T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 21-02-2011, n. 291 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A) Con il ricorso n. 4119 del 1996, notificato il 16 ottobre 1996 e depositato l’8 novembre seguente, l’odierna ricorrente ha impugnato il provvedimento del Sindaco del Comune di Erice, n. 25 del 29 agosto 1996, notificatole il 6 settembre 1996, con il quale è stata negata la sanatoria di cui alla l. 28 febbraio 1985, n. 47 (istanza del 2 maggio 1986) e ingiunta, conseguentemente, la demolizione, dell’ immobile di mq 100 circa, insistente sul terreno in c.da Crocifissello del Comune di Erice, in catasto al foglio 128, p.lla 162, edificato (asseritamente) nel 1980, poiché sarebbe posto nella fascia di inedificabilità assoluta di cui all’art. 15, 1° comma, lett. a), della L.r. 78/1976 e, come tale, non sarebbe suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 23 della L.r. n. 37 del 1985.

La ricorrente ha chiesto l’annullamento del predetto provvedimento, previa sospensione, e col favore delle spese di giudizio, deducendo le seguenti censure:

1) "Violazione di legge art. 15, lett. a), l.r. 12 giugno 1976, n. 78; falsa applicazione art. 2, l.r. 30 aprile 1991, n. 15.";

2) "Violazione e falsa applicazione art. 23, l.r. 10 agosto 1985, n. 37; eccesso di potere per difetto dei presupposti";

3) "Eccesso di potere per difetto di ragionevolezza e illogicità";

4) "Violazione e falsa applicazione art. 15 l.r. n.78/76".

Il Comune di Erice, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 2709 del 27 novembre 1996 è stata respinta la domanda di sospensione cautelare dell’efficacia del provvedimento impugnato.

B) Con il ricorso n. 1927 del 1997, notificato il 19 maggio 1997 e depositato il successivo giorno 28, l’odierna ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione, il provvedimento in epigrafe, con il quale il Comune di Erice, accertata l’inottemperanza alla ingiunzione a demolire nei termini ivi fissati dall’ordinanza n. 25 del 29 agosto 1996, ha ordinato l’immissione in possesso e la trascrizione gratuita nei registri immobiliari, a proprio favore, del manufatto abusivo.

Deduce la ricorrente i seguenti vizi:

1) "Invalidità derivata";

2) "Violazione di legge; art. 23, u.c., l.r. n. 37 /1985; art. 17, l.r. n. 15/05/1986, n. 26; falsa applicazione art. 7 l. n. 47/1985; violazione e falsa applicazione art. 49 l.r. 71/78";

3) "Eccesso di potere per difetto di ragionevolezza e illogicità";

4) "Violazione di legge; art. 3, l.r. n. 10 /1991; difetto di motivazione".

C) Alla pubblica udienza del 28 gennaio 2011 i due ricorsi, chiamati congiuntamente, sono stati posti in decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente, va disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe, in considerazione della loro connessione soggettiva e oggettiva.

2.1. Il ricorso n. 4119 del 1996 è infondato.

Entrambi i provvedimenti contenuti nell’atto impugnato (il diniego di sanatoria e la conseguente ingiunzione alla demolizione) si basano sul presupposto di fatto – non contestato da parte ricorrente -, dell’edificazione delle predette opere in epoca successiva al 31 dicembre 1976, entro la fascia di mt. 150 dalla battigia e, pertanto, sono state ritenute dal Comune intimato non sanabili in forza dell’art. 15, lett. a), della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, e dall’art. 23, commi 1 e 11, della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37.

2.1.1. I primi due motivi di censura avverso il diniego di sanatoria e l’ingiunzione di demolizione, in buona sostanza, investono l’interpretazione delle predette disposizioni, sostenendosi che il divieto di edificabilità sancito in esse (e con riferimento al quale sono motivati entrambi i provvedimenti impugnati) avrebbe quali diretti ed immediati destinatari soltanto le Amministrazioni locali, tenute a recepirlo nei propri strumenti urbanistici e non anche (immediatamente e direttamente) i privati.

Conseguentemente, secondo la prospettazione di parte ricorrente, per le opere realizzate dopo l’entrata in vigore della l.r. n. 78/1976, in assenza del recepimento del predetto vincolo d’inedificabilità nello strumento urbanistico – come, appunto, nel caso di specie – il Comune di Erice non avrebbe potuto denegare la sanatoria e ingiungere la demolizione invocando le predette norme.

La censura è infondata alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale ormai consolidatasi in materia.

