Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-04-2011, n. 8352 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.B.C. convenne in giudizio avanti al Tribunale di Roma la Strega Alberti Benevento spa (qui di seguito, per brevità, anche indicata come SAB) e la Industria Dolciaria Alberti spa (qui di seguito, per brevità, anche indicata come IDA) e assumendo che:

– era stato assunto verbalmente dalla SAB in data 1 settembre 1973 (con formalizzazione per iscritto il successivo 13 settembre), con la qualifica di impiegato di prima categoria, anzichè con quella pattuita di dirigente;

– aveva in realtà svolto sin dall’atto della assunzione mansioni riconducibili alla qualifica dirigenziale, essendo stato posto a capo della direzione commerciale e della intera rete di vendita della società, con l’incarico ed il potere di riorganizzare tutta l’organizzazione commerciale, dalla scelta dei prodotti, alla loro promozione ed alla vendita;

– dopo pochi giorni aveva iniziato a svolgere anche le mansioni di direttore commerciale della IDA, con analogo incarico;

– la SAB solo in data 1 luglio 1988 gli aveva riconosciuto la qualifica dirigenziale;

– a decorrere dall’11 settembre 1992, a seguito del trasferimento delle direzioni commerciali di entrambe le società a (OMISSIS), era stato trasferito in tale città;

– il 19 febbraio 1997, in esito a procedimento disciplinare, era stato licenziato in tronco dalla SAB, come da comunicazione in atti, e, allo stesso tempo, era stato licenziato verbalmente anche dalla IDA;

– gli addebiti contestati erano insussistenti;

ciò premesso, chiese che venisse dichiarata l’insussistenza della giusta causa e della giustificatezza del licenziamento, con ogni conseguente pronuncia anche quanto alla corresponsione della indennità supplementare; che gli venisse riconosciuta la qualifica dirigenziale per il rapporto di lavoro svolto alle dipendenze della SAB sino al 1988, nonchè, sino alla cessazione, per il rapporto di lavoro alle dipendenze della IDA; che gli venissero riconosciuti ulteriori emolumenti, come da conteggi in atti.

Radicatosi il contraddittorio, il Giudice adito respinse le domande.

Con sentenza non definitiva in data 13.10.2005 – 4.2.2007, la Corte d’Appello di Roma rigettò i motivi di gravame del D.B. concernenti il riconoscimento della qualifica dirigenziale per il rapporto di lavoro con la IDA e il licenziamento intimato, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio. A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– quanto al preteso rapporto dirigenziale intrattenuto con la IDA, il D.B., in difetto di qualsivoglia supporto documentale concernente l’asserita intervenuta assunzione verbale, aveva formulato un capitolo di prova giustamente non ammesso dal primo Giudice, siccome assolutamente generico ed inconferente, soprattutto con riferimento alle mansioni effettivamente svolte alla dipendenze della IDA ed alla esistenza del vincolo della subordinazione; nè, stante la asserita coesistenza dell’altro rapporto di lavoro alle dipendenze della SAB, alcunchè aveva precisato in ordine alla estensione temporale dei due diversi "impegni" lavorativi ed alla loro conciliabilità; in effetti la parte datoriale non aveva negato che il D.B. avesse svolto anche una qualche attività per la IDA, assumendo tuttavia che tale attività aveva assunto la forma di una consulenza, e la documentazione versata in atti non smentiva tale assunto, nulla potendosi dalla stessa rilevare in ordine alla dedotta subordinazione;

– quanto al licenziamento, alla stregua del richiamato orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alla nozione di giustificatezza del licenziamento dei dirigenti, quello di specie non poteva essere considerato come meramente arbitrario, tenuto conto che dalla espletata istruttoria era emersa la sussistenza di elementi incompatibili con la persistenza del vincolo fiduciario, e, nello specifico, la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2105 c.c., nonchè della espressa clausola di esclusiva pattuita, essendosi tra l’altro il D.B. adoperato, all’insaputa della società, affinchè agenti della società appellata ottenessero mandato anche da altre società; particolarmente significativo appariva quanto riferito al riguardo dall’amministratore delegato della società Collavini, secondo cui la rete di vendita di quest’ultima era stata costruita su indicazione del D.B. attraverso l’utilizzazione della rete di vendita della Alberti; si trattava dunque di una violazione del vincolo fiduciario non di poco conto, anche a voler prescindere dalla diversa operatività delle due società, al punto che lo stesso D.B., evidentemente consapevole della non linearità del suo comportamento, aveva richiesto alla Collavini di inviare la corrispondenza al suo indirizzo privato di (OMISSIS) e, in caso di comunicazioni telefoniche presso l’ A., di chiedere soltanto di lui.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, D.B. C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.

