Cass. civ. Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 8135 Imposta reddito persone fisiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7 novembre 2005, la sezione bresciana della commissione tributaria regionale di Milano accoglieva l’appello della Italcementi S.p.A. e, riformando la decisione di rigetto della commissione provinciale di Bergamo n. 110/9/02, accoglieva la domanda con il quale la soc. contribuente aveva chiesto la condanna dell’amministrazione finanziaria al rimborso di 3.892.369,98 Euro quale restituzione d’imposte versate in sede di dichiarazione dei redditi 2000.

I giudici del gravame, premesso che il tema controverso riguardava il pagamento di sanzioni comunitarie antitrust, consideravano "inerente" – e, quindi, deducibile ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, T.U.I.R. – il costo derivante dal versamento di tali sanzioni, in quanto la loro irrogazione derivava da una sorta di "decisione strategica aziendale volta all’incremento dei ricavi";

rilevavano, inoltre, che militava a favore dell’invocata deducibilità anche la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, comma 4 atteso che tale disposizione escludeva dalla detrazione esclusivamente le spese per fatti, atti o attività costituenti reato, mentre la violazione della normativa comunitaria antitrust era da qualificare come illecito "non penale".

Ricorre, per l’annullamento della sentenza di secondo grado, l’agenzia delle entrate adducendo un unico complesso motivo al quale la soc. Italcementi resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

a. In punto di fatto è assolutamente pacifico che il costo, asseritamente deducibile per oltre 18 miliardi di vecchie lire, corrisponde alla sanzione comminata alla soc. Italcementi dalla Commissione CE e risultante dalla sentenza del tribunale CE del 15 marzo 2000, quale quota parte della complessiva sanzione di oltre 66 miliardi di vecchie lire applicata al gruppo societario e poi suddivisa tra le relative società tenuto conto del concorso di ciascuna nella complessiva produzione dell’illecito anticoncorrenziale.

b. In diritto, l’agenzia delle entrate denuncia l’erroneità della sentenza della commissione tributaria regionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione dell’art. 75 (attuale art. 109), comma 5, del cit. T.U.I.R..

c. In primo luogo, l’avvocatura dello stato sostiene che la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis non ha affatto innovato l’assetto fiscale ordinario riguardo alle ipotesi di "fatti, atti o attività" costituenti illecito civile o amministrativo, atteso che tale disposizione nega la detrazione delle spese per "fatti, atti o attività" costituenti reato, mentre per gli altri casi, non disciplinati dalla suddetta norma speciale, la deducibilità dei relativi costi continua ad essere assoggettata alle ordinarie regole dettate dal TUIR. Precisa, in proposito, che le sanzioni pecuniarie per l’illecito concorrenziale non sono costi di origine illecita, bensì sono il frutto della reazione dell’ordinamento comunitario ad un comportamento antigiuridico; sicchè nell’ambito della disciplina dei costi per attività illecite di rilievo penale non può rientrare la deducibilità o meno delle diverse sanzioni pecuniarie comminate in conseguenza d’illeciti di altra natura, rispetto ai quali il comma 4 bis cit. non produce alcun effetto.

d. In secondo luogo, l’avvocatura erariale sostiene che le sanzioni amministrative, in quanto irrogate da un organo estraneo all’impresa, rispondono a finalità repressive e preventive dell’illecito e dunque sono per definizione extra imprenditoriali; sicchè, difettando il nesso funzionale con l’attività dell’impresa, i costi sostenuti per il pagamento di tali sanzioni non possono dirsi finalizzati alla produzione di proventi aziendali.

e. In terzo luogo, la difesa dell’agenzia nega che gli illeciti concorrenziali tipizzati dall’ordinamento comunitario rimandino necessariamente a pratiche commerciali dalle quali sia derivato un incremento dei ricavi d’impresa. Infatti, benchè l’autorità antitrust determini la sanzione in misura percentuale del fatturato, essa non procede affatto alla quantificazione degli effettivi ricavi realizzati in conseguenza della pratica anticoncorrenziale, atteso che i maggiori ricavi sono del tutto eventuali e che, a fronte d’intese illecite, l’autorità antitrust interviene attribuendo rilevanza alle potenzialità dei comportamenti e alla loro idoneità a determinare la lesione. Ne deriva, secondo l’agenzia ricorrente, che in questa materia la sanzione ha carattere afflittivo e finalità generalpreventive, giammai natura riparatoria del danno concorrenziale cagionato.

f. Infine, conclude l’avvocatura dello stato, la norma interna – o l’interpretazione di essa – che riconoscesse la deducibilità della sanzione antitrust inciderebbe sugli effetti della normativa del Trattato CE posta a tutela della libera concorrenza nel mercato comunitario, che è bene giuridico esterno (all’organizzazione dell’impresa e) all’ordinamento nazionale con ogni conseguenza anche ai fini eventuali della procedura ex art. 234 del Trattato CE.