Con l’art. 15 della l.r. 78/76, entrata in vigore il 16 giugno 1976, il legislatore siciliano ha previsto che, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali, le costruzioni debbano arretrarsi di 150 metri dalla battigia.

Sia la dottrina, sia la giurisprudenza, si sono a lungo confrontate sulla portata immediatamente precettiva delle disposizioni sopra citate, anche in ordine alla individuazione dei soggetti (amministrazioni pubbliche e/o anche i privati) che ne sono destinatari.

L’art. 2, comma 3 della l.r. 15/91, ha poi precisato che "Le disposizioni di cui all’ articolo 15, primo comma, lettere a, d, ed e della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 devono intendersi direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati.

Esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi".

La giurisprudenza amministrativa successiva, e ormai pacifica, ha affermato la natura interpretativa e la conseguente efficacia retroattiva da attribuirsi al precetto di cui all’art. 2 della l.r. 15/1991 cit., ponendo fine al contrasto giurisprudenziale sino a quel momento latente (cfr. da ultimo anche C.G.A. 695/06).

È ormai consolidato, quindi, l’arresto giurisprudenziale secondo cui "Il divieto di edificazione nella fascia di rispetto di 150 metri dalla battigia sancito dall’art. 15 l. reg. Sicilia 12 giugno 1976 n. 78, ha come destinatari, in base alle successive l. reg. Sicilia 30 aprile 1991 n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994 n. 17 (art. 6), non soltanto le amministrazioni comunali in sede di formazione degli strumenti urbanistici, ma anche i privati che intendano procedere a lavori di costruzione entro tale fascia" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 2 novembre 2010, n. 14015; 20 luglio 2009, n. 1328; III, 4 gennaio 2008, n. 1; I, 9 ottobre 2008, n.1251; III, 18 aprile 2007, n. 1130; III, 4 ottobre 2006, n. 2019; I, 11 novembre 2002, n. 3817; I, 10 dicembre 2001, n. 1854; C.G.A., Sez. Giurisdizionale, 19 marzo 2002, n. 158; 31 gennaio 1995, n. 10).

La doglianza, per tali ragioni, non merita accoglimento.

2.1.2. Con il terzo motivo, l’illegittimità del diniego di sanatoria e della conseguente ingiunzione di demolizione viene dedotta sotto il profilo del difetto di ponderazione tra interessi privati e interesse pubblico, per avere il Comune omesso di considerare che il fabbricato per cui è causa ricade in un complesso abitativo in seno al quale numerose costruzioni sfuggirebbero al precetto dell’art. 15, lett. a) della l.r. n. 78/76 per essere state realizzate anteriormente alla data di entrata in vigore della legge medesima: sarebbe stato, allora, ragionevole che il Comune di Erice, nel perseguire l’interesse pubblico concreto, avesse tenuto conto della realtà esistente in situ, predisponendo i piani particolareggiati di recupero ex art. 14 della l.r. n. 37/85.

La censura è inammissibile per la sua generica formulazione volta a sindacare le scelte generali di programmazione urbanistica del territorio da parte del Comune resistente, senza il riferimento ad alcun parametro normativo ed alla sua violazione.

2.1.3. Con la quarta doglianza parte ricorrente afferma che l’opera abusiva non lederebbe le esigenze tutelate dalla norma di cui è dedotta la violazione poiché tra la costruzione medesima e il mare si snoderebbe la rete viaria pubblica e ciò consentirebbe la libera fruizione del mare in conformità della ratio dell’ art. 15, lett. a), della l.r. n. 78/1976.

L’assunto, peraltro generico, non convince.

A parte la considerazione circa la portata ben più ampia della ratio sottesa al vincolo d’inedificabilità posto dalle norme di che trattasi, volte alla tutela delle coste intese quale bene ambientale di primaria rilevanza, si osserva che a fronte della portata generale del vincolo, la legge medesima prevede ipotesi derogatorie speciali, in quanto tali di stretta interpretazione, tra le quali quella invocata non appare contemplata.

Donde l’infondatezza del mezzo.

3. Passando all’esame del ricorso (n. 1927 del 1997) avverso il provvedimento d’immissione in possesso e trascrizione gratuita nei registri immobiliari del manufatto abusivo a favore del Comune di Erice, che è seguito al diniego di sanatoria ed all’ingiunzione di demolizione, il Collegio non può che rilevarne, del pari, l’infondatezza.