L’intimata Strega Alberti Benevento spa, anche quale incorporante per fusione della Industria Dolciaria Alberti spa, ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, proponendo ricorso incidentale condizionato fondato su un unico articolato motivo. Con successiva sentenza non definitiva in data 27.9.2007 – 17.9.2008 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di prime cure, dichiarò il diritto di De B.C.: al trattamento economico di dirigente dal 1.9.1973 e sino al riconoscimento della suddetta qualifica; all’inclusione nella base di calcolo della indennità di anzianità e del TFR dei compensi percepiti a titolo di "fuori busta"; al pagamento della indennità di trasferta e di quella di trasferimento; rigettò inoltre la svolta eccezione di prescrizione, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio. A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– la rivendicazione da parte del D.B. della qualifica di dirigente dall’atto dell’assunzione e sino al riconoscimento formale della suddetta qualifica era da ritenersi fondata sulla scorta delle risultanze testimoniali e documentali, dovendo in particolare rilevarsi che la prospettazione avanzata dai testi indotti dalla parte datoriale, in ordine all’assoluto accentramento di ogni attività a Benevento nelle mani del dott. A.F., anche a prescindere dalla loro scarsa conoscenza dei fatti in virtù degli scarsi rapporti diretti avuti con l’appellante, era smentita sia dalla documentazione in atti, sia da quanto riferito dal teste C.;

– non poteva pertanto dubitarsi che al D.B., quale responsabile dell’intera organizzazione commerciale della SAB, settore nevralgico per la società, spettasse la qualifica rivendicata ex art. 1 CCNL per i Dirigenti di Aziende Industriali, riconosciuta "agli institori, ai direttori ed ai condirettori tecnici ed amministrativi, ai capi di importanti servizi ed uffici che esercitano ampi poteri direttivi;

– i fuori busta dovevano essere inclusi nella base di calcolo delle indennità di fine rapporto, poichè, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità quanto al TFR, da detto calcolo debbono essere esclusi solo gli emolumenti sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite e dovendosi all’opposto computare gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro.

Avverso la suddetta seconda sentenza della Corte territoriale la Strega Alberti Benevento spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.

L’intimato D.B.C. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi, siccome proposti avverso sentenze pronunciate nell’ambito del medesimo giudizio.

2. Con il primo motivo il ricorrente D.B. denuncia violazione di norme di diritto ( art. 112 c.p.c. e art. 2909 c.c.; art. 2094 c.c.), nonchè vizio di motivazione, assumendo che:

– la Corte territoriale aveva pronunciato ultra petita e in violazione de giudicato interno formatosi sull’affermazione del primo Giudice secondo cui esso ricorrente era stato direttore commerciale o amministrativo della IDA e aveva svolto per quest’ultima mansioni identiche a quelle disimpegnate per la SAB;

– erroneamente la Corte territoriale non aveva ammesso le prove inerenti alle mansioni espletate per la IDA e non aveva correttamente apprezzato le emergenze istruttorie, anche alla luce della natura subordinata, giusta le previsioni della contrattazione collettiva, dell’attività dei direttori commerciali.

