Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-04-2011, n. 8358

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 7 febbraio 2007, C.F., giornalista professionista dipendente della Rai – Radiotelevisione italiana s.p.a. in qualità di corrispondente giornalistico dalla città di Gorizia dal 1979, chiede, con quattro motivi, la cassazione della sentenza depositata il 17 febbraio 2006, con la quale la Corte d’appello di Trieste, in riforma della decisione di primo grado (che aveva accolto la domanda di accertamento del suo diritto alla qualifica di redattore dal 16 novembre 1990 con le conseguenti differenze retributive dal 27.4.1993), ha respinto le sue richieste:

a) di riconoscimento della qualifica di redattore a norma degli artt. 5 e 12 del C.C.N.L. giornalisti: a1) in quanto appartenente ad una redazione decentrata, a2) oppure quale corrispondente da capoluogo di provincia al quale venga richiesto di fornire in modo continuativo, oltre a notizie di cronaca locale, notizie italiane o estere di carattere generale da lui elaborate, a3) oppure ancora quale titolare di un ufficio di corrispondenza di testate che dedichino normalmente una intera pagina alla locale cronaca cittadina; b) in via subordinata, di condanna della Rai a pagargli il compenso previsto dal contratto collettivo per il redattore, in ragione della quantità e qualità del lavoro svolto, ai sensi dell’art. 36 Cost., c) in via ulteriormente subordinata, di condanna della società a pagargli comunque un maggiore corrispettivo, da determinare ai sensi dell’art. 2225 cod. civ. La società intimata resiste alle domande con rituale controricorso, depositando altresì una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1 – Col primo motivo, C.F. denuncia la violazione dell’art. 434 c.p.c. e il vizio di motivazione della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), laddove la Corte territoriale aveva ritenuto che l’atto di appello della società contenesse motivi specifici, mentre si sarebbe viceversa trattato della confutazione, "con argomentazione astratta e generica, di singoli aspetti della pronuncia del Tribunale senza, oltretutto, tener conto del contesto in cui erano inseriti".

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza (su cui cfr., ad es., Cass. 10 marzo 2008 n. 6294), regola che, anche nell’ipotesi in cui il ricorso riguardi la violazione o falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. nonchè l’omessa motivazione al riguardo, richiede che questo, per essere adeguatamente apprezzato dal giudice di legittimità, riproduca, per la parte essenziale delle argomentazioni svolte, il contenuto delle difese di cui viene dedotta la genericità.

Nel caso in esame, il ricorrente si limita viceversa a svolgere, in maniera assertiva, nei confronti dell’atto di appello mere critiche di genericità e di non inerenza al contenuto essenziale della sentenza, senza perciò consentire, in proposito, a questa Corte alcuna valutazione in ordine alla rilevanza delle censure medesime.

2 – Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 5 del C.C.N.L. giornalistico e dell’art. 2697 c.c. nonchè il vizio di motivazione nella valutazione del materiale probatorio posto a sostegno della fondatezza delle domande.

Dopo aver riprodotto le definizioni con cui il C.C.N.G. individua come redattore il giornalista professionista a1) che faccia parte di una redazione decentrata, oppure a2) che sia corrispondente di capoluoghi di provincia al quale sia richiesto di fornire in modo continuativo, oltre alle notizie di cronaca locale, notizie italiane ed estere di carattere generale da lui elaborate, a3) che sia titolare di un ufficio di corrispondenza di testate che dedichino normalmente una intera pagina alla locale cronaca cittadina, il ricorrente sostiene – attraverso il richiamo ad alcune testimonianze assunte nel giudizio di primo grado e ad alcuni documenti acquisiti – che i giudici dell’appello avrebbero fatto mal governo delle risultanze istruttorie, non prendendo in considerazione dichiarazioni testimoniali e documenti decisivi e formulando valutazioni e conclusioni apodittiche senza rendere comprensibile l’iter logico che dovrebbe condurre alle stesse.

Nonostante il richiamo in rubrica alla violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e dell’art. 2697 c.c. trattasi quasi esclusivamente di censure che investono la motivazione della sentenza sia nel valutare i dati emersi dall’istruttoria che nel dar conto del convincimento che su di esse fonda.

In proposito, si ricorda che la deduzione di un vizio siffatto non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.

Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.

Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico in riferimento a punti decisivi della controversia e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., per tutte, in proposito, Cass. nn. 824/11, 15489/07, 4766/06 o 20322/05).

Ciò ribadito in via di principio, si rileva che nel caso in esame la sentenza impugnata, attenendosi al significato della norma collettiva e sulla base dell’esame complessivo del materiale probatorio acquisito, ha anzitutto escluso (sia pure con un eloquio un po’ sovrabbondante, che comprende anche rilievi inconferenti) che il ricorrente possa essere ritenuto partecipe di una delle redazioni decentrate (ipotesi sub al di cui sopra), come definita dal C.C.N.L.;

e ciò in quanto la sua attività non era inserita in una vera e propria redazione, ancorchè decentrata, vale a dire in una struttura organizzativa complessa, come tale partecipe nella sua globalità all’intera attività di redazione di un giornale o di una parte di esso, ivi compreso il coinvolgimento nelle scelte programmatiche e in genere nell’intera organizzazione necessaria per l’uscita di esso o della parte di competenza (cfr., in proposito, da ultimo, Cass. 5 maggio 2010 n. 10833 e prima ancora, tra le altre, le sentt. nn. 14913/09, 16380/06, 2611/98 e 3191/90).

