazione del seguente quesito: "se la domanda di condono presentata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a), con riferimento ad un avviso di liquidazione di imposte complementari di registro ed invim adottato in conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato il ricorso de contribuente avverso l’avviso di accertamento non possa essere accolta, trattandosi non di atto impositivo ma di mero atto di liquidazione del tributo, ed illegittimamente quindi viene dichiarata cessata la materia del contendere sull’appello del contribuente volto a contestare la legittimità del diniego opposto dall’Ufficio".

I due motivi, tra loro intimamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati: la contraddittoria motivazione adottata dal giudice di secondo grado (che ha ritenuto che la controversia fosse Spendente", per gli effetti dell’art. 16 più volte menzionato, per il solo fatto che fosse ancora "aperto" il procedimento relativo alla legittimità dell’avviso di liquidazione) è infatti indice di erronea interpretazione ed applicazione della lettera della legge.

Questa Corte però ha avuto modo di evidenziare in numerose occasioni quale deve essere considerata la corretta lettura del ridetto art. 16 per gli effetti che qui occupano.

In specie – tenendo conto del fatto che la lite che qui si chiede di definire in maniera agevolata ha ad oggetto un avviso di liquidazione di imposte commisurate per importo all’esito di una pronuncia giudiziaria passata in giudicato – questa Corte ha precisato che: "In tema di condono fiscale, l’avviso di liquidazione di imposte definite nei confronti di contribuenti con sentenza passata in giudicato non può qualificarsi come atto di accertamento suscettibile di ulteriore definizione mediante il condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, nè può giovarsi della sospensione dei termini processuali di cui al citato art. 16, comma 6, sospensione riservata alle liti "condonabili" (Cass. Sez. 5. Sentenza n. 12670 del 13/06/2005).

Ed ancora, con specifica correlazione alla tipologia delle imposte oggetto dell’originario avviso di accertamento: "In tema di condono fiscale, non è configurabile come "lite pendente" ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 3, lett. a), e perciò non è suscettibile di definizione, la controversia instaurala in relazione ad un atto con il quale l’ufficio finanziario abbia svolto un’attività meramente liquidatoria dell’INVIM, in base ad un accertamento definito da giudicato, non potendo l’atto impugnato essere qualificato come "atto di imposizione". Una siffatta controversia neppure può qualificarsi come "lite autonoma" ai sensi della successiva dell’art. 16, comma 3, lett. b) riferendosi l’autonomia della lite di cui fa parola la disposizione alla distinzione fra contestazione relativa all’imposta di registro e contestazione dell’INVIM" (Cass. Sez. 5. Sentenza n. 2006 del 30/01/2006).

In termini più generali :"In tema di condono fiscale e con riguardo alla chiusura delle liti pendenti disciplinata dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, è manifestamente infondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del terzo comma di detta disposizione, nella parte in cui esclude le controversie aventi ad oggetto gli atti di mera liquidazione dell’imposta dal novero di quelle suscettibili di definizione agevolata: il trattamento differenziato che tale disposizione introduce rispetto all’impugnativa degli atti impositivi trova infatti giustificazione nella circostanza che la liquidazione costituisce l’alto conclusivo di un subprocedimento che presuppone l’avvenuta definizione di ogni questione in ordine alla debenza dell’imposta, con la conseguenza che la controversia derivante dalla sua impugnazione non può configurarsi come lite pendente ai fini premiali" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5356 del 10/03/2006).

Orbene, nella specie di causa ogni questione concernente la debenza dell’imposta risulta essere stata chiusa con il passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale afferente l’avviso di accertamento, sicchè correttamente è stata disattesa l’istanza qui in esame di definizione della lite allora pendente, appunto perchè avente ad oggetto non un atto impositivo ma un atto puramente riscossivo.

La cassazione della pronuncia del giudice tributario di secondo grado – non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. – consente a questa Corte di decidere la controversia nel merito, con il rigetto del ricorso della parte contribuente avverso il provvedimento di diniego.

La regolazione delle spese di lite è improntata al canone della soccombenza in relazione a tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza di secondo grado e – decidendo nel merito-rigetta il ricorso del contribuente avverso il diniego di definizione agevolata della lite ex Lege n. 289 del 2002.

Condanna la parte intimata a rifondere alla parte ricorrente le spese del presente grado di giudizio, liquidate in Euro 1.700,00 oltre spese prenotate a debito, e quelle dei pregressi gradi di merito, liquidate per ciascun grado in Euro 1.100,00 di cui Euro 300,00 per diritti, Euro 700,00 per onorario ed il resto per esborsi, oltre ad accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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