2.1 Il motivo, nei distinti profili in cui si articola, è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. applicabile ratione temporis nella presente controversia.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). Più in particolare la giurisprudenza di legittimità ha specificato che deve ritenersi inammissibile il motivo in relazione al quale il principio di diritto sia formulato in modo inconferente rispetto all’illustrazione dei motivi d’impugnazione, ovvero in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice, od ancora in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto, o, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 36/2007;

20360/2007). Con il motivo all’esame sono stati denunciati sia la violazione di legge ( art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), che il vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5):

– è stata omessa tuttavia, quanto a quest’ultimo vizio, la formulazione del necessario momento di sintesi diretto a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali;

– i quesiti di diritto ("se il Giudice dell’appello possa riesaminare gli accertamenti contenuti nella sentenza di primo grado che non abbiano costituito oggetto di impugnazione o se, invece, sugli stessi si formi un c.d. "giudicato interno" che ne precluda il riesame; se il Giudice dell’appello abbia il dovere di pronunziare e di motivare su tutte le ragioni dell’impugnazione; se le mansioni di Direttore Commerciale con poteri di direzione della Rete di vendita e rapporto di dipendenza dalla Direzione Aziendale implichino un rapporto di lavoro subordinato") sono inoltre stati formulati in termini assolutamente generici, privi di concreti e precisi riferimenti alla fattispecie di causa, e in modo tale da richiedere inammissibili accertamenti di fatto.

3. Con il secondo motivo il ricorrente D.B. denuncia violazione di norme di diritto ( art. 112 c.p.c.; artt. 1322, 1362, 1418, 2105, 2113, 2119 e 2125 c.c.), nonchè vizio di motivazione, assumendo che:

– la ritenuta giustificatezza del licenziamento non bastava ad escludere il diritto al preavviso;

– gli addebiti dovevano ritenersi inconsistenti poichè: non poteva ritenersi la violazione dell’obbligo di fedeltà stante la diversa operatività della SAB rispetto alla Casa Vinicola E. Collavini spa;

la clausola di esclusiva doveva ritenersi giuridicamente nulla, siccome imposta in corso di rapporto, implicante rinunzia o limitazione a diritti costituzionalmente garantiti, non prevista da alcuna norma di legge e priva di corrispettivo; secondo quanto emergente dalle risultanze istruttorie, i fatti risalivano al periodo 1987 – 1989 e a suo tempo esso ricorrente ne aveva informato il presidente della SAB, che nulla aveva trovato a ridirvi.

3.1 Come già esposto nello storico di lite la Corte territoriale ha espressamente ritenuto la sussistenza di elementi incompatibili con la persistenza del vincolo fiduciario, con ciò implicitamente riconoscendo la ricorrenza non solo della giustificatezza del licenziamento, ma anche la sua riconducibilità alla giusta causa, sicchè deve ritenersi infondato il profilo di doglianza inerente alla esclusione del diritto al preavviso.

3.2 I profili di doglianza inerenti alla dedotta diversa operatività della SAB rispetto alla Casa Vinicola E. Collavini spa e alla pretesa pregressa conoscenza del rapporto tra il ricorrente a quest’ultima ineriscono al dedotto vizio di motivazione (implicando, in tesi, un’omessa o comunque insufficiente disamina di fatti controversi e decisivi) e, come tali, sono inammissibili per mancata formulazione del momento di sintesi ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. Fermo restando che, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo di fedeltà previsto dall’art. 2105 c.c. riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso (cfr, Cass., n. 13394/2004), cosicchè risultano inconferenti, stante l’ambito del presente giudizio, i richiami alle cause di nullità contemplate dall’art. 2125 c.c. (relativo al patto di non concorrenza per il tempo successivo alla cessazione del rapporto), i quesiti di diritto formulati al riguardo ("se costituisca violazione dell’art. 2105 c.c. l’attività prestata in favore di un’impresa non concorrente; se sia valido un impegno a "non svolgere alcuna attività professionale o di consulenza esterna all’azienda, nè direttamente, nè indirettamente, nel più ampio senso", fatto sottoscrivere al dipendente in corso di rapporto e privo di corrispettivo), e non sono conformi alle previsioni dell’ari. 366 bis c.p.c.; il primo perchè generico e formulato in modo tale da richiedere inammissibili accertamenti di fatto; il secondo perchè non enuncia una regula iuris, ma costituisce soltanto una specifica domanda di merito (cfr, al riguardo, ex plurimis, Cass., n. 11535/2008, secondo cui il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c. rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata). Del tutto generico è poi l’ulteriore quesito di diritto inerente alla denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. ("se il Giudice dell’appello abbia il dovere di pronunziare e di motivare su tutte le ragioni dell’impugnazione").

