Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 10-12-2010) 23-02-2011, n. 7025

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Trento in data 17.7.2008, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato, con la quale B.A. veniva condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il reato di promozione di associazione a delinquere e, in parziale riforma di detta sentenza, P. C. veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione per il reato di partecipazione alla medesima associazione criminosa.

Quest’ultima, secondo l’imputazione contestata, operava dal marzo al luglio del 2007, era composta, oltre che dal B. e dal P., da Ba.Pa., Bu.Ma., P. M. e L.M., aveva ad oggetto la commissione di più reati di truffa, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta e ricettazione ed agiva mediante acquisti di merci varie con pagamenti limitati alle prime forniture e rivendita delle stesse a prezzi per lo più inferiori ai costi attraverso la s.n.c. Commerciale 2000 di Terni e la s.r.l. Professional Service di Viterbo, occupandosi in particolare il P., con il Ba., il Bu., il L. ed il Pr., di acquisire le disponibilità finanziarie per il pagamento delle prime forniture, gestire i punti di vendita ove far pervenire la merce, provvedere alle prime scadenze bancarie, allacciare le utenze necessarie, ricevere le merci ed incassare i proventi delle vendite, ed il B., formale rappresentante della Commerciale 2000, di presenziare all’arrivo delle merci nei punti vendita e di svolgere le pratiche bancarie ed amministrative occorrenti alla realizzazione dell’attività illecita.

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato B. si lamentano:

1. violazione dell’art. 416 c.p. e difetto di motivazione sulla prova della consapevole partecipazione dell’imputato all’associazione criminosa;

2. difetto di motivazione sulla configurabilità dell’ipotesi di cui all’art. 416 c.p., comma 1;

3. difetto di motivazione sulla determinazione della pena.

Con il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato P. si lamentano:

1. violazione degli artt. 8 e 9 c.p.p. e difetto di motivazione sull’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Trento, tempestivamente sollevata;

2. violazione dell’art. 416 c.p. e difetto di motivazione sulla configurabilità del reato associativo.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse del P., relativo all’eccepita incompetenza territoriale del Tribunale di Trento, è infondato.

Nella sentenza gravata, dandosi atto del motivo di appello con il quale, impugnandosi l’ordinanza reiettiva del Giudice per l’udienza preliminare in data 21.1.2008, si indicava quale competente il Tribunale di Terni, nel cui circondario doveva ritenersi operante la contestata associazione criminosa ivi agendo il Ba. e trovandosi la sede della Commerciale 2000 e il punto vendita Pago Poco, l’eccezione veniva rigettata richiamando gli orientamenti giurisprudenziali sull’improponibilità della questione nel corso del giudizio abbreviato.

Il ricorrente, premesso che l’eccezione veniva sollevata all’udienza preliminare del 21.1.2008 e che l’associazione contestata si costituiva ed operava a Terni, ove aveva sede la Commerciale 2000, fa riferimento a precedenti giurisprudenziali di segno opposto a quelli invocati nella sentenza e rileva come una lettura costituzionalmente orientata escluda che il rito abbreviato implichi accettazione di una competenza territoriale diversa da quella prevista dalla norma, altrimenti configurandosi violazione del principio del rispetto del giudice naturale precostituito per legge.

Se indubbiamente corrisponde al vero l’affermazione difensiva in ordine all’esistenza di pronunce giurisprudenziali tendenti ad escludere che la scelta del rito abbreviato comporti accettazione della competenza territoriale del giudice indicato nel provvedimento di rinvio a giudizio (Sez. 6, n. 1168 del 20.11.1997, imp. Angeli, Rv. 211126; Sez. 6, n. 13624 del 23.9.1998, imp. Vicentini, Rv.

213430; Sez. 4, n. 4528 del 28.10.1998, imp. Generali, Rv. 213136;

Sez. 1, n. 37156 del 10.6.2004, imp. La Perna, Rv. 229532), questa Corte ritiene tuttavia di condividere l’opposto e più recente orientamento (Sez. 6, n. 44726 del 18.9.2003, imp. Ninivaggi, Rv.

227715; Sez. 6, n. 33519 del 4.5.2006, imp. Acampora, Rv. 234392;

Sez. 4, n. 2841 del 20.11.2008, imp. Greco, Rv. 242493; Sez. 1, n. 22750 del 13.5.2009, imp. Calligaro, Rv. 244111) per il quale l’ammissione al rito abbreviato preclude la proposizione dell’eccezione di incompetenza territoriale. Questa linea interpretativa non individua invero il proprio fondamento unicamente nell’accettazione, da parte dell’imputato, di un giudizio allo stato degli atti, tale da comprendere l’individuazione del giudice competente in quello dinanzi al quale pende il procedimento nel momento in cui il rito speciale viene adottato; ma evidenzia altresì l’adesione, con la richiesta di celebrazione del giudizio abbreviato, ad un rito nel quale difetta la fase processuale dedicata alla trattazione ed alla risoluzione di questioni preliminari quali quelle relative alla competenza, non essendo applicabile allo stesso la previsione dell’art. 491 c.p.p. e ponendo l’art. 21 c.p.p., quale limite per la proponibilità dell’eccezione di incompetenza territoriale, un’udienza preliminare ormai superata dalla richiesta di cui sopra (sul punto v. in particolare Sez. 6, n. 44726 del 18.9.2003, imp. Ninivaggi, Rv. 227715). La richiesta di rito abbreviato, in questa prospettiva, risulta contenere un’implicita rinuncia alla proposizione di ulteriori eccezioni sul tema, nella consapevole accettazione di una procedura che non contempla tale proponibilità. E tanto supera il richiamo del ricorrente al principio costituzionale di precostituzione per legge del giudice naturale; essendo proprio la legge processuale, nell’ottica appena descritta, a determinare specificamente quale giudice naturale del procedimento quello al quale l’imputato stesso chiede di celebrare il giudizio con il rito abbreviato. L’eccezione in oggetto deve pertanto essere respinta.