3.1. L’infondatezza del primo motivo deriva necessariamente da quella già rilevata riguardo al ricorso n. 4119 del 1996, essendo stato prospettato quale vizio d’illegittimità derivata dal provvedimento n. 25 del 29 agosto 1996, oggetto del ricorso n. 4119 del 1996, che s’è visto essere infondato.

3.2. Lo stesso vale per il terzo motivo, con il quale vengono reiterate le medesime deduzioni svolte per contestare la legittimità del diniego di sanatoria con il terzo motivo del ricorso n. 4119 del 1996, che s’è visto doversi ritenere infondate (v. sopra, n. 2.1.2.).

3.3. Anche il secondo motivo, nel suo complesso, è infondato.

3.3.1.Viene dedotto, in primo luogo, che il Comune intimato, con il provvedimento impugnato, non avrebbe fatto applicazione delle sanzioni previste dalla normativa vigente al momento in cui le opere abusive sono state realizzate, così come imposto dall’art. 23 della L.r. 10 agosto 1985, n. 37, laddove ha sostituito, limitatamente alla Regione Sicilia, gli articoli 32 e 33 della l. n. 47 del 1985; nel caso di specie, trattandosi di opere edificate nel 1980, tale sanzione sarebbe quella prevista dall’art. 49 della l.r. n. 71 del 1978, secondo cui l’acquisizione si effettua con ordinanza motivata del Sindaco vidimata e resa esecutiva dal pretore nella cui giurisdizione ricade il Comune interessato, vidimazione invece assente nell’atto impugnato.

Il profilo di censura così come dedotto non conduce a ritenere sussistente alcuna illegittimità del provvedimento.

Sul punto si è espressa la giurisprudenza della Cassazione, con riguardo all’interpretazione dell’art. 15, commi 4 e 5, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, cd. Legge Bucalossi, il cui tenore, analogo a quello dell’art. 49 della l.r. n. 71 del 1978, è il seguente "L’acquisizione si effettua con ordinanza motivata del sindaco.

L’ordinanza è vidimata e resa esecutiva dal pretore nella cui giurisdizione ricade il comune interessato e costituisce titolo per la trascrizione nei registri immobiliari e per la immissione in possesso".

Afferma la Corte che "Il tenore della norma rende evidente che le formalità da ultimo indicate (la vidimazione del pretore: n.d.e.) non incidevano in alcun modo sulla validità ed efficacia del provvedimento ablatorio, trattandosi di elementi richiesti per rendere noto ai terzi il provvedimento amministrativo di acquisizione del bene e per l’immissione nel possesso…" (Cass., Sez. I, 7 aprile 1994, n. 3293).

La censura è, dunque, priva di base.

3.3.2. Deduce, in secondo luogo, la ricorrente, che l’acquisizione gratuita non potrebbe essere estesa alle aree di pertinenza della costruzione abusiva poiché l’art. 49 predetto, ne consentirebbe soltanto l’espropriabilità.

Si osserva che, in punto di fatto, la ricorrente non indica quali sarebbero le aree pertinenziali dell’immobile abusivo rispetto le quali non sarebbe possibile alcuna legittima appropriazione gratuita ex lege da parte del Comune di Erice: ne consegue la genericità e l’indeterminatezza della censura, già al solo fine dell’individuazione dell’interesse al ricorso sotto tale specifico profilo.

L’assunto, in ogni caso, non pare fondato poiché, in realtà, nel provvedimento impugnato vi è riferimento alle aree di pertinenza della costruzione abusiva, intese come "quelle necessarie, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive", ossia le cd. pertinenze urbanistiche, da tenere distinte dalle pertinenze riconducibili alla nozione espressa dall’art. 817 del codice civile.

Va tenuto conto, infatti, dell’orientamento della costante giurisprudenza amministrativa, condiviso dal Collegio, secondo cui, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza soltanto i manufatti di dimensioni modeste tali da non determinare un aggravio del carico urbanistico esistente, preordinati ad esigenze necessarie dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inseriti nello stesso, a prescindere dalla circostanza che tale destinazione risponda all’effettiva volontà del proprietario del bene principale di dar vita al vincolo di complementarietà o strumentalità; essi, inoltre, sono privi di un autonomo valore di mercato (per tutte, cfr. Cons. Stato, IV, 13 gennaio 2010, n. 41; 15 settembre 2009, n. 5509).