g. A sua volta, la controricorrente soc. Italcementi – premesso che sarebbe incensurabile la sentenza della CTR con riferimento all’accertamento di fatto circa la riconducibilità delle sanzioni ad una "decisione strategica aziendale volta all’incremento dei ricavi" – assume che il relativo esborso sarebbe di per sè afferente l’attività da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito e quindi costituirebbe spesa o comunque componente negativo, a mente dell’art. 75, comma 5, cit. TUIR.

h. Inoltre, siccome la Commissione CE si era espressamente basata sul fatturato nella commisurazione percentuale della sanzione, risulterebbe evidente la inerenza di essa con la produzione di ricavi, a loro volta correlati alla vendita del cemento, a condizioni più favorevoli (di non libera concorrenza) rispetto a quelli altrimenti praticabili (e cioè in condizioni di libera concorrenza), il che porterebbe a negare che la parametrazione percentuale si configuri quale mero criterio di personalizzazione della sanzione.

i. Infine – premesso che il tribunale di primo grado CE, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha chiarito che "la Commissione CE non è obbligata, nel fissare le ammende, a tenere conto della differenza esistente fra le varie legislazioni fiscali nazionali" – la difesa della controricorrente rileva che la deduzione dell’ammenda di che trattasi era ammessa in alcuni paesi come, ad esempio, l’Olanda e la Francia (che l’ha esclusa solo con una legge del 2001).

j. Le censure dell’agenzia delle entrate sono fondate.

k. A mente dell’art. 75, comma 5, cit. TUIR nel testo originario, le spese e gli altri componenti negativi, di norma, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito.

l. La giurisprudenza di questa sezione ha da tempo chiarito che un costo può essere deducibile dal reddito d’impresa solo se e in quanto sia funzionale alla produzione del reddito stesso. Ciò posto, la correlazione fra costo e reddito è stata senz’altro esclusa con riferimento ai costi rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie irrogate per punire comportamenti illeciti del contribuente, quali – ad esempio le infrazioni alle norme sulla circolazione stradale: costi, perciò, ritenuti indeducibili (Cass. sez. 5, 29 maggio 2000, n. 7071; Cass. sez. 5, 13 maggio 2003, n. 7317), al pari degli interessi moratori su somme pagate a titolo di sanzione (Cass. sez. 5, 20 maggio 2009, n. 11766).

m. Oltre alle precitate decisioni in tema di sanzioni per infrazioni stradali e d’interessi su sanzioni amministrative, si è affermato anche che l’esborso effettuato per evitare indagini fiscali e la connessa interferenza sulla vita dell’impresa, a prescindere dalla sua ricollegabilita a concussione o corruzione, non concorre, direttamente o indirettamente, alla formazione del reddito, perchè non è fattore produttivo, ma tende soltanto a preservare il risultato dei fattori produttivi, e comunque non è atto della gestione d’impresa, ponendosi su un piano autonomo ed esterno (Cass. sez. 5, 19 aprile 2001, n. 5796). Similmente si è ritenuta la non detraibilità del riscatto pagato per la liberazione di un dirigente (Cass. 11 agosto 1995, n. 8818).

n. In altre parole, l’illecito spezza, in ogni caso, il nesso di inerenza, atteso che "la spesa non nasce più nell’impresa", ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di là della sfera aziendale.

o. Infine, si è affermata la indeducibilità dal reddito d’impresa delle sanzioni pagate dall’imprenditore a titolo di condono edilizio (Cass. 07 settembre 2007, n. 1860, che però ammette la deducibilità per la quella parte di spese non avente natura sanzionatoria, come gli oneri di urbanizzazione).

p. Seguendo la stessa linea interpretativa e sempre agli effetti delle imposte sui redditi, si è ritenuto che anche le sanzioni irrogate dagli organismi garanti della concorrenza e del mercato per aver posto in essere pratiche concordate per falsare in maniera consistente la concorrenza sul mercato non sono deducibili dal reddito di impresa (Cass, sez. 5, 03 marzo 2010, n. 5050).

q. L’art. 15, par. 2, del Regolamento del Consiglio CEE del 6 febbraio 1962 ha previsto un’ammenda percentuale sul volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente per le violazioni alle regole di concorrenza del mercato. Tale sanzione, secondo la giurisprudenza comunitaria, è da commisurarsi non soltanto al fatturato e alle dimensioni dell’azienda, ma anche alla valutazione del comportamento più o meno incisivo o collaborativo del soggetto che quelle regole abbia infranto (CGE, 28 giugno 2005, n. 189 in cause riunite C-189-202-208 e 213/2002).

