Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8191 Imposta di successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell’appello di V.F., M.G. G. e G.G., eredi di Gh.Gi., deceduto il (OMISSIS), è stato ridotto, in applicazione del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2, il valore dell’asse ereditario netto tassabile accertato dall’Ufficio con l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione impugnato dai contribuenti.

2. Questi ultimi resistono con controricorso.
Motivi della decisione

1. Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti e concernente l’individuazione del soggetto ricorrente, perchè l’assenza di indicazione di un ufficio periferico significa evidentemente che il ricorrente va individuato nell’Agenzia delle entrate centrale e, d’altra parte, non è necessaria l’indicazione del nome della persona fisica preposta all’ufficio dell’organo rappresentante legale, essendo sufficiente, in considerazione del carattere istituzionale dell’organo medesimo, l’espressione "pro tempore" o "in carica" (Cass. n. 22761 del 2004).

2. Con l’unico motivo formulato, denunciando la violazione del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2, la ricorrente pone la questione se il dieci per cento del valore complessivo netto dell’asse ereditario, da calcolare in aggiunta a quest’ultimo come valore (presunto) di denaro, gioielli e mobilia considerati compresi nell’attivo ereditario, debba essere computato sul valore complessivo anzidetto, per poi operare sulla somma totale la detrazione dell’importo esente da tassazione (tesi seguita dal giudice a quo), ovvero se tale percentuale debba essere calcolata sul valore dell’asse, quale già risultante a seguito della detrazione dell’importo esente, come sostiene la ricorrente.

Premesso che il motivo è ammissibile perchè non attiene al fatto, come eccepiscono i controricorrenti, ma prospetta una questione di puro diritto, ad avviso del Collegio il ricorso va accolto, in quanto la soluzione esatta è la seconda sopra indicata.

Il cit. D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8 come sostituito dalla L. 17 dicembre 1986, n. 880, art. 5 (testo applicabile nella fattispecie ratione temporis: successione aperta nel 1987), nel determinare l’attivo ereditario, stabiliva, al secondo comma, che "nell’attivo si considerano compresi denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore complessivo netto dell’asse ereditario detratto un ammontare pari a quello degli scaglioni non assoggettabili ad imposta, anche se dichiarati per un importo minore, salvo che siano dichiarati e analiticamente indicati in inventario per il minore importo idoneamente dimostrato".

La lettera della norma è chiara nell’individuare il valore dell’asse ereditario netto – del quale calcolare la prevista percentuale da attribuire presuntivamente a denaro, gioielli e mobilia – in quello risultante all’esito della previa sottrazione della quota esente.

Tale interpretazione, inoltre, appare conforme alla ratto della norma, che è quella di computare la detta percentuale sul valore effettivamente soggetto a tassazione; e trova conferma nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), il cui art. 9 – omologo all’art. 8 cit. – prevede, al comma 2, ancor più chiaramente, che l’importo del dieci per cento in esame va calcolato con riferimento al "valore globale netto imponibile dell’asse ereditario", cioè al (solo) valore eccedente la soglia esente.

3. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo dei contribuenti.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate, per ciascun grado di giudizio, in dispositivo (tenendo conto della riduzione stabilita, per i gradi di merito, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis).
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti.

Condanna questi ultimi alle spese, che liquida in Euro 700,00 per onorari, Euro 193,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese per ciascuno dei gradi di merito, ed in Euro 1000,00, oltre spese prenotate a debito, per il giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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