Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8154 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di sentenza della Commissione Tributaria di primo grado di Roma, che annullava l’avviso di rettifica ai fini Irpeg e Ilor per l’anno 1984 emesso nei confronti della A.S. Antincendio Scardellato s.r.l. in considerazione di una pretesa operazione inesistente fatturata nei confronti di quella società dalla società di fatto Laziale estintori, l’Ufficio proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del LAZIO, che con sentenza n. 72/3/2005, depositata il 14.10.2005, rigettava a sua volta il gravame.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando due motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la contribuente con controricorso ritualmente notificato.
Motivi della decisione

La controversia scaturisce da un avviso di rettifica notificato alla società, a seguito di controlli incrociati eseguiti presso la società di fatto Laziale estintori, per contestare la fittizietà dell’operazione di acquisto delle merci oggetto della fattura n. (OMISSIS) di L. 10.100,000, con conseguente indeducibilità del relativo costo, fittizietà desunta dall’Ufficio per il fatto che l’alienante non avrebbe mai avuto la disponibilità delle merci, e la società verificata non avrebbe ottemperato all’ordine di esibizione della fattura.

Il giudice di merito risulta aver confermato l’annullamento dell’atto sulla base delle seguenti considerazioni:

a) L’Ufficio non ha dimostrato la fittizietà dell’operazione, e quanto eventualmente pure accertato nei confronti della società fornitrice (mancanza di disponibilità della merce fatturata) non può automaticamente riflettersi nei confronti della acquirente;

b) La contribuente ha provato l’operazione con la produzione della fattura, regolarmente annotata nei registri contabili;

c) La mancata immediata produzione ai verbalizzanti da parte della figlia del "contribuente", della fattura di acquisto delle merci non assumerebbe rilievo alcuno.

Con i motivi articolati deduce la ricorrente i vizi di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 (art. 360 c.p.c., n. 3) e di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5).

La contribuente contesta la fondatezza del ricorso osservando tra l’altro che: 1) nella specie non si era in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti tali da giustificare un accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, lett. d); 2) la mancata produzione della fattura di acquisto da parte della fornitrice Laziale Estintori ben poteva scaturire dall’approvvigionamento delle merci sul cd. "mercato nero"; 3) l’effettività dell’operazione risulta definitivamente accertata, con efficacia vincolante nel presente giudizio, dal Tribunale penale di Roma che con sentenza irrevocabile del 13.2.1989, mandò assolto il legale rappresentante della A.S. Antincendio dai reati ascrittigli, compresi quelli relativi all’utilizzo della fattura n. (OMISSIS), affermando che: "la circostanza che per i fatti di cui ai capi A) e B) siano state prodotte delle bolle di accompagnamento della merce fatturata fa ritenere – in assenza di idonea prova a sostegno della prospettazione accusatoria – che le cessioni siano state effettuate".

Tutto ciò premesso, e passando all’esame opportunamente congiunto dei due motivi di doglianza articolati, ritiene questa Suprema Corte che il ricorso sia infondato e meritevole pertanto di rigetto.

In tema di rettifica di dichiarazioni non vi è dubbio che l’onere della prova dell’inesistenza di una operazione grava innanzi tutto sull’Amministrazione Finanziaria, come anche di recente espressamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità sia con riferimento alla analoga disciplina dell’IVA, sia proprio a proposito del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, affermandosi che: "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l’esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, non ostandovi il divieto della doppia presunzione, il quale attiene esclusivamente alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato, che a sua volta costituisce la base di una presunzione legale." (così Cass. 7.2.2008 n. 2847: cfr. 11.6.2008 n. 15395; 18.1.2008 n. 1023,19.10.2007 n. 21953).

Corretta pertanto, in diritto, è l’affermazione del giudice di merito che ha deciso la presente controversia partendo dall’assunto che l’onere della prova dell’insussistenza dell’operazione contestata fosse a carico dell’Amministrazione, giudicando poi non sufficienti a far ritenere assolto detto onere i riscontri indiziari forniti dall’Ufficio.

La verifica della legittimità della decisione pone a questo punto un problema che attiene alla valutazione della congruità e logicità della motivazione della sentenza, specificamente contestata con il secondo motivo.

Anche questa censura risulta però infondata, se non addirittura inammissibile mirando con essa la ricorrente con tutta evidenza ad ottenere in sede di giudizio di legittimità una valutazione delle prove diversa da quella fatta propria dal giudice di merito.

L’avviso di rettifica si fondava infatti su un rilievo operato presso la società tornitrice e sul valore indiziario attribuito alla mancata produzione della fattura.

Sul primo aspetto il giudice ha ritenuto la circostanza accertata presso la fornitrice di per sè sola irrilevante. In proposito la motivazione non è apparente perchè con essa la C.T.R. ha dato pienamente conto delle ragioni del suo convincimento, affermando che quanto accertato a carico della ditta emittente non può "automaticamente" essere oggetto di contestazione anche a carico della contribuente, e rilevando, di contro, come fosse stata la società a dare prova dell’effettività dell’operazione, attraverso la produzione di "fatture regolarmente annotate nel registro acquisti per l’importo e l’emittente così come indicati dai verbalizzanti".

Quanto al secondo aspetto non può preliminarmente non rilevarsi come non si comprenda neanche il senso della censura rivolta al giudicante per aver dato rilievo alla presentazione da parte dell’Amministratore Unico della A.S. Antincendio Scardellato s.r.l. della fattura n. 2811/84, posto che è l’Amministrazione Finanziaria che a quella circostanza ha dato valore ponendola a fondamento dell’avviso di rettifica, come espressamente risulta dallo stesso ricorso (v. Pag.

2).

Opportunamente, comunque, anche di tale aspetto della vicenda si è fatto carico il giudicante ritenendo, con apprezzamento non censurabile in questa sede, l’indizio, tra l’altro già svilito dalla successiva produzione in giudizio del documento tempestivamente e correttamente registrato nelle scritture contabili della società, niente affatto significativo non risultando dal p.v.c. il dedotto rapporto di parentela tra la persona invitata in sede di verifica a presentare la fattura in contestazione e il legale rappresentante dell’emittente.

Orbene, come innanzi già ricordato, in tema di rettifica delle dichiarazioni la legge – rispettivamente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, ed D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove "certe". Il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto pertanto a valutare, singolarmente e complessivamente (Cass. nn. 19894/2005, 13819/2003), gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio, e quest’ultimo è da ritenersi impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono" (così Cass. Sent. 23.4.2010, n. 9783).

E ciò perchè: "Spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo." (per tutte v. Cass. Sent. 2.4.2009 n. 8023).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con condanna della ricorrente, per il principio di soccombenza, al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.600,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari e Euro 100,00 per spese, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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