3.3 Il motivo all’esame, nei distinti profili in cui si articola, non può dunque trovare accoglimento.

4. In definitiva il ricorso proposto da D.B.C. va rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

5. Con il primo motivo la ricorrente SAB denuncia violazione di legge ( art. 2103 c.c. e art. 1362 c.c. e segg.; artt. 115 e 116 c.p.c.), nonchè vizio di motivazione, dolendosi che la Corte territoriale:

– abbia compiuto una valutazione errata e carente delle risultanze processuali, in particolare valorizzando sostanzialmente soltanto la deposizione del teste Co. e trascurando quelle di altri testimoni;

– non abbia rilevato che il D.B. non aveva fornito la prova rigorosa dei propri assunti e non abbia provveduto ad individuare le qualifiche e i gradi previsti dalla contrattazione collettiva procedendo poi al raffronto tra tale normativa e le attività lavorative in concreto svolte.

Con il secondo motivo la ricorrente SAB denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, in ordine al disposto ricalcolo dell’indennità di anzianità e del TFR e ai pretesi compensi per trasferte e per trasferimento, deducendo il mancato assolvimento da parte del D.B. degli oneri probatori su di lui incombenti al riguardo.

Con il terzo motivo la ricorrente SAB denuncia il vizio di omessa motivazione in ordine al rigetto dell’eccezione di prescrizione.

6.1 In ordine al primo profilo del primo motivo rileva il Collegio che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.

Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8718/2005; 15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).

Al contempo va considerato che, affinchè la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).

Deve altresì considerarsi che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (cfr, ex plurimis, Cass., n. 13910/2001).

Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch’esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio.

In definitiva, quindi, il profilo di doglianza all’esame si sostanzia nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità. 6.2 Quanto al secondo profilo deve osservarsi che, contrariamente a quanto dedotto dalla Società ricorrente e nei termini già esposti nello storico di lite, la Corte territoriale ha seguito il procedimento logico giuridico reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e consistente, al fine della determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, nell’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nella individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14608/2001;

5128/2007).

La non condivisione delle valutazioni che ne sono state tratte configura una censura di merito, inammissibile in questa sede, non potendo ravvisarsi nel pur sintetico argomentare della sentenza impugnata la devianza dal ridetto procedimento logico giuridico ovvero la presenza di elementi di contraddittorietà che rendano incomprensibili le conclusioni raggiunte.

6.3 Il motivo all’esame, nei distinti profili in cui si articola, va dunque disatteso.

7. Il secondo motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stati ivi riportato, con la doverosa specificità, il contenuto di quanto effettivamente dedotto dall’originario istante, nè le prove dal medesimo formulate, nè il tenore delle contestazioni al riguardo asseritamente svolte, nè il fondamento probatorio delle contrarie allegazioni dell’odierna ricorrente.

8. Il terzo motivo è infondato.

Il rigetto dell’eccezione di prescrizione, in mancanza dell’enunciazione di una diversa ratio decidendi, non può infatti che essere ricondotto alle argomentazioni ampiamente svolte nella parte motiva in ordine alla posizione dirigenziale riconosciuta ai D.B. fin dall’instaurazione del rapporto, con implicito, ma, nel descritto contesto, inequivoco riferimento alla notoria assenza, per tale tipologia di rapporti, della cosiddetta stabilità e alla conseguente non decorrenza, in costanza del rapporto medesimo, della prescrizione dei crediti retributivi (cfr, ex plurimis, Cass., n. 9968/2003), non essendo stato peraltro neppure dedotto che, nel caso di specie, la stabilità del rapporto lavorativo fosse stata assicurata mediante l’introduzione, ad opera delle pattuizioni dei contratti collettivi di diritto comune, di limitazioni alla facoltà di recesso del datore di lavoro.

9. In definitiva anche il ricorso proposto dalla Strega Alberti Benevento spa deve essere rigettato.

10. La reciproca soccombenza consiglia la compensazione delle spese.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi di cui ai procedimenti R. G. nn. 4142/2008, 7681/2008 e 19848/2009, rigetta quelli principali e dichiara assorbito quello incidentale; spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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