r. La sanzione antitrust, inflitta nella specie mediante una decisione della Commissione CE, è sì definita "ammenda", ma si tratta di sanzione pecuniaria avente natura palesemente amministrativa, conformemente al disposto dell’art. 15, par. 4, del Regolamento cit., che precisa che le decisioni in questione "non hanno un carattere penale".

s. Esse sono determinate in misura variabile (nella specie il 4% del fatturato 1992), ma non si collegano strettamente al reddito nè dell’anno in cui la violazione si è verificata nè a quello degli esercizi precedenti, tanto da poter essere qualificate come sopravvenienze passive (Cass. 2010/5050 cit.).

t. Perchè ciò si verifichi è necessario, in tesi generale, che il ricavo abbia concorso a formare il reddito nell’esercizio di competenza ovvero che si riferisca con sicurezza a ricavi che abbiano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (art. 75, comma 5, cit. TUIR), mentre nell’esercizio cui la sanzione si riferisce, potrebbe non essersi verificato alcun incremento dei ricavi, nonostante l’illecito.

u. Il riferimento variabile alla percentuale del fatturato costituisce, invece, soltanto un parametro, sulla base della normativa comunitaria, per determinare la misura della sanzione, la quale non va ad incidere su un incremento di reddito, che potrebbe non esservi stato, ma ha soltanto funzione afflittiva e deflativa, in funzione di deterrente di futuri possibili analoghi illeciti.

v. Nella decisione della Commissione CE, a carico della soc. Italcementi e di altre imprese, al punto 65 sub 1 (G.U. delle Comunità Europee, 30.12.94, N.L. 343/121), si legge: "Ai sensi dell’art. 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17, la Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ammende che variano da un minimo di mille unità di conto ad un massimo di un milione, con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10% del volume di affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza abbiano violato le disposizioni dell’art. 85, paragrafo 1. Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata".

w. La stessa Commissione, delineata l’intenzionalità delle varie condotte (sub 2-3) e la durata e gravità delle infrazioni (sub 4-5), effettua un graduazione di maggiore o minore responsabilità (sub 9- 10-11), dalla quale emerge concretamente la funzione di punizione, e non di riparazione o confisca, dell’ammenda irrogata.

x. Non può, dunque, essere negato carattere punitivo ad una sanzione che è inflitta a prescindere dal danno concretamente ricevuto dai consumatori.

y. L’eventuale ristoro, infatti, non incide sulla tassabilità di proventi, pur derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo ( L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4), ricompresi nelle categorie di reddito di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1 (Cass. sez. 5, 09 novembre 2005 n. 21746).

z. Invero, la condanna al risarcimento è un fatto non incidente sulla nascita dell’obbligo fiscale, sia perchè posteriore al sorgere del presupposto d’imposta dal quale scaturisce l’obbligo, sia perchè non è previsto tra i fatti impeditivi o estintivi della obbligazione tributaria (Cass. sez. 5, 05 giugno 2000, n. 7511); egualmente la sanzione per la violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa stessa e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita aziendale, "ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività" (Cass., 2010/5050 cit.).

aa. Pretendere, pertanto, che l’entità di tale sanzione costituisca un "costo" deducibile dal "reddito" imprenditoriale significherebbe neutralizzare interamente la "ratio" punitiva della penalità, trasformandola in un risparmio d’imposta, cioè in un "premio" per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme antitrust (Cass., sez. 5, 03 marzo 2010, n. 5050).

bb. Sotto altro profilo la sanzione antitrust in questione deriva la sua afflittività interamente dall’ordinamento comunitario, atteso che "la Commissione … non è obbligata, nel fissare le ammende, a tenere conto delle differenze esistenti fra le varie legislazioni fiscali nazionali (CGE, 15 luglio 1970, causa 44/69, Buchler/Commissione, Racc. pag, 733, punto 51)".

cc. Così testualmente si esprime la sentenza CE del 15 marzo 2000 sulla questione espressamente sollevata dalla Italcementi, che lamentava l’eccessività dell’importo della sanzione inflittale, dal momento che non teneva conto della non deducibilità fiscale delle ammende in Italia.

dd. Del resto, la stessa sentenza chiarisce sotto altro profilo l’irrilevanza, ai fini della fissazione dell’ammenda, di situazioni particolari e contingenti del trasgressore "col rischio di procurare un vantaggio concorrenziale ingiustificato".

ee. Il riferimento variabile e percentuale al fatturato costituisce, in estreme sintesi, soltanto un parametro per determinare la misura della sanzione, la quale non va ad incidere su un incremento di reddito, che potrebbe non esservi stato, ma ha soltanto natura afflittiva e deflattiva, in funzione di deterrente di futuri possibili analoghi illeciti.

