Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-12-2010) 23-02-2011, n. 7051

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Arezzo in data 30.11.2007, P.M.M. veniva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, per il reato di lesioni personali gravi commesso il (OMISSIS) in danno di D.L., nel corso di una gara ciclistica armatoriale svoltasi in (OMISSIS), spingendolo e provocandone la caduta con conseguenti frattura trimalleolare e sublussazione della tibiotarsica sinistra, guarite in oltre quaranta giorni.

Il ricorrente lamenta:

1. violazione dell’art. 52 c.p., e carenza ed illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa;

2. violazione dell’art. 62 c.p., n. 5, e carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante del concorso della persona offesa nella verificazione dell’evento.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa, è manifestamente infondato.

Con la sentenza impugnata si richiamava la decisione del giudice di primo grado, dalla quale risultava che nel corso della gara il P., in un contesto di conflittualità verso il D. determinato da uno scorretto comportamento da questi tenuto verso un compagno di squadra del P., lo spingeva in corrispondenza di una curva. Ed a fronte dei motivi di appello si osservava che numerosi testimoni, alcuni dei quali non appartenenti alla squadra del D., vedevano l’imputato dare una violenta spinta alla persona offesa, mentre nessuno degli altri testi, buona parte dei quali appartenenti alla squadra dell’imputato, riferiva dati di segno contrario, limitandosi a segnalare il clima di tensione fra i corridori; e che l’atteggiamento scorretto del D. non giustificava il riconoscimento della scriminante della legittima difesa, considerato che il D. si limitava a porsi alla ruota del F., compagno di squadra del P., e ad ostacolare il tentativo del P. di frapporsi fra costoro anche mediante il lancio di una borraccia, non essendovi pertanto proporzione fra le offese.

Il ricorrente, premesso che la scriminante della legittima difesa può essere invocata da chi si sia lasciato coinvolgere nella contesa al solo scopo di resistere all’altrui atteggiamento aggressivo, rileva che la sentenza impugnata recepisce ripetitivamente i contenuti della sentenza di primo grado ed elude i motivi di appello, privilegiando una ricostruzione dei fatti, offerta dalla persona offesa e da alcuni testimoni dell’accusa, la quale appare confusa, frammentaria, contraddittoria e configgente con altre risultanze processuali; e che la motivazione non prende in considerazione segnatamente le dichiarazioni del teste B., appartenente alla squadra del D. ed indotto dalla parte civile, il quale riferiva di uno scambio di sbracciamenti fra il P. e il D., tale da cagionare l’imminente pericolo di una caduta di tutto il gruppo di ciclisti, nell’ambito del quale la reazione del P. appare proporzionata.

In realtà nella sua deposizione, che il ricorrente indica specificamente come elemento di prova il cui esame sarebbe stato omesso da parte dei giudici di merito, il teste B. riferiva che un paio di chilometri prima del luogo ove poi si verificava il fatto contestato il P. affiancava il D., che aveva litigato con un compagno di squadra del primo, ed i predetti procedevano allontanandosi reciprocamente con le braccia, con un’andatura non rettilinea che avrebbe potuto cagionare una caduta del gruppo di ciclisti, verificandosi anche il lancio di una borraccia da parte del D. in direzione del P.. Orbene, da questa descrizione dei fatti null’altro emerge che una situazione di tensione fra l’imputato e la persona offesa ed una teorica possibilità di pregiudizio per gli altri ciclisti, non tale da creare un pericolo concreto ed Imminente per l’incolumità degli stessi e comunque inattuale rispetto alla condotta che infine provocava la caduta del D., verificatasi successivamente. Il contenuto della deposizione del B. rientra pertanto nella valutazione già operata dalla Corte d’Appello sulla mancanza di significatività delle deposizioni testimoniali che riferivano dell’alterco verificatosi fra il P. ed il D. ma non mettevano in discussione come il primo avesse inferto al secondo la spinta che ne cagionava la caduta e le conseguenti lesioni; e comunque risulta manifestamente privo di decisività in quanto ininfluente nel conferire alla condotta specificamente contestata i requisiti della scriminante invocata, non essendo rappresentativo della necessità per il P., nel momento in cui poneva in essere la condotta, di difendere un diritto proprio o altrui contro un pericolo attuale di offesa.

Il ricorso è dunque per questo aspetto inammissibile in quanto sostanzialmente reiterativo di argomenti già valutati con la sentenza impugnata e in ogni caso privo all’evidenza di idoneità ad incidere sul percorso motivazionale dei giudici di merito.

2. Manifestamente infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del concorso della persona offesa nella verificazione dell’evento.

Con la sentenza impugnata si escludeva la ravvisabilità dell’attenuante apparendo insostenibile che il D. avesse contribuito a cagionare la sua stessa caduta, essendosi l’azione del predetto risolta nell’ostacolare gli avversari e rimanendo imprevedibile la violenta reazione dell’imputato.

Il ricorrente, posto che per la configurabilità dell’attenuante non è necessario che la parte offesa abbia voluto lo stesso evento perseguito dal soggetto attivo e si richiede unicamente che in mancanza dell’atteggiamento doloso della persona offesa l’evento non si verifichi nella sua forma e nella sua gravità, rileva che la sentenza trascura anche per questo aspetto la deposizione del teste B., dalla quale risultava che il D. non teneva un comportamento meramente ostruzionistico e che le spinte reciproche rendevano prevedibile la caduta dei ciclisti.

A prescindere da quanto si è già detto al punto che precede sulla ininfluenza degli elementi riferiti dal B. rispetto alla dinamica della condotta di cui all’imputazione, il presupposto giuridico dell’argomentazione del ricorrente è palesemente erroneo.

La circostanza attenuante del fatto doloso della persona offesa, come chiaramente desumibile dal testo dell’art. 62 c.p., n. 5, attiene infatti strettamente alla determinazione causale dello specifico evento del reato contestato; e ciò sia sotto il profilo della causalità materiale, essendo necessario che il comportamento dell’offeso sia causa efficiente del’evento (Sez. 1, n. 15990 del 6.4.2006, imp. Muca, Rv.234131), sia per quello della causalità psicologica, occorrendo altresì che il soggetto passivo abbia voluto lo stesso evento perseguito dall’imputato (Sez. 1, n.13764 dell’11.3.2008, imp. Sorrentino, Rv. 239798). Nel caso di specie, l’atteggiamento litigioso attribuito al D. sulla base delle dichiarazioni del B. non può in alcun modo essere individuato come causa efficiente della caduta del predetto, cagionata direttamente ed unicamente dalla spinta del P.; ed è altrettanto evidente che, qualunque fosse l’intento del D. nella vicenda, lo stesso non era sicuramente intenzionato a provocare la sua stessa caduta, evento del reato contestato al quale solo deve pertanto essere riferita la valutazione sulla sussistenza dell’attenuante. La decisione della sentenza impugnata sull’esclusione di quest’ultima è pertanto assolutamente corretta dal punto di vista giuridico e non è minimamente toccata sul piano motivazionale dalle considerazioni del ricorrente.

Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle sperse processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese di parte civile, che si liquidano, con riguardo alla dimensione dell’impegno processuale, in Euro 1.500 oltre accessori.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida in complessivi Euro 1.500 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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