Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-11-2010) 23-02-2011, n. 7096

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 5 novembre 2009 la Corte d’Appello di Caltanissetta ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, proposta da O.A., della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo, confermata dalla Corte di Cassazione, con la quale egli era stato condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 800,00 di multa per il delitto di tentata estorsione aggravata in danno di G.S..

Il reato in questione era stato contestato a quattro imputati in concorso fra loro: e cioè, oltre all’istante O.A., anche a P.G., D.G. e R.G.; i primi due avevano scelto il giudizio abbreviato, mentre gli altri due erano stati giudicati secondo il rito ordinario. L’istanza di revisione era motivata in base al fatto che la condanna emessa nel parallelo giudizio svoltosi nei confronti dei coimputati D. e R. era stata annullata senza rinvio dalla Corte di Cassazione con la formula "perchè il fatto non sussiste"; si era così determinata, secondo l’ O., un’inconciliabilità tra i fatti stabiliti a fondamento della pronuncia di legittimità e quelli posti a fondamento della sentenza di condanna a suo carico, investita dall’istanza di revisione.

La Corte d’Appello ha motivato il giudizio di inammissibilità col rilevare che, in base al disposto dell’art. 630 c.p.p., lett. a), la sussistenza di un mero contrasto di giudicati non costituisce motivo di revisione della sentenza penale di condanna; e ciò in quanto la norma richiede non già un’inconciliabilità logica fra le due decisioni, bensì l’accertamento di fatti stabiliti a fondamento di una sentenza, che non possano conciliarsi con quelli stabiliti in un’altra sentenza penale irrevocabile. Nel caso presente, ha concluso quel collegio, il fatto storico accertato nei due giudizi è il medesimo; ciò in cui le due sentenze divergono è la vantazione di esso ai fini della prova di responsabilità penale.

Ha proposto ricorso per Cassazione l’ O., affidandolo a un solo motivo. Con esso contesta che dai due contrapposti giudicati emerga l’accertamento del medesimo fatto, in quanto la decisione di annullamento senza rinvio postula l’impossibilità materiale della commissione del reato su cui si è, invece, basata la sentenza di condanna; infatti, osserva, il richiamo contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione all’intercettazione ambientale del 16 marzo 2001, oggetto di travisamento nella pronuncia di condanna, ha costituito quel fatto stabilito e indubitato idoneo ad escludere che fosse stato posto in essere alcun atto estorsivo. Ad ulteriore riprova adduce l’annullamento, disposto dal Supremo Collegio con la stessa sentenza, della condanna di G.S. per favoreggiamento; e al riguardo addebita alla Corte nissena un "macroscopico errore di diritto", nel quale sarebbe incorsa nel ritenere che tale annullamento fosse stato pronunciato per violazione del principio di correlazione fra sentenza e accusa, anzichè per insussistenza del fatto. Anche sotto tale profilo, conclude, il fatto stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione si rende inconciliabile con l’affermazione di colpevolezza di O. A..
Motivi della decisione

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

L’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’Appello di Caltanissetta si basa su una corretta applicazione del principio a tenore del quale "in tema di revisione, il concetto di inconciliabilità tra sentenze irrevocabili non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma come oggettiva incompatibilità tra gli accertati elementi di fatto su cui esse si fondano" (così Cass. 9 giugno 2004 n. 36121; v. anche Cass. 22 settembre 2005 n. 40819).

Al riguardo occorre evidenziare che ciò che è emendabile col rimedio della revisione è l’errore di fatto e non la valutazione del fatto, che costituisce l’essenza della giurisdizione: onde non è ammissibile l’istanza di revisione che faccia perno sul fatto che lo stesso quadro probatorio sia stato diversamente utilizzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato nell’ambito di due distinti procedimenti penali (in questo senso v.

Cass. 3 febbraio 2009 n. 6273).

Ciò è proprio quanto si è verificato nel caso di specie, in cui la Corte di Cassazione, nel pronunciare l’annullamento senza rinvio della condanna emessa nei confronti di D.G. e R. G. per il delitto di tentata estorsione, ha preso in considerazione – escludendone l’efficacia probatoria, in rapporto ai requisiti dell’idoneità e dell’univocità degli atti – le stesse conversazioni intercettate che invece, a seguito di una diversa valutazione, erano state reputate sufficienti a giustificare la condanna di O.A. e P.G. quali responsabili dello stesso reato. Si è dunque trattato di due diversi apprezzamenti del medesimo quadro probatorio:

è dunque trattato di due diversi apprezzamenti del medesimo quadro probatorio: mentre non è emerso dalla sentenza invocata come motivo di revisione l’accertamento di alcun fatto positivamente stabilito, inconciliabile coi fatti posti a fondamento della pronuncia di condanna.

Non diversamente è a dirsi a proposito del disposto annullamento della condanna per favoreggiamento emessa a carico di G. S.; tanto più che il denunciato "macroscopico errore di diritto" nel quale sarebbe incorsa la Corte nissena nell’interpretare la sentenza della Corte di Cassazione datata 2 luglio 2007 è, in realtà, insussistente; si legge, infatti, quanto segue nella motivazione di quest’ultima pronuncia: "Nella fattispecie è, pertanto, agevolmente riscontrabile un vero e proprio travisamento della formulazione letterale dell’imputazione ascritta al G., stante il diverso significato del fatto di reato in essa indicato, con conseguente violazione del principio di correlazione tra l’imputazione descritta nel decreto che dispone il giudizio da un lato e il fatto ritenuto in sentenza dall’altro. Osserva, peraltro il Collegio, che al di là di tale violazione (da cui conseguirebbe la declaratoria di nullità sia della sentenza di secondo grado sia di quella di primo grado, con trasmissione degli atti al P.M.), le risultanze processuali di cui si da conto nel provvedimento impugnato, evidenziano una erronea applicazione della legge penale, nonchè vizio di motivazione in ordine ad entrambe le imputazioni in esame". Il fatto che da tale premessa sia poi scaturito l’annullamento con la formula "perchè il fatto non sussiste", a motivo della ritenuta carenza di prova in ordine al reato presupposto, non contraddice la correttezza della conclusione raggiunta nell’ordinanza impugnata, col rilevare come neppure dal deliberato assunto nei confronti del G. emerga l’accertamento di fatti positivi, inconciliabili con quelli posti a base della condanna dell’ O..

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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