T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 22-02-2011, n. 1662 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente è assistente della Polizia di Stato.

Con il decreto n. 333D/65448, emesso il 1 aprile 2004, il Capo della Polizia, Direttore generale della P.S., gli ha inflitto, ai sensi del DPR n. 737 del 1981, la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei.

Il provvedimento richiama l’allegata delibera del 27.2.2004 con la quale il Consiglio provinciale di disciplina, istituito presso la Questura di Roma, ha proposto nei confronti del V. la sospensione dal servizio per mesi sei.

In particolare, nella citata delibera risulta quanto segue: "in data 15.5.2002 personale del Commissariato Viminale, a seguito di un’attività di prevenzione e controllo del territorio, con particolare riguardo al fenomeno della prostituzione, eseguiva un controllo all’interno di un appartamento sito in Roma, via Volturno, n. 7, scala a, int. 10, all’interno del quale veniva constatata la presenza del V. in compagnia di quattro cittadini di nazionalità diverse, tutti extracomunitari e non in regola, all’epoca dei fatti, con le normative vigenti sugli stranieri e che, due di essi pur avendo un abbigliamento adeguato, apparivano nelle fattezze chiaramente transessuali. Nel corso del controllo di Polizia, il V. si avvicinava agli operanti qualificandosi quale appartenente alla Polizia di Stato e all’uopo mostrava il proprio tesserino di riconoscimento, asserendo di essere un conoscente di uno dei quattro cittadini extracomunitari presenti sul posto. Successivamente, mentre il personale di quel Commissariato, espletava gli accertamenti di rito, il V. si metteva immediatamente in contatto telefonico con il locatario della casa avvisandolo che era in atto il controllo de quo.

In separata sede uno degli extracomunitari, che ben conosceva lo status di poliziotto del V., dichiarava di non pretendere denaro per le sue prestazioni, visto il rapporto affettivo che lo legava allo stesso. L’extracomunitario aggiungeva, inoltre, che il V. non fosse a conoscenza del fatto che si prostituiva e che era, invece, a conoscenza della sua posizione di irregolare sul territorio italiano".

A seguito del detto controllo – in data 20.5.2002 – il V. è stato indagato in stato di libertà ai sensi dell’art. 12 del TU n. 286/1998 e art. 328 c.p.; in data 17.11.2003 il GIP ha emesso decreto di archiviazione escludendo la punibilità dell’indagato per la mancanza dell’elemento oggettivo (cfr., decreto di archiviazione in data 17.11.2003).

Successivamente, è stato avviato il procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 19 del DPR n. 737/1981.

Segnatamente:

– in data 1.12.2003 è stato nominato il funzionario istruttore;

– con nota del 3.12.2003, notificata il giorno successivo, il funzionario istruttore ha formulato le contestazioni degli addebiti per la mancanza di cui all’art. 7, numeri 1 e 2, del DPR n. 737/1981;

– in data 23.12.2003 il V. ha presentato le giustificazioni;

– in data 7.1.2004 il funzionario istruttore ha concluso l’inchiesta disciplinare e ha rimesso gli atti al Questore;

– con nota del 9.1.2004 il Questore di Roma ha deferito il ricorrente al Consiglio provinciale di disciplina che si è riunito in data 27.2.2004.

Con il ricorso in epigrafe l’interessato ha impugnato il provvedimento e ha prospettato le seguenti censure:

1). Eccesso di potere, violazione art. 14 DPR n. 737/1981;

2). Abuso di potere ed erronea applicazione di legge;

3). Abuso di potere e disparità di trattamento.

In data 28.7.2004 si è costituita controparte.

Con i motivi di ricorso l’interessato sostiene che la contestazione rientra tra gli atti propulsivi o di iniziativa che esplicano funzione costitutiva poiché all’intimazione si accompagna la fissazione di un termine per l’adempimento (10 giorni prorogabili di altri 10 giorni).

In altre parole, l’amministrazione, una volta che ha compiuto gli accertamenti preliminari, in ordine a una eventuale infrazione disciplinare, deve contestare subito gli addebiti al dipendente.

Ad avviso del ricorrente, pur ammettendo che il termine non ha natura perentoria, l’amministrazione aveva il dovere di dare impulso immediatamente all’azione disciplinare.

Con gli ulteriori motivi l’interessato sostiene che la PA non ha tenuto conto del decreto di archiviazione penale; mancherebbe, inoltre, una puntuale istruttoria e motivazione del provvedimento impugnato.

In ultimo, è prospettata la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento.

Tanto premesso, le censure prospettate non meritano positivo apprezzamento.

