Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8197 Concordato tributario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G. e Z.L. e C.P. impugnarono, dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Livorno, un avviso di liquidazione avente a oggetto l’imposta di successione in morte di Z.A.. il loro ricorso fu respinto.

Proposto appello, i predetti presentarono domanda di definizione ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16. Atteso il diniego della definizione, in ragione della ritenuta non configurabilità di una "lite pendente" nel senso di cui all’art. 16, comma 3 i medesimi insorsero pure contro codesto atto.

La commissione tributaria regionale della Toscana, sez. dist. di Livorno, con sentenza in data 13.7.2005, riuniti i procedimenti, dichiarò estinto il giudizio ai sensi dell’art. 16 cit.. Motivò la decisione affermando che l’amministrazione aveva provveduto anche all’irrogazione di sanzioni, oltre che alla liquidazione del tributo – sicchè, per tale via, la controversia instaurata col ricorso dovevasi annoverare nel concetto di "lite pendente" di cui alla mentovata disposizione. Aggiunse del resto che identico giudizio era già stato espresso a mezzo dell’ordinanza di sospensione del processo adottata il 16. 12.2003.

Per la cassazione di questa sentenza, ricorrono, formulando due motivi, il Ministero dell’economia e finanze e l’agenzia delle entrate. Gli intimati resistono con controricorso, nel quale propongono anche ricorso incidentale, in ordine alla decisione di compensazione delle spese processuali, affidato a un motivo.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo del ricorso principale si sostiene che, contrariamente a guanto affermato in sentenza, l’avviso di liquidazione contenne in verità il recupero della sola imposta principale di successione, senza aggiunta, cioè, di sanzioni. Si assume che tanto emergeva documentalmente, per essere stato l’avviso ritualmente prodotto in giudizio. Si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè per motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Con il secondo motivo si assume che mai fu dedotto, dagli impugnanti, il fatto che l’avviso de quo contenesse anche l’irrogazione di sanzioni. Si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ultrapetizione, nullità della sentenza e motivazione perplessa e apparente, nonchè per la connessa violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 16 derivata dall’avere, la sentenza, non correttamente inquadrato i termini della vicenda e ritenuto l’atto impugnato rientrante nella sfera di quelli condonabili. Il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. 2. – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorse proposto dal Ministero dell’economia e finanze, che non fu parte del giudizio di merito.

3. Il primo motivo del su esteso ricorso principale è inammissibile.

Sotto la veste di violazione di norma di diritto e di motivazione solo apparente, l’amministrazione censura l’apprezzamento del fatto in sè e per sè considerato, così come risultante dalla sentenza, sul rilievo che, in verità, l’avviso non contenne altro che il recupero dell’imposta principale di liquidazione.

Nondimeno il motivo difetta di autosufficienza, non essendo trascritto poi, in concreto, il tenore dell’avviso de quo. Sicchè in definitiva può la Corte limitarsi a constatare che lo stesso inammissibilmente si risolve nella mera opposizione di una tesi contraria a quella risultante dall’accertamento contenuto in sentenza.

4. – Devesi ricusare il fondamento del secondo motivo del ricorso principale.

Contrariamente a quanto sostenuto, non è dato di ravvisare alcuna violazione nè dell’art. 112 c.p.c., nè dell’obbligo motivazionale, avendo il giudice del merito enunciato la ratio decidendi sul rilievo di un apprezzamento di fatto a lui esclusivamente rimesso, tale essendo quello attinente all’oggetto dell’avviso di liquidazione, stante che detto avviso – come affermato dalla stessa amministrazione ricorrente – venne prodotto in giudizio. E dunque costituì – esso in quanto tale – l’elemento documentale primario a corredo della valutazione richiesta.

Non si è verte, quindi, in ipotesi di decisione basata su ragioni diverse da quelle addotte dall’amministrazione sulla scorta della pretesa azionata, con conseguente esorbitanza della verifica giurisdizionale nell’ambito del potere impositivo sostanziale (per utili riferimenti, v. Cass. 2010/5929; Cass. 2006/21221; Cass. 2005/22932), nè di verifica di legittimità conseguente a una diversa qualificazione della fattispecie impositiva. Si tratta, invece, di un apprezzamento delle risultanze documentali di causa allo specifico fine di stabilire se la lite, originata dall’atto impugnato, fosse o meno condonabile. E devesi affermare non essere, il giudice del merito, vincolato, all’interno di un simile apprezzamento di fatto, dalla definizione dell’atto così come effettuata dall’impugnante, unicamente rilevante essendo che l’atto come nella specie – risulti impugnato in toto. La sentenza si sottrae, pertanto, alla dedotta censura. Donde il ricorso principale è respinto.

5. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale, gli eredi Z. censurano il capo della sentenza di merito attinente alla sorte delle spese processuali. Deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e/o contraddittoria motivazione, sul rilievo che, essendovi stato accoglimento pieno della tesi da essi sostenuta, a proposito della condonabilità della lite pendente, la commissione regionale avrebbe dovuto regolare le spese ponendole in capo all’amministrazione soccombente. Il motivo è infondato.

La fattispecie che ne occupa è soggetta alla disciplina di cui all’art. 92 c.p.c. nel testo anteriore alla riforma ex lege n. 263 del 2005. Con riguardo alla detta disciplina, l’unico vincolo incontrato dal giudice del merito nel regolamento delle spese processuali devesi ritenere rappresentato dal divieto di porre le stesse – quand’anche solo parzialmente – a carico della parte rimasta integralmente vittoriosa (cfr. tra le tante Cass. 2008/13057).

Vero è che, secondo un certo orientamento, finanche nel citato regime anteriore a quello introdotto dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare un adeguato supporto motivazionale. E tanto dicesi in rapporto alla qui dedotta censura alla motivazione resa dall’impugnata sentenza sul tema.

E’ però incontestato che, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento, sufficiente essendo che le ragioni giustificatrici possano desumersi dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito) (v. Cass. 2009/8699).

Consegue che, ove il giudice disponga la compensazione di tali spese, sussiste adeguata motivazione della relativa statuizione, se la stessa faccia riferimento – come nella specie – alle "questioni interpretative sollevate". invero in tal caso le ragioni poste a base dell’accertamento dei presupposti di legge (per l’esercizio del potere di compensazione) emergono dalla relazione tra la motivazione adottata sullo specifico punto e quella posta a fondamento dell’intera pronuncia.

6. – In conclusione, quindi, vanno rigettati entrambi i ricorsi, principale e incidentale.

Le spese del giudizio di cassazione, tenuto conto dell’esito, meritano di essere compensate in misura di 1/3.

Il residuo segue la soccombenza dell’amministrazione sulle più rilevanti questioni poste col ricorso principale.
P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Compensa le spese del giudizio di cassazione in ragione di 1/3, ponendo il residuo a carico solidale dei ricorrenti principali. Liquida dette spese, in misura intera, in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di Legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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