2. Il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse del P., relativo alla configurabilità del reato associativo, è infondato.

Con la sentenza impugnata si richiamava il contenuto della decisione di primo grado sui risultati delle intercettazioni telefoniche, dai quali emergeva un contesto associativo nel quale il Ba. contattava quotidianamente il P. informandolo sull’andamento dell’attività e chiedendogli le somme necessarie per i pagamenti degli acconti sulle forniture, e sulle dichiarazioni confessorie ed accusatorie nei confronti degli imputati rese dallo stesso Ba.. Si dava atto poi del motivo di appello per il quale il P. avrebbe trattato solo con il Ba. nel dicembre del 2006 per la costituzione di una società poi non realizzata e non avrebbe avuto alcun rapporto con gli altri soggetti coinvolti nella vicenda. E si osservava che dalle intercettazioni risultava come il P. venisse costantemente tenuto al corrente dello svolgimento dell’attività, che l’impianto aziendale era stato costituito al solo fine di frodare i creditori, essendo pertanto i collaboratori del Ba. necessariamente partecipi di un accordo associativo, che l’addotta condizione di finanziatore inconsapevole del P. era incompatibile con la mancata richiesta di garanzie, e che in particolare da conversazioni del 15.4.2007 risultava come il Ba. dicesse al P. della necessità di "cambiare aria" e mettere in vendita il negozio dopo che a giugno si fosse iniziato ad incassare utili, ed il P. nella stessa occasione si informasse sul procedere dell’attività ricevendo conferma del prossimo arrivo della merce, elementi che confermavano il consapevole coinvolgimento dell’imputato.

Il ricorrente rileva che la sentenza impugnata non fornisce motivazione adeguata sull’esistenza di una pluralità di partecipanti all’associazione, considerato che il P. aveva rapporti con il solo Ba. e non era in grado di sapere del coinvolgimento di altre persone, aspetto sul quale i giudici di merito non motivano;

che è manifestamente illogico desumere la consapevolezza del contesto associativo dall’aver operato quale finanziatore e dal non aver richiesto garanzie, comportamenti che costituiscono manifestazioni del normale rischio di impresa; che peraltro l’informarsi sull’andamento delle operazioni è elemento contraddicono rispetto ala mancata richiesta delle garanzie; e che le conversazioni telefoniche evidenziano solo il tentativo del P. di recuperare le somme perdute.

Va premesso che l’elemento psicologico del reato associativo si esaurisce nella cosciente volontà di partecipare ad un’associazione criminosa ad ella realizzazione del relativo programma (Sez. 1, n. 2348 del 18.5.1994, imp. Clementi, Rv. 198328); e non comprende la dettagliata conoscenza di tutti i particolari della struttura organizzativa dell’associazione e, in questo ambito, di tutti i componenti della stessa (Sez. 6, n. 14223 del 3.6.1989, imp. Spadano, Rv. 182338), essendo sufficiente che tale conoscenza riguardi i principali esponenti del sodalizio criminoso (Sez. 2, n. 9023 del 6.2.1990, imp. Morena, Rv. 184683).

Nel caso in esame, la sentenza impugnata forniva esauriente motivazione sull’accertato rapporto del P. con il personaggio posto al vertice dell’associazione delittuosa, ossia il Ba.; ed attraverso il riferimento alle risultanze delle intercettazioni telefoniche indicava un coerente percorso argomentativo in ordine alla consapevolezza, in capo al P., del partecipare ad un’attività illecita posta in essere in un contesto organizzato che vedeva necessariamente operare diversi altri soggetti oltre al citato Ba.. Detta consapevolezza non veniva infatti ricavata unicamente dalla costante informazione del ricorrente sullo svolgimento dell’attività, pur significativa nella sua dimensione; ma era altresì fondata sulla natura esclusivamente fraudolenta del fine per il quale veniva realizzata l’attività stessa e sulla specifica ed espressa dichiarazione dell’intento di chiudere l’attività al conseguimento dei primi introiti, dato logicamente collegato per un verso all’evidente illiceità dell’operazione e per altro al richiedere la stessa il concorso di diverse altre persone, necessariamente impegnate nella repentina sottrazione della struttura commerciale alle ricerche dei fornitori e degli altri creditori.

