Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-11-2010) 23-02-2011, n. 7098 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 14 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Firenze ha dichiarato inammissibile la ricusazione proposta da M. F., M.B. e M.D. nei confronti del Dott. F.P., giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Firenze, con riferimento al procedimento penale nel quale gli stessi rivestivano la qualità di imputati del reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, e M.D. anche del reato di spaccio di stupefacente in concorso con D.E., giudicato a parte. La causa di ricusazione dedotta dagli istanti si riferiva al fatto che la stessa persona investita della funzione di G.U.P. aveva in precedenza emesso sentenza, in rito abbreviato, per l’appunto nei confronti del D..

Ha ritenuto quel collegio che non ricorressero gli estremi per l’applicabilità dell’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), non avendo il giudice ricusato mai espresso alcun convincimento circa la responsabilità di persone diverse da D.E., nonchè di quest’ultimo in ordine a reati diversi da quello per cui era stato giudicato. Infatti la pronuncia di condanna emessa nei confronti del D. aveva avuto riguardo soltanto agli elementi di prova concernenti la sua responsabilità per il reato di spaccio di stupefacente (al quale esclusivamente si era riferito il giudizio abbreviato), senza che il G.U.P. avesse espresso alcun apprezzamento in ordine alla responsabilità dei coimputati, da soli o in concorso con lo stesso D., tanto che i M. neppure erano stati nominati in quel provvedimento: la linea argomentativa adottata, principalmente sviluppatasi sul flagrante rinvenimento di un’ingente quantità di sostanza stupefacente e sull’esito di una perizia tossicologica, si era estesa a un giudizio di non credibilità oggettiva delle dichiarazioni difensive di quell’imputato, sul rilievo che una persona accusata anche di associazione per delinquere ben difficilmente poteva essere stata incaricata da terzi ignoti del trasporto di una notevole quantità di cocaina. Nè alcuna influenza aveva dispiegato il fatto che il giudicante avesse acquisito copia dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di tutti gli imputati, atteso che di essa non si era avvalso facendola propria ai fini del decidere.

Ha proposto ricorso per Cassazione il solo M.D., per il tramite del difensore, affidandolo a tre motivi.

Col primo motivo il ricorrente evidenzia l’identità del compendio investigativo caratterizzante il procedimento pregiudicante (quello a carico del D.) e il procedimento pregiudicato (cioè quello a carico dei ricusanti), per avere il primo di essi tratto origine da uno stralcio dagli atti del secondo; ne deduce un’incompatibilità funzionale per il magistrato chiamato a conoscere di entrambi, anche alla stregua della giurisprudenza costituzionale.

Col secondo motivo contrasta il giudizio, espresso nell’ordinanza impugnata, di irrilevanza della disposta acquisizione, nel processo a carico del D., di copia dell’ordinanza cautelare emessa nel procedimento pregiudicato. Sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, il contenuto del provvedimento cautelare è stato utilizzato non soltanto per motivare la colpevolezza del D., ma altresì per affermare l’inverosimiglianza della sua ricostruzione dei fatti e del suo rapporto con gli altri imputati: così dimostrando di recepire in toto lo schema indiziario proprio dell’ordinanza acquisita, nella quale il "committente" della partita di droga era individuato in M.D..

Col terzo motivo il ricorrente sostiene che il Dott. F., nell’emettere la propria decisione nei confronti del D., aveva anche anticipato una personale valutazione in ordine all’ipotesi associativa contestata nell’ordinanza cautelare; aveva, infatti, negato l’occasionalità della condotta di quell’imputato in quanto configgente col delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Siffatta valutazione ha avuto – così, ancora, sostiene – effetto pregiudicante sul procedimento cui la ricusazione si riferisce, avendo dato luogo ad indebita manifestazione del convincimento ai sensi dell’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), dal momento che non vi era alcuna necessità di esprimersi in ordine alla fondatezza dell’ipotesi associativa.

Vi è agli atti una memoria difensiva nell’interesse del ricorrente, in opposizione alla richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso, formulata dal Procuratore Generale.

DIRITTO Ammissibile in quanto tempestivamente proposto e basato su motivi non manifestamente infondati, il ricorso non merita tuttavia accoglimento.

L’art. 34 c.p.p., nel quale sono previste le cause di incompatibilità per atti compiuti nel procedimento, richiamate come motivi di astensione – e quindi di ricusazione – dall’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. g) e dall’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. a), non contempla alcuna ipotesi assimilabile a quella qui denunciata dal ricorrente, in cui il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio abbia in precedenza giudicato un altro soggetto, imputato nel medesimo procedimento e ammesso al rito abbreviato.

E’ vero che il citato art. 34 c.p.p. è stato più volte colpito da pronunce di illegittimità costituzionale, per la mancata previsione di molteplici casi in cui l’avvenuto svolgimento di funzioni giurisdizionali in altra fase processuale poteva essere pregiudicante nei confronti della decisione finale; ma fra tali pronunce l’unica astrattamente invocabile, per la sua riferibilità ad analoga attività giurisdizionale pregressa, è la sentenza n. 371 del 2 novembre 1996; con essa la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia stata comunque valutata.

Fermo restando che, nel caso di specie, la funzione giurisdizionale che il magistrato fatto segno a ricusazione è chiamato ad esercitare non si svolge nella fase del giudizio, ma in quella dell’udienza preliminare, merita tuttavia richiamarsi alla ratio deciderteli che ha ispirato quella decisione della Consulta, onde verificare se possa analogamente attagliarsi alla fattispecie qui rassegnata; ed allora ci si deve chiedere, in primis, se nella sentenza emessa nei confronti dell’imputato D.E. in esito al giudizio abbreviato siano state espresse valutazioni idonee a ricadere sulla posizione processuale di M.D..

La risposta data dalla Corte d’Appello di Firenze, in senso negativo, non merita censura; non si può, infatti, fondatamente sostenere che l’aver giudicato non credibile la linea difensiva di quell’imputato, a motivo della sua qualità di soggetto accusato anche di associazione per delinquere, abbia di per sè comportato un implicito giudizio di fondatezza di quell’accusa, la quale invece nella linea argomentativa adottata è venuta in considerazione solo come fatto processuale; nè, a tutto concedere, si può sostenere che in tale giudizio fosse insito anche un riconoscimento di colpevolezza degli altri soggetti imputati di appartenenza a quella stessa associazione.

Del pari non è sostenibile che, per il fatto di aver ritenuto accertata la responsabilità del D. in ordine al reato di spaccio, basando il proprio convincimento sul materiale probatorio raccolto durante le indagini preliminari, il giudice abbia implicitamente fatto proprie le valutazioni espresse nell’ordinanza cautelare; la comune origine investigativa delle risultanze apprezzate nei due provvedimenti non contraddice l’autonomia delle decisioni assunte, a maggior ragione se non sia dato rinvenire nella motivazione dell’uno alcun riferimento alla ratio decidendi dell’altro.

Quanto fin qui osservato rende ragione, altresì, della insussumibilità della fattispecie nella previsione di cui all’art. 37 c.p.p., comma 1, lett. b), non essendo condivisibile la tesi secondo cui l’avere il giudice escluso l’occasionalità della condotta illecita di D.E. equivarrebbe all’anticipazione di un giudizio di colpevolezza di M.D., sul presupposto di una pretesa individuazione di costui quale capo e promotore dell’associazione per delinquere, nonchè quale "committente" della partita di droga: individuazione che, nella prospettazione stessa del ricorso, è propria dell’ordinanza cautelare, ma non della sentenza emessa dal Dott. F..

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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