Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8188 Imposta di successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di notifica dell’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione dovuta in relazione al decesso di P. A., i coeredi P.E., P.M.V., P. L. e, separatamente, P.A.M. proponevano ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano deducendo di aver accettato l’eredità solo con il beneficio dell’inventario, provvedendo successivamente al rilascio dei beni ereditar in favore dei creditori del de cuius ex art. 507 c.c. così da essere tenuti al pagamento dell’imposta in questione solo al termine della liquidazione dell’eredità medesima, e sulle attività che fossero eventualmente residuate.

Il giudice adito con due distinte sentenze accoglieva i ricorsi ed annullava gli avvisi di liquidazione impugnati, ma l’Ufficio proponeva in entrambi i casi gravame adducendo di aver dovuto notificare gli atti ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1990, art. 27, comma 2 per non incorrere nella prevista decadenza; concordando con i contribuenti in ordine al limite della loro responsabilità, da individuarsi nel residuo attivo dell’eredità; concludendo peraltro nel senso che, nelle more della liquidazione dell’eredità, gli eredi sarebbero stati tenuti al pagamento dell’imposta sull’intero asse ereditario, salvo ad ottenere successivamente il rimborso delle somme pagate in eccesso.

Agli appelli resistevano i coeredi convenuti, ribadendo le già esposte difese nel merito e deducendo ulteriori ragioni processuali di pretesa inammissibilità dei gravami per difetto di legittimazione processuale dell’Ufficio e per difetto di legittimazione passiva di essi contribuenti, e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, riuniti i giudizi, con sentenza n. 23/20/05, depositata il 14.3.2005 e non notificata, rigettava le impugnazioni.

Per la cassazione della sentenza di appello proponevano quindi ricorso il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, articolando un unico motivo, all’accoglimento del quale si opponevano i coeredi P.E., P.M.V. e L. P., e separatamente P.A.M., con controricorsi e contestuali ricorsi incidentali condizionati tempestivamente e ritualmente notificati, articolando cinque motivi, successivamente sostenuti anche con il deposito di memoria aggiunta.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente rileva la Corte doversi procedere alla riunione al ricorso principale dei due ricorsi incidentali proposti dalle parti intimate, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. in quanto rivolti all’impugnazione della medesima sentenza.

2. Passando quindi all’esame del ricorso principale, osserva questa Corte che con l’unico motivo articolato deducono i ricorrenti il vizio di violazione del D.Lgs. N. 346 del 1990, artt. 27 e 36 assumendo che dalle citate norme discenderebbe che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, la limitazione della responsabilità rispetto ai debiti ereditari dell’erede beneficiato non esclude la legittimazione passiva di questi rispetto alle azioni di accertamento del debito ereditario e di condanna al pagamento di esso per l’intero.

Al riguardo osserva peraltro il Collegio che la sentenza impugnata risulta fondata su due ordini di motivi:

a) il primo, quello espressamente censurato, secondo il quale l’atto impugnato sarebbe stato illegittimo perchè con esso non si sarebbe tenuto conto del fatto che gli eredi, avendo accettato con beneficio d’inventario, sarebbero stati tenuti al pagamento dell’imposta pro quota in ragione solo dell’eventuale residuo dopo il soddisfacimento dei creditori ereditari, e al termine della procedura di liquidazione prevista dall’art. 498 e ss. c.c.. b) il secondo, considerando il giudicante "iniqua e non conforme alla legge la soluzione prospettata dall’Ufficio di liquidare l’imposta sull’intero asse ereditario a carico degli eredi rilasciatari, ritenendoli obbligati a pagare un tributo per beni rilasciati ai creditori del de cuius, per poi dopo il pagamento e al termine della procedura di liquidazione ex art. 508 e 498 c.c. ottenere il rimborso di quanto pagato in eccesso".

Trattasi, nella prospettiva del giudicante, con tutta evidenza e contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, di due distinte e autonome ragioni della decisione, come ulteriormente reso evidente dalla stessa C.T.R. con l’incipit della motivazione della sentenza impugnata, laddove espressamente si dice che: "La Commissione Tributaria Regionale ritiene di dover confermare le sentenze impugnate per due ordini di motivi", e del resto ben compreso dagli stessi ricorrenti che nel ricorso, dopo aver esposto la loro censura, affermano che: "la C.T.R. ha dichiaratamente rigettato gli appelli dell’Ufficio sulla base di una ulteriore ratio decidendi …".

Tanto premesso, i ricorrenti hanno, per loro stessa ammissione, ritenuto di aggredire unicamente la prima ratio decidendo omettendo qualsiasi censura in merito alla seconda, infondatamente, oltre che contraddittoriamente (per le esposte ragioni) ritenuta mera "argomentazione" del giudice.

Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte:

"In tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito (o un capo di questa) si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina l’inammissibilità, per difetto d’interesse, anche del gravame (o del motivo di gravame) proposto avverso le altre, in quanto l’avvenuto accoglimento del ricorso (o del motivo di ricorso) non inciderebbe sulla "ratio decidendi" non censurata, onde la sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa." (così Cass. Sent, 8.2.2006, n. 2811; cfr. a SS.UU. sent. 8.8.2005, n. 16602).

Il ricorso in esame risulta pertanto inammissibile, e tale deve essere dichiarato, con conseguente assorbimento dei ricorsi incidentali condizionati proposti dalle parti intimate.

Alla pronuncia consegue, per il principio della soccombenza, la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi n. 13813/06, 17376/06 e 17380/06, dichiara inammissibile il ricorso principale e assorbiti i ricorsi incidentali dei contribuenti. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro. 4.800,00 di cui Euro. 200,00 per spese vive, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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