La Corte territoriale ha poi escluso che ricorresse nel caso esaminato l’ipotesi sub a2), in ragione del fatto che l’elaborazione delle notizie di carattere generale italiane o estere da parte del C. era sporadica in quanto in genere proveniente dalla redazione decentrata di (OMISSIS), mentre la maggior parte dei pezzi al riguardo elencati dal ricorrente nei prospetti mensili allegati in giudizio non riguarderebbero notizie di carattere generale, ma notizie "di taglio locale" destinate al giornale radio regionale.

Infine, la Corte ha escluso la ricorrenza dell’ipotesi sub a3) non essendo il C. titolare di un ufficio, ma l’unico addetto quale corrispondente giornalistico da (OMISSIS).

Col motivo di ricorso in esame, il ricorrente investe le valutazioni del materiale istruttorio operate dai giudici di merito e le conclusione che ne hanno tratte, rivisitando il medesimo materiale acquisito nel giudizio di primo grado, per evidenziarne momenti ritenuti significativi, ridimensionare la valenza probatoria di altri oppure ancora per sostenere – in particolare, con riguardo ai documenti (di cui è dedotta la decisività soprattutto in ordine al profilo rivendicato sub a2) di cui sopra) – la mancata considerazione degli stessi da parte dei giudici di merito – ma senza riuscire a dimostrare che tali documenti, per il loro concreto contenuto, fossero tali da provare in maniera evidente, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di merito sulla base di una valutazione riguardante anche "i prospetti mensili dei servizi svolti dal C.", il carattere generale di tutte o della maggior parte delle notizie italiane o estere fornite nel tempo da (OMISSIS) e quindi la continuità di tale fornitura.

In sostanza, attraverso l’esame delle medesime risultanze istruttorie prese in considerazione nella loro globalità dalla Corte d’appello, il ricorrente pretende di sovrapporre al giudizio di questa una propria diversa valutazione in ordine alla effettiva consistenza dei fatti rilevanti in giudizio.

In tal modo, la difesa del ricorrente sottopone a questa Corte la richiesta di una nuova valutazione di merito in ordine alla ricostruzione di tali fatti, che non appartiene ai compiti e alla funzione del giudice di legittimità.

Va aggiunto a quanto rilevato, con riguardo all’ultimo profilo escluso dai giudici di merito (titolare degli uffici di corrispondenza di testate che dedichino normalmente una intera pagina alla locale cronaca cittadina), che il ricorrente travisa il significato delle argomentazioni con le quali la Corte territoriale ha negato (questa volta con motivazione "breve") la ricorrenza della relativa fattispecie.

I giudici dell’appello, infatti, affermando che il ricorrente non poteva essere considerato "un titolare di un ufficio di corrispondenza perchè non vi era, alle sue spalle una struttura organica definibile come ufficio di corrispondenza", hanno evidentemente inteso affermare, come già rilevato e sulla base di una interpretazione del contratto collettivo qui non specificatamente contestata, che la figura del titolare dell’ufficio presa in considerazione dalla medesima norma contrattuale – che qualifica come redattore il titolare di un ufficio di corrispondenza accanto ad altre figure definite come meri corrispondenti, ma in uffici di corrispondenza più importanti (di (OMISSIS), etc.) – presuppone che nell’ufficio operino anche altre figure di "corrispondenti" dirette dal "titolare", nel caso in esame viceversa assenti.

Le critiche del ricorrente non colgono sufficientemente tale significato di interpretazione della nozione di "ufficio di corrispondenza" rilevante ai fini di qualificarne il titolare, risultando in sostanza prive di un reale obiettivo.

3 e 4 – Con gli ultimi due motivi la sentenza della Corte d’appello di Trieste viene censurata, anche per vizio di motivazione, per aver respinto le domande subordinate fondate sull’applicazione dell’art. 36 Cost. e sull’art. 2225 cod. civ. Anche tali motivi sono infondati.

Quanto al primo, il suo rigetto consegue infatti, nella rilevata assenza di ulteriori deduzioni, al rigetto delle altre domande e alla valutazione operata dai giudici di merito in ordine alla quantità e qualità della prestazione resa dal C..

Il secondo è in realtà riferito, come rilevato dalla sentenza impugnata, ad una domanda del tutto generica quanto ai parametri da utilizzare e comunque il ricorrente non spiega – nè è dato agevolmente comprendere – in base a quali norme o principi possa applicarsi ad un rapporto di lavoro subordinato una norma dettata per il lavoro autonomo.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con la conseguente condanna del ricorrente a rimborsare alla Rai le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla RAI s.p.a. le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 28,00 per esborsi ed Euro 3.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA, per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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