Ed allora si deve concludere che le pertinenze soggette all’eventuale espropriazione sarebbero state soltanto quelle che, comunque, non sarebbero state oggetto della concessione edilizia in sanatoria (se fosse stata giuridicamente possibile) in quanto rientranti nella più ampia nozione di pertinenza civilistica di cui all’art. 817 del c.c..

Ne sortisce l’infondatezza della censura.

3.3.3. La ricorrente, infine, deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato a causa della non esatta indicazione, nello stesso, dell’area di sedime la cui acquisizione gratuita si accompagnerebbe a quella del manufatto abusivo.

L’assunto non è condivisibile.

Costituisce principio giurisprudenziale, che il Collegio condivide e dal quale non ritiene di doversi discostare nel caso concreto, quello secondo cui, sia l’ordinanza di ingiunzione alla demolizione, sia quella di acquisizione al patrimonio comunale, possono essere adottate senza la specifica indicazione delle aree oggetto di acquisizione, giacché a tale individuazione può procedersi, sulla base dell’art. 7 della legge n. 47/1985 (oggi, art. 31 D.P.R. n. 380/2001), con successivo e separato atto (cfr. Cons. Stato, VI, 8 aprile 2004, n. 1998; T.A.R. Calabria, Catanzaro, II, 8 marzo 2007, n. 161; T.A.R. Sardegna, II, 27 settembre 2006, n. 2013; T.A.R. Puglia, Lecce, III, 7 febbraio 2006, n. 784; T.A.R. Lazio, Roma, II, 12 aprile 2002, n. 3160).

Alla stregua del superiore principio, ne discende la legittimità, per quanto qui rileva, del provvedimento oggetto di gravame.

3.4. Infine, con il quarto motivo, si lamenta il difetto di motivazione con riguardo al notevole lasso di tempo che sarebbe trascorso tra l’abuso e il provvedimento di acquisizione, circostanza che avrebbe reso necessaria una motivazione ulteriore circa il bilanciamento degli interessi in gioco con particolare riferimento al consolidamento della situazione di fatto e alla sussistenza di un pubblico interesse diverso da quello del semplice ripristino della legalità. Tale assunto, peraltro, viene supportato con il richiamo ad una giurisprudenza in tali termini orientata.

E’ noto al Collegio l’orientamento, anche recente, di quella parte della giurisprudenza secondo cui, pur atteggiandosi l’ingiunzione demolitoria quale atto dovuto, qualora sia trascorso un lungo lasso di tempo dalla commissione dell’abuso ed il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, sussiste un onere di congrua motivazione che indichi il pubblico interesse – evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità – idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato ormai consolidatosi per il protratto affidamento nel permanere della situazione di fatto (cfr. Cons. Stato, 29 maggio 2006, n. 3270).

Ora, a prescindere dalla considerazione che, nei casi oggetto di tale giurisprudenza, ad esempio quella sopra citata, il "notevole" lasso di tempo trascorso e ritenuto ingenerante "l’affidamento", era stato di circa "trenta anni", l’assunto di parte ricorrente secondo cui nella specie il consolidamento dell’affidamento sarebbe stato generato dal lasso di tempo trascorso, pari a circa 17 anni, tra il 1980, anno in cui ha dichiarato la ricorrente di avere edificato abusivamente entro i 150 metri dalla battigia – circostanza mai contestata – e il momento della irrogazione della sanzione demolitoria (29 agosto 1996) e poi di acquisizione gratuita (22 marzo 1997), non può essere condiviso per le seguenti considerazioni.

Con l’entrata in vigore dell’art. 23 della l.r. 10/08/1985, n. 37, è stata sancita l’impossibilità giuridica del rilascio di alcuna concessione sanatoria per i manufatti eseguiti in violazione dell’ art. 15, lett. a, della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, ad eccezione di quelli iniziati prima dell’ entrata in vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976, circostanze queste non dedotte nel caso di specie.

In ogni caso, ogni possibile dubbio è stato superato dall’entrata in vigore dell’art. 2, comma 3, della l.r. 15/91, così come chiarito al precedente capo 2.1.1..

Dunque, l’esistenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, tale da escludere ogni possibilità di sanatoria, incrina definitivamente l’assunto del consolidamento nel tempo di un affidamento degno di tutela giuridica.

Di qui, l’infondatezza del mezzo.

3.3.4. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

4. Nulla va disposto per le spese processuali attesa la mancata costituzione in giudizio del Comune intimato.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sede di Palermo, Sezione terza, definitivamente pronunciando, riunisce i ricorsi n. 4119 del 1996 e n. 1927 del 1997 in epigrafe indicati e li respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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