Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8193 Imposta di successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, indicata in epigrafe, con la quale, nell’ambito di controversia concernente avviso di liquidazione dell’imposta di successione. è stata dichiarata, in accoglimento del ricorso dei contribuenti contro il diniego della definizione della lite L. n. 289 del 2002, ex art. 16 l’estinzione del giudizio ai sensi di detta norma e della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 49: in particolare, il giudice di merito ha ritenuto che la controversia rientrasse nel novero di quelle definibili in applicazione della citata normativa, in base all’assorbente rilievo che l’appello era stato notificato il 24 dicembre 2003 e quindi la lite risultava pendente alla data del 1 gennaio 2004, a nulla rilevando che la sentenza di primo grado fosse passata in giudicato prima del 30 ottobre 2003. 2. I contribuenti non si sono costituiti.
Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo formulato, la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16 e della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 49, insistendo nel ritenere che il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in data anteriore al 30 settembre 2003 (come è pacifico nella fattispecie, in cui tale sentenza era stata emessa il 19 giugno 2001) costituisce causa ostativa alla definibilità della lite.

Il ricorso va accolto nei sensi di seguito precisati.

La questione non va risolta sulla base del disposto della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 49 cit., poichè tale norma, nello stabilire che "le disposizioni della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 si applicano anche alle liti fiscali pendenti, come definite dal medesimo art. 16, comma 3, lett. a alla data di entrata in vigore della presente legge", vale a dire al 1 gennaio 2004, si è limitata ad estendere l’ambito di applicazione del beneficio della definizione delle liti pendenti, introdotto con la normativa di condono recata dalla L. del 2002, detto art. 16 alle controversie instaurate (in primo grado) nel corso dell’anno 2003, prima escluse dal condono medesimo (Cass. nn. 11056 del 2007, 16222 del 2010).

Alla controversia in esame, invece, essendo stata instaurata ben prima dell’entrata in vigore della L. n. 289 del 2002, si applica la previsione dell’art. 16. comma 3, lett. a), della Legge stessa, secondo la quale, ai fini del requisito della "pendenza" della lite e quindi della sua definibilità, non doveva essere intervenuta sentenza passata in giudicato alla data del 29 settembre 2002.

Poichè è pacifico che nella fattispecie la sentenza di primo grado è stata depositata il 19 giugno 2001 ed è quindi passata in giudicato il 19 settembre 2002, la controversia deve ritenersi esclusa dal condono. La sentenza impugnata va, dunque, cassata e il giudizio incidentale sul diniego di condono va deciso nel merito, con il rigetto del ricorso dei contribuenti.

2. Per quanto concerne, poi, la controversia principale, deve essere rilevata d’ufficio (avendo comportato la formazione del giudicato interno) l’inammissibilità dell’appello per tardività, in quanto dalla stessa sentenza impugnata risulta che esso è stato instaurato con atto notificato il 24 dicembre 2003, e, quindi, ben oltre, come detto, il passaggio in giudicato della sentenza appellata (in relazione alla quale, non rientrando – per quanto sopra esposto – la controversia de qua nel novero di quelle definibili, non operava nemmeno la sospensione dei termini d’impugnazione stabilita dalla L. n. 289 del 2002, citato art. 16, comma 6).

3. I contribuenti intimati vanno conseguentemente condannati alle spese del giudizio di appello e del presente giudizio di cassazione, le quali sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La CoRte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso avverso il diniego di condono e dichiara inammissibile l’appello.

Condanna gli intimati alle spese, che liquida in Euro 750,00 per onorari, Euro 210,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese per il giudizio di appello, e in Euro 1000,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito, per il giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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