ff. In siffatta prospettiva, si deve ritenere che la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, vada inteso nel senso che esso non abbia affatto innovato l’assetto fiscale ordinario riguardo alle ipotesi di "fatti, atti o attività" costituenti illecito civile o amministrativo, atteso che tale disposizione si limita a negare la detrazione delle spese per "fatti, atti o attività" costituenti reato, ma conserva per gli altri casi, non disciplinati dalla suddetta norma speciale, il regime di deducibilità o meno dei relativi costi previsto dalle ordinarie regole dettate dal cit. TUIR. Il che, quanto alle sanzioni di derivazione comunitaria, porta a escludere comunque che si tratti di costi deducibili dal reddito d’impresa.

gg. Trattasi di assetto normativo, che se correttamente interpretato, consente allo Stato Italiano di attenersi strettamente al dettato comunitario, per cui non si può neppure dubitare della esatta applicazione del Trattato, invece diversamente inficiata.

hh. Il diritto comunitario ha fissato, infatti, sia un sistema completo di controllo delle intese e degli abusi anticoncorrenziali, sia le relative sanzioni. Il potere della Commissione CE d’infliggere ammende alle imprese che, dolosamente o colposamente, vi trasgrediscono costituisce uno dei mezzi attribuiti alla medesima per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza 07 giugno 1983, cause riunite da 100/80 a 103/80, Musique Diffusion frangaise e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 105, e 07 giugno 2007, causa C-76/06 P. Britannia Alloys & Chemicals/ Commissione, Racc. pag. 1-4405, punto 22).

ii. Disgiungere il divieto generale di pratiche anticoncorrenziali dalle sanzioni previste per l’inosservanza dello stesso Trattato equivarrebbe, quindi, a privare di efficacia l’azione delle autorità incaricate di vigilare sul rispetto del divieto in parola e di sanzionare siffatte pratiche.

jj. L’efficacia delle sanzioni inflitte dalle autorità garanti della concorrenza, nazionali o comunitarie, è pertanto una condizione per l’applicazione uniforme del trattato CE.

kk. In particolare la pronunzia resa dalla Corte di Giustizia il 11 giugno 2009, nel procedimento pregiudiziale C-429/07 (Inspecteur van de Belastingdienst vs.XBV; punti 31 e seg.) ha ritenuto che la deducibilità fiscale (nel diritto olandese) di un’ammenda inflitta dalla Commissione è fatto idoneo a incidere negativamente sull’efficacia della sanzione irrogata dall’autorità comunitaria garante della concorrenza.

ll. L’efficacia della decisione della Commissione potrebbe, infatti, essere sensibilmente ridotta qualora l’impresa fosse autorizzata a dedurre, interamente o in parte, l’importo di tale ammenda dall’importo dei suoi utili imponibili, in quanto una facoltà del genere avrebbe l’effetto di compensare parzialmente il peso dell’ammenda di cui trattasi con una diminuzione degli oneri fiscali.

mm. Dall’insieme delle suesposte considerazioni risulta che, in assenza di una previsione espressa, il diritto fiscale interno non può che essere interpretato nel senso che esso non autorizza la possibilità di dedurre dagli utili imponibili l’importo di un’ammenda, o parte di essa, inflitta dalla Commissione CE per violazioni anticoncorrenziali del Trattato.

nn. E’ appena il caso di ricordare che il problema di un eventuale contrasto con il diritto comunitario, ai fini dell’art. 234 del Trattato, si pone soltanto nel caso in cui la ricostruzione del diritto nazionale, secondo le regole sostanziali e processuali ad esso proprie ivi compresa quella che impone un’interpretazione conforme al diritto comunitario, conduca all’applicazione dell’agevolazione fiscale (Cass. sez. 5, 30 marzo 2007, n. 7883).

oo. In conclusione, la commissione tributaria regionale, nell’accogliere la domanda avanzata dalla soc. Italcementi, è incorsa in violazione della legge tributaria sostanziale, discostandosi dal principio di diritto secondo cui: "Agli effetti delle imposte sui redditi, le sanzioni irrogate dalla Commissione CE per aver posto in essere una pratica concordata avente per oggetto e per effetto di falsare in maniera consistente la concorrenza sul mercato (nella specie, sul mercato del cemento) non sono deducibili dal reddito d’impresa".

pp. L’applicazione di tale principio, pacifici essendo i fatti e non necessitando ulteriori accertamenti, porta all’annullamento della sentenza della commissione tributaria regionale e consente a questa Corte di pronunziare nel merito, rigettando il gravame della soc. Italcementi e così confermando la sfavorevole decisione della commissione tributaria provinciale.

qq. Le spese processuali, di secondo grado e di cassazione, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’appello; condanna la soc. Italcementi al pagamento delle spese, liquidate per il secondo grado in Euro 1.400 per diritti ed Euro 7.200 per onorario, e per il presente giudizio in Euro 15.400 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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