Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-11-2010) 23-02-2011, n. 7017Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 8.7.09, il tribunale di Torino, in riforma della sentenza 3.7.08 del giudice di pace di Susa, ha ritenuto integrato il reato di diffamazione in danno di L.R.D. e ha condannato, ex art. 576 c.p.p., M.F. al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile.

Il difensore del M. ha presentato ricorso per violazione di legge in riferimento all’art. 595 c.p. Secondo il ricorrente, il tribunale ha errato ritenendo diffamatoria la scritta "Per la sfortuna di avere un testimone di Geova come confinante vendo immobile con progetti di ampliamento, vendo assieme attività di autoriparazione/gommista e vendita auto e altro". Queste frasi non esprimono un fatto determinato in termini di tempo e di spazio, e da esse non emerge nessuna potenziale attività disonorevole del L. R.. In altri termini non è individuabile concretamente un fatto determinato, che, sotto il profilo oggettivo, sia sufficiente a integrare il reato. Sul piano soggettivo, non vi è certezza che le frasi siano state scritte allo scopo di ledere la personalità e/o la reputazione del L.R..

D’altra parte, lo stesso giudice esclude il reato, laddove afferma che il termine "testimone di Geova", utilizzato per identificare il vicino di caso, non è percepito in modo negativo dalla collettività. La tesi della assenza di potenzialità offensiva dei termini è confermata dall’orientamento giurisprudenziale, secondo cui il fatto di diffamazione deve essere valutato nella sua singolarità storica, per trarre dalla sue caratteristiche intrinseche la possibilità di configurare la sussistenza di estremi oggettivi e soggettivi della lesione (sez. 17.2.1990 Scalfari, in Giust. Pen. 1990,413).

Il ricorso non merita accoglimento, in quanto le censure sulla valenza offensiva delle espressioni diffuse dal M. sono infondate. Correttamente il giudice di appello ha ritenuto che al L. R. sono stati attribuiti comportamenti e connotazioni del tutto incompatibili con i canoni della civile convivenza, tanto da indurre il vicino di casa a mutare, in maniera radicale e pregiudizievole per i propri interessi, le proprie scelte esistenziali e lavorative.

E’ di tutta evidenza la consapevolezza e la intenzione del M. di comunicare alla cittadinanza della comune area territoriale e sociale di aver vissuto quotidianamente e a stretto contatto con persona indegna, sotto tutti i profili, di avere corretti e sereni rapporti interpersonali.

Questa totale e ingiustificata censura nei confronti della personalità del querelante e il riferimento alle sue generali anomalie sono stati resi ancora più pesantemente e convincentemente offensivi con il richiamo alle sua scelta di aderire a un credo religioso, diverso rispetto a quello storicamente e culturalmente radicato nella società italiana.

Questa volontà di ledere e sminuire il credito del L.R. nella comunità sociale di appartenenza, mediante la diffusione di una sua immagine di intollerabile inciviltà ha quindi integrato la fattispecie della diffamazione, così come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata. Il ricorso va quindi rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *