Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-12-2010) 23-02-2011, n. 7033 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione C.D. avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 8 ottobre 2009 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, relativamente al fallimento della srl Caseificio Capone, dichiarato con sentenza del 28 maggio 2009.

Oggetto della distrazione contestata erano una serie di beni strumentali e la somma di L. 73.800.000.

Deduce:

1) Il vizio di motivazione per non avere la Corte di merito considerato le doglianze sulla rappresentata assenza del dolo specifico del reato. Non vi era prova che l’agente avesse agito con l’intenzione di danneggiare i creditori. Egli aveva viceversa dimostrato di avere utilizzato le somme per pagare debiti in precedenza contratti. Si era trattato in particolare del pagamento di canoni di locazione dell’immobile ove si svolgeva la attività imprenditoriale, o anche dell’utilizzo di somme destinate a pagare compensi a sè stesso quale amministratore o, ancora, prestazioni lavorative occasionali rese da V.G.. Dati tutti comunicati dal commercialista del ricorrente alla curatela. Inoltre il valore dei beni strumentali era stato calcolato senza tenere conto della svalutazione dei predetti.

2) La violazione di legge per non avere, i giudici, meglio qualificato i fatti come bancarotta semplice.

Il ricorso è inammissibile.

La difesa deduce la mancanza di motivazione senza tenere conto degli argomenti invece congruamente e logicamente esposti dalla Corte di merito. Il ricorso si atteggia pertanto ad inammissibile sollecitazione, rivolta al giudice della legittimità, ad una nuova ed autonoma valutazione dei risultati di prova. La Corte di appello si è attenuta al criterio, ampiamente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui è onere dell’amministratore che abbia avuto la gestione e la disponibilità di beni della società, non rinvenuti dalla curatela, superare la valenza gravemente indiziaria derivante dall’ammanco, con la dimostrazione di avere utilizzato i beni stessi nell’interesse delle finalità proprie della persona giuridica.

La Corte, poi, ha dato conto di ineccepibili considerazioni di tipo fattuale e logico che hanno indotto, nella sede di merito, a ritenere che i pagamenti indicati dal ricorrente fossero simulati e non rispondessero a reali esigenze di gestione. Il ragionamento seguito dalla Corte è basato su criteri razionali e non è il frutto di arbitrio, essendosi rilevato che tutti i pagamenti erano avvenuti in maniera sospetta a ridosso del fallimento, cosi come la stipula del contratto di locazione, e per buona parte non erano stati nemmeno comprovati quanto a causale. Era rimasta poi non giustificata la sparizione delle attrezzature.

Tanto premesso e considerato che, ad ogni buon conto, e diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il dolo del reato di bancarotta patrimoniale è, per la costante giurisprudenza, non specifico ma generico, risulta adeguatamente motivata la circostanza che con i predetti pretestuosi pagamenti e quindi con le condotte distrattive aventi ad oggetto alcuni milioni di lire, il C. abbia operato distrazioni penalmente rilevanti avendo agito nella consapevolezza che una simile.

Tanto premesso e considerato che, ad ogni buon conto, e diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il dolo del reato di bancarotta patrimoniale è, per la costante giurisprudenza, non specifico ma generico, risulta adeguatamente motivata la circostanza che con i predetti pretestuosi pagamenti e quindi con le condotte distrattive aventi ad oggetto alcuni milioni di lire, il C. abbia operato distrazioni penalmente rilevanti avendo agito nella consapevolezza che una simile condotta si sarebbe riverberata a danno degli interessi dei creditori, senza che occorresse anche la prova che egli aveva agito per provocare un simile danno. Destituito di fondamento è quindi il secondo motivo di ricorso posto che i giudici hanno accreditato una fattispecie criminosa incompatibile con la tesi sostenuta, in via gradata, dal ricorrente.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, secondo il disposto dell’art. 616 c.p.p., di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 500.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla Cassa delle ammende la somma di Euro cinquecento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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