La prima censura (relativa alla violazione del termine di cui all’art. 19 del DPR n. 737/1981) è da disattendere in quanto (come pure ammesso dal ricorrente) trattasi pacificamente di termine non perentorio.

Natura sollecitatoria va riconosciuta al termine di dieci giorni per la convocazione del Consiglio di disciplina, previsto dall’art. 20, comma 1 del d.p.r. n. 737, nonché all’analogo termine, previsto dall’art. 21, per la comunicazione della sanzione disciplinare all’interessato.

In linea generale, poi – quanto alla tempestività dell’inizio del procedimento disciplinare – può osservarsi che l’art. 103 T.U. imp. civ. St. n. 3 del 1957, che prevede che la contestazione degli addebiti avvenga "subito", deve essere interpretato nel senso che il Legislatore non ha inteso vincolare l’amministrazione all’osservanza di un termine fisso, ma ha indicato una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell’iter procedurale e preordinata ad un equo contemperamento delle esigenze sia dell’amministrazione pubblica di procedere agli accertamenti preliminari dei fatti disciplinari con ponderata valutazione della gravità e complessità dei fatti medesimi, sia della parte privata, onde non siano rese più gravose le modalità della difesa a causa della eccessiva distanza di tempo dal verificarsi dei fatti oggetto di contestazione; non si può legittimamente procedere alla contestazione di addebiti dopo lungo tempo dall’accertamento dei fatti, ove il ritardo non si fondi specificamente sulla particolarità della situazione accertata o sulla complessità delle acquisizioni istruttorie (cfr., Cons. Stato, Sezione IV, 5 agosto 2003, n. 4535; 14 marzo 2005, n. 1045).

Come stabilito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr., dec. 25.1.2000 n. 4) – pronunciata con riguardo alle norme del T.U. n. 3 del 1957 sugli impiegati civili dello Stato ma riferibile a tutte le fattispecie procedimentali caratterizzate da fasi organizzative analoghe – le scansioni fondamentali vanno individuate nella fase degli accertamenti preliminari e nella fase del procedimento disciplinare propriamente detto (che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termine con l’adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell’incolpato); all’interno di quest’ultima, vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell’inquisito (e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, per la presa visione degli atti, per il preavviso di trattazione davanti alla commissione), da quelli sollecitatori, che sono i termini restanti.

Con gli altri motivi si prospetta un difetto di istruttoria e di motivazione.

Si tratta di censure prive di fondamento e, pertanto, non accoglibili.

A prescindere da singoli aspetti di dettaglio (e da eventuali contraddizioni nella ricostruzione in fatto degli accadimenti) è incontestato che il ricorrente teneva un comportamento – complessivamente – non conforme ai doveri e gravemente lesivo della dignità delle funzioni di un appartenente alla Polizia di Stato.

Correttamente – dunque – i fatti contestati sono stati ascritti nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 6, n. 7, che punisce l’assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati.

Il presupposto verbale del Consiglio di disciplina dà ampiamente conto di tutti gli elementi di fatto considerati e delle connesse conseguenze sul piano giuridico.

Inoltre, l’operato dell’amministrazione appare legittimo anche in relazione alla congrua motivazione contenuta nel provvedimento impugnato, con il rinvio "per relationem" ad altri atti istruttori (tra cui la più volte citata delibera del Consiglio provinciale di disciplina del 27.2.2004).

D’altra parte, come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza, l’apprezzamento dei fatti, la valutazione delle prove, nonché la rilevanza disciplinare del comportamento del pubblico dipendente rientrano nella sfera discrezionale della pubblica amministrazione, sicché essi non possono essere sindacati dal giudice amministrativo, se non nelle ipotesi di illogicità, manifesta irragionevolezza, travisamento o errore di fatto (cfr., Cons. St., IV, 1.10.2004 n. 6404; 14.12.2004 n. 7964).

Infine, non merita positivo apprezzamento il vizio di disparità di trattamento.

E’ palese la genericità delle indicazioni fornite dall’interessato.

Inoltre, la recente giurisprudenza (cfr., C. Stato, sez. V, 10022000, n. 726) ha più volte precisato che la disparità di trattamento è sinonimo di eccesso di potere solo quando vi sia un’assoluta identità di situazioni oggettive, che valga a testimoniare dell’irrazionalità delle diverse conseguenze tratte dall’amministrazione.

Le considerazioni che precedono comportano la reiezione del ricorso, mentre le spese del giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensate tra le parti.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando respinge il presente ricorso.

Compensa tra le parti le spese, competenze ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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