La motivazione del provvedimento impugnato non presta dunque il fianco a rilievi valutabili in questa sede; ed il ricorso deve per questo aspetto essere respinto.

3. Parimenti infondato è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse del B., relativo alla prova della partecipazione dello stesso all’associazione criminosa.

Con la sentenza impugnata, richiamato il motivo di appello nel quale si sosteneva che l’imputato aveva operato esclusivamente nelle sue funzioni di amministratore della Commerciale 2000, alle quale andavano ricondotte le attività rappresentate nelle conversazioni intercettate, e che il Ba. inizialmente escludeva che il B. fosse consapevole dell’attività delittuosa e solo in seguito lo indicava come complice, si osservava come valessero anche per questa posizione le considerazioni svolte in relazione a quella del P. in ordine all’esclusiva finalizzazione a scopi illeciti dell’attività degli imputati, considerato in particolare che il B., il quale precedentemente operava nel ben diverso settore della ristorazione, si prestava a divenire amministratore della Commerciale 2000; e che dalle intercettazioni risultava come il 23.4.2007, allorchè si manifestava un problema di natura bancaria, l’imputato non assumesse decisioni proprie ma si rivolgesse subito al Ba., il 16.4.2007 il Ba. gli rammentasse che "a luglio tutto doveva finire" ed il 23.4.2007 il Ba. effettuasse addirittura un ordinativo presentandosi come il B., il che non sarebbe stato possibile senza il consenso di quest’ultimo.

Il ricorrente rileva che la motivazione della sentenza è affidata ad affermazioni apodittiche, prive di riferimenti alle fonti di prova ed al percorso argomentativo svolto dalle stesse, e che la mera posizione di amministratore della Commerciale 2000 non è sufficiente a provare la partecipazione all’associazione contestata, mancando una motivazione sulla rilevanza a questo proposito della ritenuta abdicazione dell’imputato al potere gestionale.

Il mero richiamo alla motivazione della sentenza impugnata, come in precedenza riportata, appare sufficiente ad evidenziare come tali censure di incompletezza non siano sostentili. Il provvedimento Infatti, ben lungi dal fondarsi unicamente sulla formale posizione gestionale del ricorrente, argomentava anche a questo proposito sulla natura esclusivamente illecita dell’attività e sullo svuotamento di fatto dei poteri di amministrazione del B., desumibile dal rivolgersi lo stesso al Ba. per le scelte amministrative e dalle iniziative assunte da quest’ultimo a nome dei ricorrente, situazione la cui necessaria e consapevole accettazione da parte del B. era coerentemente valutata quale indice di altrettanto consapevole partecipazione all’attività criminosa. Valgono poi anche a questo proposito le considerazioni svolte al punto precedente sulla sufficienza, ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del reato assodativo, del contatto con le figure di vertice del sodalizio nella coscienza del coinvolgimento di altri soggetti;

coscienza pure in questo caso coerentemente desunta, oltre che dalle caratteristiche organizzative dell’operazione, anche dagli specifici riferimenti telefonici fra il Ba. ed il B. alla chiusura dell’attività pochi mesi dopo l’inizio della stessa, in quanto particolare estraneo a qualsiasi logica commerciale ed invece indicativo di un’impresa fraudolenta necessariamente condotta attraverso l’opera di più persone.

Anche qui il lamentato vizio motivazionale è pertanto insussistente, ed il ricorso deve pertanto essere rigettato.

4. Il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse del B., relativo alla configurabilità a carico del predetto dell’ipotesi di cui all’art. 416 c.p., comma 1, è infondato.

Con la sentenza impugnata si osservava che il Ba., ideatore e primo organizzatore dell’associazione, veniva immediatamente affiancato come promotore dal B., il quale svolgeva un ruolo primario nel dare vita alla società formalmente operante nel settore commerciale, senza la quale l’attività delittuosa non sarebbe stata realizzabile.

Il ricorrente rileva la mancanza sul punto di una motivazione anche solo apparente.

E’ viceversa evidente come la conclusione in termini di ravvisabilità a carico dell’imputato della fattispecie contestata veniva motivata nella sentenza impugnata con specifico e concreto riferimento al carattere essenziale dell’apporto fornito con l’indispensabile costituzione della facciata ufficiale della società operante quale centro di riferimento dell’attività delittuosa e dei contatti apparentemente commerciali nei quali la stessa si manifestava, nonchè alla coincidenza temporale di siffatto apporto con l’inizio della condotta. La denunciata insussistenza della motivazione non è dunque ravvisarle, essendo pertanto da respingere il motivo di ricorso in oggetto.

5. Infondato è, infine, il terzo motivo del ricorso presentato nell’interesse del B., relativo alla determinazione della pena.

Con la sentenza impugnata si riteneva congrua la pena inflitta in ragione della particolare intensità del dolo.

Anche in questo caso il ricorrente si limita a denunciare la mancanza di motivazione; la quale veniva invece formulata con specifico richiamo ad uno degli indici previsti dall’art. 133 c.p..

I ricorsi devono in conclusione essere integralmente rigettati, seguendone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *